Orario: Quando serve concentrarmi mi sveglio presto, scrivo dalle 4:30 alle 6:30 del mattino. Sono due ore pulite, nel silenzio, necessarie avendo due figlie piccole. Poi lavoro altre due ore nel pomeriggio, mai oltre le quattro ore al giorno.
Dove: la mattina uso la sala, con due tavoli e due computer e la libreria di Carlo, mio marito. La mia libreria è in corridoio. Lui fa il ricercatore universitario e se dobbiamo entrambi lavorare a casa spesso rimane lì in sala e io uso la cucina. Scrivo sul tavolo da pranzo con il mio portatile e pile di volumi che continuano ad ammucchiarsi in cucina. Abbiamo più di 5.000 volumi a testa, in una casa di 76 metri quadrati. È una condizione più precaria scrivere in cucina, ma non credo che se avessi un gigantesco e bellissimo studio potrei lavorare meglio, o produrre cose migliori. Se gli studenti indiani riescono a studiare di notte in case dove abitano in dieci… Chi non ha momenti di invidia sociale? Però sono momenti di cui rido.
Strumenti: Ho un portatile vecchio che ogni tre mesi si sfascia e lo porto ad aggiustare. A volte uso quello colorato di mia figlia, soprattutto per i viaggi. Ho un tablet ma lo uso per leggere.
Appunti: Appunto molto, solo su carta. Faccio schemi e cartelloni che appendo in cucina. Sono quasi sempre schemi che seguono il percorso interno del libro. Prima dello schema della struttura lavoro molto sul percorso interno, sui luoghi, usando anche fotografie.
Momenti di panico: quando la paralisi mi colpisce, esco. Guarda che bello (e indica gli alberi sopra Necci, al Pigneto). Passeggio, nei luoghi a margine, vicino alla ferrovia, posti che per me sono rassicuranti, posti che hanno una forma estetizzante di ritorno, un po’ me ne vergogno.
Leggere: leggere mentre si scrive non lo vedo come una minaccia. Ovviamente faccio tanta ricerca leggendo e rileggendo sulle tematiche che tocco nel libro che sto scrivendo. Mentre lavoravo su Eravamo bambini abbastanza ero sempre a leggere Dickens, la letteratura picaresca, fiabe.
Obiettivi giornalieri: mi pongo come obiettivo quattro ore di scrittura, le due felici della prima mattina e altre due quando riesco. Più di quello non mi serve, oltre le quattro ore diventa una perdita di tempo.
Città o casetta isolata: vanno bene entrambe. Avrei solo bisogno di silenzio e di più ore di sonno. In questo periodo sento il bisogno di avere contatto con la terra. Non mi dispiacerebbe diventare una proprietaria terriera.
Necessità: mi concedo qualche sigaretta mentre scrivo, e io non sono una fumatrice. E poi bevo una quantità di caffè disumana, anche otto caffè in un giorno, moka. Posso seriamente rinunciare a tutto, tranne che accompagnare il caffè al lavoro.
Internet: sono sempre collegata, tranne in camera da letto dove non prende il wifi, ed è una felicità. Vivo internet come una dipendenza, è un distrattore continuo, ma meno per la scrittura che per altro. La scrittura ha diritto di esistere solo se ce la fa, se si impone, distrazioni o non distrazioni. Però con internet sempre aperto noto che ci metto di più a fare le cose.
Rituali: il tempo dei rituali è finito da tempo (ride). La rinuncia ai rituali mi rilassa. Forse l’unica cosa che vivo con una certa ritualità sono gli schemi e i quaderni dove prendo appunti. Sono quaderni selvaggi, quelli che scartano le mie figlie. Da tempo ho abbandonato ogni forma di estetismo sui quaderni, per esempio, non potrei mai usare una moleskine. È necessario saper scrivere anche con condizioni avverse.
Nell’immagine: lo studio-cucina dell’autrice.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).