Due scritti di W. H. Auden escono in un’elegante edizione a cura di Leonardo Guzzo e Marco Sonzogni per Archinto. Si tratta di “La valle oscura”, pièce radiofonica del 1940 scritta per il network radiotelevisivo statunitense Cbs (Columbia Broadcasting System), e “Noi Americani”, copione di un documentario diretto da Francis Thompson e Alexander Hammid e proiettato al padiglione degli Stati Uniti in occasione dell’Expo internazionale di San Antonio (Texas) nel 1968. Pubblichiamo l’Introduzione al volume di Leonardo Guzzo e la Nota ai testi di Guzzo e Marco Sonzogni.
Nel suo romanzo più noto, “Ferito a morte”, Raffaele La Capria cita Auden per una riflessione cruciale. Un giovane inglese medita sul sole di Napoli, sulla «bella giornata» che è al centro del racconto, e si affida ai versi di Good-bye to the Mezzogiorno: «The Greeks used to call the sun / He-who-smites-from-afar, and from here where / Shadows are dagger-edged, the daily ocean blue, / I can see what they meant». Il sole è «colui che colpisce da lontano», lo sguardo di Auden coglie il risvolto fatale di ciò che splende senza remissione: di quella che Dylan Thomas chiamava «world’s wound», qualcosa come «ferita cosmica».
“The Dark Valley” e “US”, i due testi raccolti in questo volume, si inseriscono – anche solo per contrasto – nel solco di quella stessa simbologia. Entrambi hanno a che fare con l’abbaglio: con una pretesa di grandezza che rischia di diventare visione folle, ambizione sconsiderata, sfida di cacciatori incravattati che rincorrono a mani nude oche selvatiche, senza mai acciuffarle. “The Dark Valley” è favola e scritto civile, un racconto quasi dickensiano permeato da un’atmosfera magica e da un forte, ma non invadente, simbolismo. In una valle senza luce – un tempo animata dalla corsa all’oro e adesso vuota, da che l’oro si è negato – una vecchia alleva un’oca. Questa la trama scarna, svolta in un dialogo surreale (di fatto un soliloquio) della donna con l’animale che risponde a versi e schiamazzi. Eppure, dietro questa apparenza dimessa, “La valle oscura” è un testo apocalittico e colossale, una piccola enciclopedia dei malanni del progresso compilata mentre si profila la catastrofe della seconda guerra mondiale. Tra le pieghe della lucida farneticazione della vecchia prende forma, inequivocabilmente, una critica allo sviluppo materiale, all’alienazione indotta dal capitalismo, all’omologazione, alla sterilizzazione delle coscienze che sottendono la «libertà organizzata» dell’uomo moderno. Come un nuovo Guglielmo Tell, Auden scaglia la freccia dritto al cuore del problema. I «padroni della Natura che tutto sanno» in realtà mentono: sono «esseri inanimati che agognano un’anima», hanno dimenticato l’amore, non riescono a «toccare davvero una persona viva». Il tesoro che cercano resta nascosto sotto una pietra come una vena d’oro prosciugata, in una valle «fonda» e «sempre buia» dove nessuno osa più scendere.
“US”, il secondo scritto, ha il tono essenziale ed assertivo, da sermone immaginifico, di certa poesia contemporanea. È un testo che acquista la giusta luce e il pieno valore se si pensa che avrebbe potuto essere un semplice messaggio promozionale in favore del «modello americano», nella circostanza dell’Esposizione Speciale tenuta a San Antonio, in Texas, nel 1968 e dedicata alla «confluenza delle civiltà nelle Americhe». Nei giorni delle proteste anti-Vietnam, le parole di Auden diventano invece un messaggio forte e chiaro sulle tare storiche del modello americano, sull’incompiutezza degli Stati Uniti e l’esigenza di conservare – anzi di compiere pienamente – la tensione ideale che percorre «la terra dei liberi e la patria dei coraggiosi». Noi Americani (la traduzione che meglio approssima il doppio senso del titolo di Auden) è un modo per dire che gli Stati Uniti non possono ridursi a un’idea astratta: vanno verificati e rinnovati continuamente, storicamente, nei loro valori fondanti di repubblica. Il poeta americano d’adozione, il figlio dell’Occidente classico e cristiano esorta a costruire senza sosta la «casa comune»: degli uomini e della natura, dei bianchi, degli indiani e degli immigrati, degli istruiti e degli incolti, dei privilegiati e dei diseredati. Il prezzo della libertà, diceva qualcuno, è l’eterna vigilanza. Il prezzo della democrazia, aggiunge Auden, è l’eterna partecipazione. E più dietro, più in fondo, il senso dell’umano è l’eterna evoluzione, uno slancio spirituale a superarsi. (L.G.)
