Poeti, artisti, plaquette. Quinta parte – Una specie di turning point: Print & Poetry

da | Nov 28, 2014

di Marco Corsi

Poesia giovane o affermata; grafica d’arte emergente o il nuovo lavoro di incisori da lungo tempo presenti nel panorama artistico del nostro paese; due collane distinte che mettono in evidenza una finalità comune: permettere l’incontro tra arti sorelle. L’evidenza dell’incisione e la chiarezza della parola: entrambe realizzate – perché di manufatti si tratta – con strumenti tradizionali: la pazienza dell’artigiano-artista e quella dell’artigiano-scrittore. Le edizioni d’arte della Scuola di Grafica dell’Accademia di Belle Arti di Urbino rappresentano un caso d’interazione specifica tra l’aspetto grafico e tipografico nella composizione di plaquette, lungo una storia che ormai da più di mezzo secolo percorre le diverse attività grafiche dell’urbinate intorno alla stampa e all’incisione (da ricordare l’esperienza condotta dall’Istituto d’Arte Statatale – Scuola del Libro, come Liceo artistico, nella medesima città).

“Print & Poetry” è un progetto guidato dai professori Giovanni Turrìa e Gianluca Murasecchi, in collaborazione con Isabella Leardini, che al suo nascere ha incrociato le iniziative del Premio Rimini – prima edizione 2014. Insieme, queste due realtà hanno già dato vita ad alcune esperienze emblematiche rispetto alle più ampie intenzioni della collana della Scuola di Grafica, che prevede nel 2015, in occasione del quinto centenario che ricorda l’opera di Aldo Manuzio, un calendario di 12 pubblicazioni (una al mese, indicativamente), che stringano vieppiù il sodalizio tra segno e poesia. Nel solco di questa unione, infatti, sono già nate alcune pubblicazioni che rappresentano un po’ l’antefatto di quello che seguirà e che bene esemplificano l’intento chiarito con la creazione di due diverse collane: la prima dedicata (come accennato all’inizio) alla “poesia e grafica d’arte emergente”, con una veste propria, impreziosita dai lavori dei giovani allievi della Scuola; l’altra, che potremmo definire la collana “maior”, invece, assembla testi e opere di autori già affermati.

Ad ascoltare le voci dei giovani artisti coinvolti in quest’impresa (Riccardo Bucella, Mattia Caruso, Matteo Spinelli), l’attività di “Print & Poetry” «è un buon modo per coniugare la parola al suo supporto primario, attraverso un linguaggio, quello dell’arte, che nobilita la parola stessa», dice Mattia Caruso. «I caratteri mobili – prosegue Riccardo Bucella – fanno emergere il testo, che siamo abituati a vedere piatto nella stampa industriale, e lo rendono tridimensionale, vicino all’essere umano. La tipografia non è solo una tradizione da preservare bensì è un elegante e attuale mezzo di comunicazione la cui bellezza è finalizzata al piacere della lettura».

È questo un punto di svolta, laddove vediamo fiorire sempre più spesso esempi di libri e libercoli prodotti e confezionati e di ottima fattura: che sia questo un segno di nuova vita per la poesia e per la sua diffusione sotto forma di libro se – come mi suggerisce un caro amico – anche in America addirittura si organizzano dei piccoli o grandi incontri dedicati a questa espressione?

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A inaugurare la collana dedicata ai nomi più importanti della poesia italiana contemporanea  è Disturbo nello speculare di Antonio Riccardi, con una incisione di Giovanni Turrìa.

Turrìa è nato a Francavilla (ME) nel 1970 e si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 1994, specializzandosi presso la Scuola Internazionale di Grafica d’Arte “Il Bisonte” a Firenze. E’ stato fondatore del centro l’Officina arte contemporanea di Vicenza. A partire dalla fine degli anni Novanta, ha partecipato a rassegne nazionali e internazionali di grafica d’arte, quali la Biennale di Douro in Portogallo e poi altre in Spagna, Francia, Romania, Polonia, Bulgaria, oltre alle Triennali della Permanente di Milano (2003) e dell’A.A.B di Brescia (2001, 2003). Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private come la Collezione Bertarelli e il Museo della Permanente di Milano, il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze, il Museo Villa Croce di Genova, il Museo di Alijo in Portogallo e il Museo della Stampa di Soncino (Cremona). È stato docente di Tecniche dell’Incisione nelle Accademie di Belle Arti di Foggia, Sassari, Roma, Reggio Calabria, Macerata, Venezia; attualmente insegna all’Accademia di Urbino. Vive e lavora a Vicenza dove è tra gli animatori della rassegna “Dire poesia”, come si legge anche dal catalogo: Memoria del futuro. Dire poesia a Vicenza (2009-2013), a cura di S. Strazzabosco e G. Turrìa, Vicenza, Comune di Vicenza – Assessorato alla cultura, 2013. Per quanto riguarda la realizzazione di plaquette e edizioni d’arte, nel suo caso, si ricordano in particolare i lavori realizzati per: Mario Luzi, Quattro stagioni, Scandicci, Mugnaini, 2002; Corrado Costa, Perché il rosa è sempre stato nemico del nero, Vicenza, Mugnaini, 2003; Edwin Morgan, From Glasgow to Mercury and back: dieci poesie e una intervista, traduzione italiana e cura di Marco Fazzini, , Lugo, Edizioni del Bradipo, 2004; ID. Munchausen. I racconti del Barone, a cura e con traduzione di M. Ficara, ivi, 2007; Maurizio Cucchi, Vite pulviscolari, con disegni di Giovanni Turrìa, Galliera Veneta, La spina, 2009. Sulla sua attività artistica ha scritto Angelo Dragone: Giovanni Turrìa. Figure e spazi, incisioni, Chieri, Il Quadrato, 2001.

