In anteprima dalla plaquette “Verso a fronte” Valerio Magrelli, da poco uscita per “I Quaderni della Collana” di Stampa 2009, pubblichiamo quattro testi.
VIAGGIARE
Oggi dopo due anni ho fatto un viaggio,
ormai però non è più la stessa cosa.
Un tempo segnavo ogni chiesa,
monumento, museo, ristorante:
segnavo tutto. Adesso invece dico:
“Ma che lo faccio a fare?
Tanto poi scordo tutto”. Ed è così.
Chi si ricorda del Rathaus a Innsbruck
o dell’Hotel de Ville?
Tutto finito in un gran calderone,
una zuppa di posti tutti uguali
– transetto, mihrab, iconostasi.
Fino a due anni fa, era diverso,
o almeno ero diverso io.
È come se avessi smarrito la fede,
la fede nella trasmissione di un messaggio,
la fede in me come destinatario.
Adesso sono un ateo del viaggiare,
non credo più a niente.
Adesso è tutto più leggero e triste.
*
Ho sempre viaggiato come un ossesso, studiando con cura le mie destinazioni, organizzando attentamente ogni tappa. Da ragazzo, durante un’estate in Germania con una borsa di studio, passavo tutti i fine settimana insieme a un amico, noleggiando una macchina per girare tra i paesi più caratteristici. Ebbene, il mio modo di visitarli colpì il compagno tanto da fargli esclamare: «Ma tu non vedi le città; le perquisisci».
Aveva ragione. Più che conoscere i luoghi rilevanti, io volevo cassarli dalla lista, per far vedere che li avevo visti. Farlo vedere a chi? Ma a me stesso, è ovvio. Volevo insomma assolvermi, assolvendo il mio compito di turista.
Tutto questo è proseguito fino all’arrivo della pandemia. Quando ho ripreso a viaggiare, dopo due anni di stop, ho scoperto che nulla era più come prima: avevo perso il bisogno di capitalizzare l’esperienza, ossia di predisporla in vista di un impiego futuro: in vista di un Futuro. Ero invecchiato io, il mondo, o tutti e due?
***
BEL PASSATO
Accendo il cellulare di mattina
e mi trovo davanti una serie di foto
scattate qualche anno fa durante un viaggio.
La giungla, il paradiso, mia figlia che sorride:
sento una fitta al cuore.
Quanta felicità, e quanto lontana!
Poi però mi ricordo che quel giorno di merda
zoppicavo per un’operazione,
litigai con gli organizzatori,
litigai con mia figlia.
Ma perché, allora, tanta tenerezza retrospettiva?
Perché il passato è la nostra vita senza noi,
è il tempo con la museruola,
un tempo senza il morso del presente,
bello perché passato, perché assente.
Poi il telefono suona
e dolcemente riprendo a litigare.
*
Alla fine ho deciso di affrontare il mistero della nostalgia: come mai le foto, nostre o dei nostri cari, emanano tanta dolcezza? Certo, le scattiamo nei momenti di gioia, durante le feste o in vacanza. Certo, racchiudono il segreto della morte addomesticandolo, rendendocelo familiare. Eppure, c’era qualcosa che ancora non mi convinceva. Con questi versi, ho cercato di avvicinarmi alla soluzione.
Almeno per quanto mi riguarda, la bellezza di quelle immagini, la bellezza di una felicità distante, dipende molto semplicemente dalla sua distanza, ossia dalla mia mancanza. Se guardando quei luoghi mi sento così bene, è appunto perché oramai ne sono assente. Infatti, tranne qualche eccezione, io sto bene soltanto dove non mi trovo più: ecco perché il verbo “godere” andrebbe declinato solo al passato, possibilmente remoto
NOTA DELL’AUTORE: Gli otto testi qui presentati, insieme ai loro rispettivi commenti, sono nati dall’invito di Riccardo De Gennaro, direttore della rivista «il Reportage», che ringrazio doppiamente, poiché, a rendere più originale la proposta di tenere una rubrica di poesia inedita trimestrale, è stata la sua idea di affiancare ogni composizione ad un’autoanalisi. È nato così il progetto della presente plaquette e del suo titolo, “Verso a fronte”.