Una rilettura dell’Infinito

da | Mar 26, 2019

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare

L’infini

Toujours ce coteau isolé me fut cher
et cette haie qui interdit au regard
tant de parties d’un horizon plus lointain.
Mais assis devant cette vue, des espaces
au delà sans limites, de surhumains
silences, la tranquillité très-profonde
je forme en ma pensée ; à quoi, pour un peu,
s’effraierait le cœur. Et comme j’entends bruire
le vent parmi ces plantes près, le silence
infini là-bas je le compare encore
à cette voix : et me revient l’éternel,
et les saisons défuntes, et la présente
et vive, et le son d’elle. Ainsi parmi cette
immensité ma pensée va s’engloutir :
et le naufrage m’est doux dans cette mer.

(Trad. J.-Charles Vegliante)

La forma “idillio”, probabilmente di origine greca in e per Leopardi, non ha finito di suscitare in noi perplessità e riflessioni, a partire già dal primo di essi, L’infinito (1819), strofe unica senza divisione fra le più studiate della letteratura italiana. Spesso invocato, il sonetto Alla sera del Foscolo, specie con quella famosa espressione in inarcatura debole “su l’orme / che vanno al nulla eterno” (v. 9-10), ha pesato forse sulla lettura – da tempo invalsa – de L’infinito come sonetto prolungato: 14 versi più uno; a dir vero non più accettata oggi dalla critica benché diffusa (e sostenuta dalla prima versione di Alla luna con toni quasi “tardo-settecenteschi” – W. Binni), anzi spesso insegnata a titolo almeno di possibilità. Invero, non sarebbe facile affrontare un testo così noto con occhio non dico “rinovellato” (pretesa eccessiva o ingenuità) ma secondo l’apertura necessaria al tradurre, in cui ogni opera diversa va considerata come novità assoluta.
[…]
L’impressione più diffusa, alla semplice lettura corsiva della poesia, è probabilmente quella di una straordinaria musicalità. Questa è stata analizzata minutamente nel tempo, da molti studiosi che non staremo a ricordare qui, ma oggi rimaniamo colpiti innanzitutto dalla fusione o continuum dell’insieme, forse ancora da indagare. Tra i vari fattori messi in risalto, le componenti sonore e ritmiche vi sono o sembrano di peculiare importanza (ricordo solo il passaggio da -r- a -v-, già molto studiato: da caro erme guardo a sovrumani vento voce, per riassumere). Ad esempio ancora, la successione di gerundi (sedendo, mirando) echeggiati dal quasi rimante “sovrumani”, poi in assonanza forte con “interminati”, tra i v. 4 e 5, immettono da subito in quell’atmosfera di vago indefinito, spesse volte rilevata e teorizzata dal poeta medesimo già prima di essere ripresa dalla critica (è noto il “trionfo di -à-” enfatizzato da Contini). Oppure, il continuo accavallamento dei versi, per semplici inarcature o veri enjambements, ammorbidito dalla fusione vocalica interversale: ben 9 versi su 15 iniziano per vocale e danno luogo a possibile episinalefe (addirittura doppia nel momento culminante dell’ultimo verso, quel “naufragar” a tutti familiare), come collante con il verso precedente, o più vasta diluizione.
[…]
Il dettato “sciolto”, con termini comuni o lievemente letterari ma senza affettazione d’arcaismo, partecipa della stessa fluente, non vistosa innovazione. Basti l’ascolto, senza pregiudizi, dell’onda lunga della poesia fino all’annientamento finale. C’è insomma un continuum fonico-ritmico, sorretto da una struttura portante assai ferma e sicura. […] La sintassi reale non combacia esattamente con il semplice découpage grammaticale, ma i conti alla fine tornano, e anzi sono probabilmente più aderenti al flusso continuo della voce poetica, al di là o di qua dalla punteggiatura appariscente; i predicati centrali, d’altronde, sono tutti per così dire meri durativi. E ciò coincide ovviamente con quanto è stato da sempre osservato circa il continuo squilibrio degli enjambements riporti silenzi ecc. (ben atti a fluidificare l’enunciato globale del componimento), e la solida impalcatura sintattica e tematica della strofe o stanza unica: compatta di quindici endecasillabi piani, per lo più a majori, alcuni (e soprattutto l’ultimo) ancipiti, mai con accento brusco di settima sillaba.
[…]
Che ci siano rime o quasi-rime in questi endecasillabi “sciolti” mi sembra fuori discussione se solo si ascolti il suono – anzi “il suon di lei”, della poesia cioè –, senza a priori, nel fluire libero dei versi. Proporrei di chiamare meglio tali fenomeni musicali accordi, intendendo così, almeno in modo provvisorio, combinazioni armoniche o echi diffusi, o rime complesse estese su più di una vocale. […] Osserviamo tutte le uscite di versi della stanza, coi relativi accordi:

ermo colle                                          e / o

tanta parte                                            a

esclude                                               e / u

interminati                                    [e]  i / a

sovrumani                                     [o] u / a

quiete                                                  i / e

per poco                                              e / o

il vento                                                i / e

io quello                                        [i] o / e

questa voce                                   [e] a / o

l’eterno                                                e

presente                                               e

tra questa                                           a / e

pensier mio                                        e / i

questo mare                                 [e] o / a

Se si accetta l’ipotesi delle rime (o quasi-rime) per accordi – di una, due o tre vocali – si può arrivare allo schema seguente, in cui propongo di indicare con una minuscola la vocale d’appoggio laddove essa consente di non isolare in assoluto i rimanti apparentemente irrelati (cioè “esclude”, u; e “pensier mio”, i, che segno vulgo con X e Y): ABcX, BBC, ACC, ACC, CcYB. Un’architettura musicale di cinque terzetti, come si intuiva dal principio, con uno schema dominante alterno agli estremi (vv. 1-3 e 13-15 ABX / CYB), baciato con una rima aggettante nel centro della stanza (vv. 4-6, 7-9 e 10-12). Di qui, sia detto di passata, l’estrema difficoltà di resa de L’infinito in altra lingua (di destinazione), per lo meno in quelle lingue che posso bene o male conoscere… né i sonetti “quinzains” del simbolista Albert Samain, a volte evocati, hanno niente da spartire qui. […] Dal punto di vista semantico, basterebbe osservare lo schema delle rime (o accordi), dico quello meno opinabile, per trarre alcune verifiche utili […]: quanto a valenze strutturali, parola in rima equivale sempre a parola in rima corrispondente. Pur lasciando da parte le coppie più labili viste sopra (poco/voce, quiete/quello), tali “equivalenze” disegnano una rete alquanto fitta.
[…]
Con ciò non pretendo di avere inventato nulla: soltanto di suggerire in effetti un superamento della solita pigra qualifica di “sonetto prolungato in endecasillabi sciolti”, niente di più per il lettore attento. Niente di meno: il primo degli idilli contiene in sé una carica innovativa ben oltre le solite parafrasi tradizionali che ne vengono via via ripetute (dico a livello scolastico) nel tempo. Una tale complessità strutturale, in un giovane poeta qual era allora Giacomo Leopardi duecento anni fa, rimane impressionante. Non deve stupire se la sua continua reviviscenza attraverso le letture di generazioni successive, il suo “risorgimento” ne ha da sempre esaltato l’eccezionale potenza, di poesia e di pensiero, fusa in una musicalità probabilmente mai superata in seguito, nemmeno forse dal suo stesso autore.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).