Antonio Riccardi è certo uno dei nomi più noti tra i poeti della sua generazione, a partire dalla pubblicazione della prima silloge nei Quaderni di poesia italiana diretti da Franco Buffoni, silloge in seguito confluita nel volume d’esordio Il profitto domestico (Mondadori 1996), uscito nella collana de “Lo Specchio”, con un risvolto firmato da Maurizio Cucchi. Ora, dopo la pubblicazione di altre due raccolte Gli impianti del dovere e della guerra (Garzanti 2004) e Aquarama e altre poesie d’amore (ivi 2009), lo sguardo e l’attenzione di Riccardi si rivolgono a un’indagine emotiva di natura, per non dire cerebrale, almeno cognitiva. Lo stesso titolo scelto per il nuovo “mannello” di versi, allude a questa misura che è al tempo stesso meditativa e visiva (si legga in questo senso la duplice accezione del termine “speculare”): come se, guardati da vicino, i particolari, i dettagli, per loro natura simmetrici rispetto al lavoro compiuto dalla vista, si offuscassero, fossero appunto disturbati da qualcosa che fuoriesce dal campo visivo e diviene elaborazione, materia non inerte, ma pulsante. Il sistema si incrina e la certezza – che non cede mai ad un tono meno che rigoroso – si traduce in dubbio, o meglio in possibilità di evoluzione. È come nell’Autoritratto entro uno specchio convesso del Parmigianino, dove la visione anamorfica si realizza sia come percezione di una terza dimensione da parte del lettore, sia come parabola di posizionamento dell’individuo nello spazio che gli compete, di cui si impossessa per qualità (e proprietà) addirittura alchemiche, per via di formule e di illusioni («E perché tutte le cose che s’appressano allo specchio crescono, e quelle che si allontanano diminuiscono – scriveva Vasari à propos del Parmigianino –, vi fece una mano che disegnava un poco grande, come mostrava lo specchio, tanto bella che pareva verissima; e perché Francesco era di bellissima aria et aveva il volto e l’aspetto grazioso molto e più tosto d’Angelo che d’uomo, pareva la sua effigie in quella palla una cosa divina. Anzi gli successe così felicemente tutta quell’opera, che il vero non istava altrimenti che il dipinto, essendo in quella il lustro del vetro, ogni segno di riflessione, l’ombre et i lumi sì propri e veri, che più non si sarebbe potuto sperare da umano ingegno»).

Che si tratti di una breve e matura indagine sull’evoluzione dei sentimenti – amorosi e no, sulla scia di Aquarama – non è poi così difficile stabilirlo, specie se si legge l’ultimo componimento, forse il più sinomatico rispetto alla condizione complessiva di questo Disturbo nello speculare:

[..]

cosa ho imparato dall’amore con te:
la tua dedizione, la mia dedizione
– eravamo  sospesi, felici –

e poi l’improvviso imbrunire
della nostra piccola fortuna,
l’avviso di un’altra guerra
sotto forma di rimprovero

Già comparsa nell’antologia Alzando da terra il sole a cura di Beppe Cottafavi (Mondadori 2012), ora questa serie di poesie assume una nitidezza elementare, affinata la maniera di un dire la poesia nelle sue intonazioni più chiare, vicine alla parola quanto alla retorica, alle forme più umane della comunicazione. Facendo diventare questo parlare un’opera, per mezzo di quella speciale resistenza che viene dal potere della scrittura. Diceva Gilles Deleuze nelle sue Conferenze: «Qual è il rapporto tra l’opera d’arte e la comunicazione?
Nessuno, nessuno.
L’opera d’arte non è uno strumento di comunicazione. L’opera d’arte non ha nulla a che fare con la comunicazione. L’opera d’arte non contiene, a rigor di termini, la minima informazione. In compenso c’è un’affinità fondamentale tra l’opera d’arte e l’atto di resistenza. Allora lì sì, che ha qualcosa a che fare con l’informazione e con la comunicazione, a titolo di atto di resistenza. Ma qual è il rapporto misterioso che intercorre tra un’opera d’arte e un atto di resistenza? Dal momento in cui gli uomini che resistono non hanno né il tempo né talvolta la cultura necessari per avere alcun rapporto con l’arte… non so. Malraux sviluppa un buon concetto filosofico. Malraux dice una cosa molto semplice sull’arte; dice: ‘È la sola cosa che resiste alla morte’». E questo, potremmo dire, è anche sintomatico di un certo understatement che precorre i versi di Riccardi e li consegna direttamente alla loro meta:

[..]

considera cosa vedi e cosa vorresti
misurane la distanza
sulla tua carta millimetrata:

– il minor danno, il beneficio certo
le solite cose temperate
– dalla necessità e dall’amore –

Il congegno verbale si inserisce qui: in quel mondo geometrico in cui il poeta, al pari di uno Spinoza vivente-veggente, dimostra di conoscere gli “occhi dello spirito”. Quegli occhi che permettono di vedere al di là delle passioni e della morte. La poesia, quindi, non ha scopi persuasivi, ma funziona come una lente, per una visione libera e ispirata.

Poeti, artisti, plaquette. Prima parte
Poeti, artisti, plaquette. Seconda parte
Poeti, artisti, plaquette. Terza parte

Poeti, artisti, plaquette. Quarta parte