«medaglioni e appunti medaglioni»
Quando non possiamo portare con noi i Diari di Fernanda Pivano, due volumi che sono una storia letteraria – la borsa è troppo piccola, la giornata troppo lunga – possiamo tenerci vicini i suoi Medaglioni. Conservati a lungo in una cartellina rossa, con una graffetta a fermare un foglietto quadrato con su scritto in corsivo: «medaglioni e appunti medaglioni», questi ritratti brevi e pieni, curati da Enrico Rotelli e pubblicati oggi da Skira sono piccoli gioielli che letti uno dopo l’altro ci fanno chiedere sospirosi: «Perché non sono nata il 18 luglio 1917?». Ma non è una semplice questione di cronologia. Perché a distinguere i racconti di Fernanda Pivano da quelli di altri che con lei hanno vissuto quel tempo e quel tempo hanno arricchito in compagnia degli stessi scrittori e artisti, è il piglio, la curiosità sempre gioiosa che riempie la sua prosa.
Nelle parole della Pivano il ricordo di un amico diventa una biografia, un suo tic un incantesimo, un suo gesto o sguardo una risposta a domande che Fernanda non ha nemmeno bisogno di pronunciare. E se infiliamo nella stessa catenina tutti i Medaglioni, quella che si forma è la sua collana, quella della ragazza che ne La mia kasbah stava sveglia di notte ad ascoltare le grida provenienti da Regina Coeli: «Mamma! Quando vieni? So’ innocente!» e della donna che di notte dormiva per svegliarsi la mattina presto, prendere la sua bicicletta rossa, arrivare fino a piazza San Silvestro e tornare a casa.
«rimasi assai impressionata dai suoi stivali»
In queste 185 pagine ci sono tanti amici quante Pivano. Ci incontriamo la ragazzina che va ai concerti, ci trova Felice Casorati, e passa tutto il tempo a osservargli gli stivali. Vediamo la trentenne che si avvicina a Pablo Picasso durante una corrida a Saint-Tropez per offrirgli la sua matita per firmare autografi: è rossa, per le labbra, il pittore scrive il suo nome e se la infila in tasca. Origliamo quella che ci rivela di quando Elio Vittorini se la prese col designer Max Huber: i colori che aveva pensato per curare la grafica della casa editrice Einaudi erano per lui «da gelateria». Scopriamo la quarantenne che racconta della sera in cui, a Roma, Giangiacomo Feltrinelli difese Jack Kerouac in una rissa, e ce la prendiamo perché non nomina il pub. Ma troviamo pure la sessantenne che incontra Keith Haring ad una cena, a Milano, in occasione della sua personale nella galleria di Salvatore Ala, e che quando si gira verso di lui per attaccare bottone si rende conto che la cosa di cui Keith ha più voglia di parlare siano i suoi occhiali – o le favole da lui inventate per i suoi pupazzi.
Ma sono soprattutto due i ritratti che mi sono rimasti più in mente: quelli di Alberto Moravia e Guido Piovene. Finite le cinque e quattro pagine che li racchiudono, viene voglia, se non l’abbiamo ancora fatto, di andare nella libreria più vicina, prendere dagli scaffali Gli indifferenti e Le stelle fredde, portarseli a casa, finirli presto e vedere quanto i loro protagonisti si rispecchino nei loro rispettivi Medaglioni – e se non lo fanno per niente, appuntarne le differenze.
Alberto Moravia e Guido Piovene
Nelle pagine di Fernanda Pivano, Alberto Moravia si vanta di come sa cucinare ma all’ora di pranzo a casa sua non sta mai: piuttosto si siede in un ristorante dove straccia la lista dei vini che non beve, o a casa di un amico scrittore, al tavolo del quale rompe i bicchieri. Quand’è bizzoso, armeggia spesso un ombrello, non solo ai congressi ma pure per strada. Ricorda Fernanda: «Si sa come funzionano gli autobus e i tram a Roma. Una volta Moravia prende la solita circolare e non so come si mette a litigare col tramviere. A un certo momento scende, e il tramviere gli grida dietro “Ignorante!”. Be’, si è visto Moravia correre dietro al tram, agitando l’ombrello, fino alla fermata successiva, e quando le porte si sono riaperte lo si è sentito gridare, tutto trafelato: “Ignorante sarà lei!”».
Tutt’altro carattere quello di Guido Piovene, perso nelle sue mille manie: nella sua lista della sua collezione di conchiglie, nella sua raccolta di biglietti del tram o di seggiole inglesi – manie che si susseguono velocissime senza mai sostituire la prima; Guido confessa: «In fondo, scrivo per monomania.» Quello che ci presenta Fernanda è un Piovene timido di una «timidezza addirittura ingombrante», che adolescente si prescrive da solo una cura che consiste nell’attraversare per dieci minuti l’affollatissimo Savini di Milano. Un ricordo che diventa il più caro, quando pensiamo a uno scrittore che uscendo dalla porta del Savini ci racconterà l’Italia, l’America, la Russia e l’Inghilterra.
Natalia La Terza è nata a Orbetello nel 1990 e vive a Roma. Scrive su Harper's Bazaar Italia, Esquire, Rolling Stone e minima&moralia.