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Nota ai testi
I testi originali di “The Dark Valley” e di “US” sono ripresi da: W.H. Auden, “Libretti and Other Dramatic Writings”, a cura di Edward Mendelson, Princeton University Press, Princeton 1993, pp. 371-381 e pp. 414-416 (le rispettive note si trovano a pp. 740-746 e a pp. 754-755). I curatori ringraziano Edward Mendelson (Columbia University) e Nicole Eisenbraun (Curtis Brown) per la
premura con cui hanno reso possibile questa edizione. Qualche considerazione sui titoli in italiano. In un caso, la scelta di tradurre «dark» con «oscura» ha una matrice dantesca. A parte il fatto che questa traduzione esce nel settecentenario della morte del «sommo poeta» e che «dark» sia l’aggettivo tradizionalmente usato per tradurre la selva oscura, abbiamo voluto dare conto dell’ammirazione di Auden per Dante. Valgano le parole di Montale, scritte dopo aver incontrato Auden a Venezia in occasione della rappresentazione della “Carriera di un libertino” (“The Rake’s Progress”): «Torno a Milano. E all’aeroporto rivedo Auden che parte per Roma per raggiungere Ischia. Parla quasi in italiano, mi fa un’istantanea, mi ripete la sua ammirazione per Dante» (“Sulla scia di Stravinskij”, «Corriere della Sera», 19 settembre 1951). Del resto, una impercettibile ma ipnotica filigrana dantesca attraversa tutto il testo. Nell’altro, la scelta di aggiungere «Americani» a «Noi» ci è sembrata l’unica per non uscire del tutto sconfitti dal genio di Wystan, che cala il jolly di un’arguta polisemia all’inizio con “US” e alla fine con «these United States», riprendendo le parole pronunciate da Franklin Delano Roosevelt nell’inverno del 1936: «I do not look upon these United States as a finished product. We are still in the making» (cfr. Glenda Elizabeth Gilmore e Thomas J. Sugrue, “These United States: A Nation in the Making”, 1890 to the Present, W.W. Norton, New York 2015). Va inoltre sottolineato che i due scritti sono necessariamente incompleti, in quanto pensati per essere testi multimodali. Non basta soltanto leggerli: uno andrebbe «ascoltato», l’altro «visto». “The Dark Valley” è una pièce radiofonica scritta per il network radiotelevisivo statunitense Cbs (Columbia Broadcasting System) e andata in onda il 2 giugno 1940 con la direzione di Brewster Morgan e le musiche di Benjamin Britten. La matrice allitterativa di quest’opera anticipa quella adottata tra il 1944 e il 1946 per scrivere
“L’età dell’ansia” (“The Age of Anxiety”), l’«egloga barocca» con cui Auden vince il Premio Pulizter nel 1948. In una lettera non datata ma redatta quasi certamente nell’aprile del 1939, Auden ammette di faticare a finire questo scritto e di credere che la vecchia protagonista sia invece lo scrittore norvegese Knut Hamsun. “US”, redatto presumibilmente nel 1967, è il copione di un documentario diretto da Francis Thompson e Alexander Hammid e proiettato al padiglione degli Stati Uniti in occasione dell’Expo internazionale di San Antonio, nel Texas, dal 6 all’8 ottobre del 1968. Auden si dimostra generoso e geniale commentatore: guarda le immagini e scrive più di quanto serva, alludendo senza peli sulla lingua anche alle pagine scure della storia del Nuovo Mondo, in una circostanza di enorme visibilità e attraverso un medium di portata universale. Versatilità e insieme costanza di tono e di «tocco» sono la cifra caratteristica di Auden: di qualsiasi cosa scriva, e qualsiasi genere scelga per scriverne, riesce sempre a farlo con la leggerezza auspicata da Calvino, frutto dell’impareggiabile virtuosismo con cui, tra ironia e auto-ironia, piega la lingua inglese al suo pensiero. Speriamo di averlo conservato leggero con la veste italiana che gli abbiamo cucito addosso. (L.G. e M.S.)