Alessandro Lolli traduce dall’inglese all’italiano l’incipit del diario di Zeno Cosini, da Zeno’s Conscience: il romanzo di Italo Svevo nella versione inglese di William Weaver.
L’ultima sigaretta
Quando parlai al Dottore della mia debolezza col fumo, mi disse di iniziare la mia analisi ripercorrendo lo sviluppo di quest’abitudine dall’inizio.
“Lo scriva!” disse “e vedrà quanto presto inizierà a percepire un ritratto accurato della sua persona!”.
Penso di poter scrivere sul fumo qui alla scrivania, senza sedermi a fantasticare in poltrona. Non so come iniziare. Devo chiedere aiuto a tutte quelle sigarette che ho fumato, identiche a quella che tengo in mano ora.
Ho appena scoperto una cosa. Mi ero del tutto dimenticato che le prime sigarette che ho fumato non le vendono più. Sono state prodotte la prima volta nel 1870, In Austria, e erano vendute in piccoli pacchetti di cartoncino con la stampa di un’aquila a due teste. Aspetta un attimo! All’improvviso diverse persone iniziano a raggrupparsi attorno a uno di quei pacchetti; riesco a distinguere le loro fattezze e vagamente a ricordare i loro nomi, ma questo incontro imprevisto non mi porta da nessuna parte. Devo provare a guardare più da vicino. Vediamo cosa sa fare la poltrona. No, ora si sono sfumati e distorti in brutte caricature sghignazzanti.
Torno scoraggiato alla scrivania.
Una delle figure era Giuseppe, un giovane della mia età circa con la voce piuttosto roca, e l’altro era mio fratello, di un anno più piccolo di me, che è morto alcuni anni fa. Giuseppe doveva ricevere parecchi soldi da suo padre e ci faceva beneficio di alcune di quelle sigarette. Ma sono certo che ne dava di più a mio fratello e per questo era costretto a provare a prendermene un po’ per me. E per questo arrivai a rubare. D’estate mio padre era solito lasciare il gilè su una sedia dell’atrio e nella tasca si trovava sempre qualche spicciolo. Prendevo le monete necessarie a comprare uno di quei preziosi pacchetti e fumavo le dieci sigarette contenute una dopo l’altra, per paura di essere tradito nel caso in cui avessi portato con me un bottino così compromettente.
Tutto questo era sepolto silenzioso nella mia mente e così a portata di mano. Non deve essere tornato in via prima perché solo ora capisco il suo possibile significato. Solo ora che ho ripercorso le mie cattive abitudini fino al loro inizio e (chi lo sa?) potrei già essere guarito. Accenderò l’ultima sigaretta, solo per provare, e probabilmente la butterò disgustato.
Ora ricordo che una volta mio padre mi sorprese mentre tenevo il suo gilè in mano. Con una sfacciataggine che ora non avrei mai e che mi spaventa nonostante il tempo trascorso (forse questo senso di disgusto avrà un ruolo decisivo per la mia guarigione), gli dissi che improvvisamente avevo avuto una forte curiosità di contarne i bottoni. Mio padre rise della mia inclinazione matematica o sartoriale e non si accorse neppure che avevo le dita nella tasca del gilè.
A mio favore va detto che il suo ridere di me per quanto ero innocente, quando sapevo di essere colpevole, fu abbastanza da prevenire altri furti da parte mia. O meglio, rubai ancora in seguito, ma senza rendermene conto. Mio padre lasciava sigari Virginia mezzi fumati abbandonati sul tavolo o sui bordi dei cassetti. Pensavo che fosse un modo di liberarsene e ero davvero convinto che Catina, il nostro vecchio servo, li buttasse via di solito. Iniziai a fumarli in segreto. Proprio il fatto di nasconderli mi faceva sentire un certo brivido perché sapevo quanto mi avrebbero fatto male. Così li fumavo fino a che non sentivo gocce di sudore freddo scorrermi sulla fronte e una sensazione orribile nel cuore. Nessuno potrebbe dire che come ragazzino mancassi di determinazione.
Note alla traduzione
Partiamo dal titolo del capitolo. Leggete “L’ultima sigaretta” perché è una traduzione di “The Last Cigarette” , ma Italo Svevo lo ha chiamato “Il Fumo”. Resto sempre stupito da gesti così coraggiosi e arroganti insieme. William Weaver ha deciso di darci maggiori informazioni sul testo che andremo a leggere, di orientare la nostra lettura in modo più deciso di quanto non abbia voluto l’autore stesso. Questa volontà esplicativa è ricorrente nella pagina che ho tradotto. Per spiegare il fatto che Zeno fumasse tutte le sigarette prima di rincasare, ci basta “per non conservare a lungo il compromettente frutto del furto”; ma Weaver aggiunge “lest I might be betrayed if I carried about with me such a compromising booty”, il concetto di tradimento: “per paura di essere tradito nel caso in cui avessi portato con me un bottino così compromettente”. Poco dopo leggiamo del padre che arriva vicino a scoprire il peccato del figlio e dell’urto che questo ha su Zeno. Svevo sviluppa la frase usando solo l’innocenza: “quel riso rivolto alla mia innocenza quand’essa non esisteva più”; Weaver introduce il suo contrario “his laughing at me like that for being so innocent when I knew I was guilty”, “il suo ridere di me per quanto ero innocente, quando sapevo di essere colpevole”. Anche un teatrale “Wait a minute!” tradotto con “Aspetta un attimo!” in luogo di un più pacato “Ecco: attorno a una di quelle scatole…” possiamo attribuirlo all’esigenza di un’espressione più chiara, in questo caso sottolineando il processo di emersione delle memorie sopite. Ma il punto in cui si è verificato un maggiore distacco tra le due versioni italiane è probabilmente colpa mia. Parlo della penultima frase che in inglese appare così: “I would smoke them till cold drops of perspiration stood on my forehead and I felt horribly bad inside”. Ho interpretato in senso figurato “inside”, come un male interiore, interiore cioè spirituale. Una contrapposizione tra gli effetti fisici e gli effetti morali del fumare di nascosto. Ho provato qualche traduzione letterale usando il termine “dentro”, tipo “sentirmi orribile dentro” e cose di questo genere, ma non mi convincevano. Per ricreare quella contrapposizione che avevo intuito, ho scelto per la prima volta di distanziarmi dal testo e usare una parte del corpo largamente metaforizzata come il cuore che specchiasse la fronte della prima frase. Ho ottenuto questo: “Così li fumavo fino a che non sentivo gocce di sudore freddo scorrermi sulla fronte e una sensazione orribile nel cuore”. Peccato che Svevo ci stava descrivendo un’interiorità tutta materiale e molto specifica: “Poi il fumavo finché la mia fronte non si fosse coperta di sudori freddi e il mio stomaco si contorcesse”.
Concludo con alcuni scarti lessicali forse dovuti ai novant’anni che ci separano: “panciotto/gilè/waistcoat”, “tinello/atrio/lobby”, “A mio onore/a mio favore/to my credit”, “vecchia fantesca/vecchio servo/old servant”. Infine, quando Svevo scrive delle sigarette prodotte “Intorno al ‘70”, io e Weaver abbiamo dovuto specificare che fosse il milleottocentosettanta. Non sia mai che qualcuno sbagli secolo e si confonda sulla natura di queste sigarette.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).