[Da alcuni mesi, è disponibile il primo volume, dal nome Eden, del progetto di poesia e cultura Ultima, consultabile all’indirizzo www.ultimaspazio.com, dall’account www.instagram.com/ultima.ultima/]
Ultima è un progetto di cui per tanto tempo mi avete parlato. Potremmo dire che si è avverato un sogno?
Davvero fra Ultima e un sogno ci sono molte cose in comune. In fondo non vorremmo altro: che l’opera Ultima fosse percepita come un motore dell’immaginario e che ne rispettasse la sintassi profonda. C’è l’idea, diffusa fra noi, che una certa potenza visionaria della parola poetica possa e debba tornare ad essere messa al centro, più che del discorso, della percezione e della ricerca della poesia. Non è un caso che Ultima accompagni alla formazione di testi anche una produzione di video e la costruzione di un immaginario editoriale molto riconoscibile. La poesia e la realtà sono due parole che, per noi, vanno intese come l’una la coniugazione verbale dell’altra, l’una mette in moto l’altra, si trasferiscono l’una nell’altra in un movimento. Negli ultimi anni, la poesia è stata polarizzata fra un’espressione intellettuale algida e il lamento autobiografico o il compitino ironico, abbruttito dalla mancanza di talento e mezzi tecnici. Presa in questa morsa, non mi stupisce che chi cerchi un’emozione intellettuale, forte e potente, si sia diretto altrove e che invece il “genere poesia” stia sbarcando verso il suo totale dileguamento nel clistere della “poesia commerciale”, di Francesco Sole et alii.
Perché un progetto come il vostro, composto da quattro poeti, inizia con un volume di prosa? Perché avete deciso di chiamarlo Eden? Per un poeta, cosa è l’Eden?
In effetti non è scontato: quattro poeti che prima di sbrodolare i loro versi, propongono un ostile volumetto di prosa, di taglio fra il saggistico e il persecutorio sembra proprio che si propongano per un suicidio editoriale. Ogni anno poi il gesto intende ripetersi e variarsi, ma con al centro il mondo di altri quattro autori: insomma Ultima vorrebbe essere non un semplice amore, nemmeno una poesia, ma un progetto, da condividere con altri, di ampio respiro. Quello intorno al quale molto si discorre in questi primi quattro contributi è che la poesia sarà pure un genere letterario, ma esiste da prima che la letteratura sia codificata: è più arcaica e si allaccia al tessuto prealfabetico che ancora vive in noi; appartiene di diritto alla famiglia delle pratiche umane di conoscenza, come le arti marziali o quel complesso di saperi che noi oggi semplicemente chiamiamo filosofia, per intenderci. Va dunque avvicinata da una prospettiva complessa, cangiante, in movimento. Va avvicinata con il desiderio di esserne trasformati e non di bearsi di una “bella scrittura” o di un “tema interessante”. Oggi ciò che ci sembra mancare è proprio questa libertà di pensare la poesia come un animale sconosciuto, di immaginarla. Ecco perché quattro saggi e non subito, brutalmente, i testi: per mettere distanza fra noi e la poesia, distanza che è pensiero, rispetto, desiderio. I primi quattro autori di Ultima con il volume Eden provano a descrivere la poesia come se si tentasse di produrre una mappa di una terra immaginaria e selvaggia, mai prima vista e per questo perfetta e onirica: provano a ricordare il sogno della poesia, ciò da cui tutta una passione si mosse. Mi viene in mente l’incipit di una fenomenale poesia di Arsenij Tarkovskij: “E lo sognavo, e lo sogno/ e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,/ e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,/ e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno”.
Dalle vostre parole, Ultima sembra indicare un cominciamento, un inizio: come mai allora avete deciso un nome così apocalittico? In che senso poi la rivista sarebbe l’ultima? è forse un gioco?
No e sì. Ultima si chiama così innanzitutto perché la poesia è uno dei dispositivi che l’uomo ha per comprendere il senso della finitudine e della compiutezza. La poesia lo ricorda ad ogni passo: ogni verso spezza il fiato e ci ricorda che è stato l’ultimo. Il fatto che sempre di più si stia diffondendo una poesia senza versi è significativo: abbiamo paura di morire, paura di scomparire e perciò non andiamo più a capo e scriviamo romanzi di migliaia di pagine per calmare l’ansia… Ultima è invece una precisa indicazione editoriale: le nostre pubblicazioni non hanno numeri, non sono seriali; ogni serialità è come la prosa: illude che si possa andare avanti all’infinito. Al contrario, ogni pubblicazione avrà un nome proprio e, come un nome proprio e un individuo o una creatura, avrà una vita unica, singolare, mortale. Ogni edizione è pensata per essere l’ultima del suo tipo. Insomma, stiamo giocando, sì, con la morte: gli stiamo facendo uno scherzo.
Eppure il vostro lavoro mi sembra sia ricco di riferimenti e intende mostrare una continuità con il passato. Per esempio, nel II libro dell’Eneide, mentre l’eroe sta raccontando alla corte di Didone gli ultimi attimi disperati in cui Troia era presa dalle fiamme, così esclama: “Arma, viri, ferte arma; vocat lux ultima victos”, ovvero “Armi, uomini, date l’armi: l’ultimo giorno chiama i vinti”. Questo episodio e il significato che riveste nel poema ha per caso influenzato la scelta del titolo della vostra opera?
Beh, devo confessarti che sì: non potevamo non cedere alla suggestione. Come hai fatto a scovarla? Ma ci tengo a precisare che, innanzitutto, Ultima è il frutto di quattro poeti che condividono una certa idea di lavoro culturale e del tentativo di immergerla nel proprio tempo. Ultima vuole essere un richiamo per chi cerchi e non trovi nella poesia di oggi un luogo dove poter far risuonare ciò che sa e ciò che pensi che la poesia sappia fare. Non che ci sia stolido entusiasmo: come è evidente, la luce attorno alla quale ci raccogliamo è quella di una città in fiamme. Troia brucia e la sua luce è quella di un giorno che muore. Ma oltre la fuga, con i nostri padri sulle spalle, vorremmo approdare con i compagni su di una umile spiaggia e provare lì a fondare una nuova città.
Che cosa ritenete necessario portare fuori dalla città in fiamme? Possiamo dire che “Nulla, in poesia, è più inutile della poesia”?
La poesia ha sì una sua storia, antichissima, ma si nutre d’altro, di espansione, travalicamenti; è fuoco che brucia non da sé: è relazione, legame, spasmo. Noi vorremmo restare dentro la città che brucia, sentirne tutto il calore e dunque sì ripensiamo ad Esiodo, a Virgilio, a Dante, a Dylan Thomas; ma pensiamo nondimeno che la poesia debba sempre avere necessariamente un legame con un altrove, con altre discipline e con altre arti, con il sogno di una terra promessa, che scalci tutte le miserie di questa. Se invece la poesia si chiude in una ripetizione meramente letteraria, accetta le meschinità di questo come di ogni tempo, se insomma è vissuta come genere da lettura, da tavolino, da lettino, da comodino e non come serena arte della disperazione, va da sé che la poesia è spacciata.
E allora come si pone Ultima all’interno del gioco del mercato editoriale?
Ultima ha bisogno di mantenersi protetta, libera, sgombra da familiarità commerciali. Un mercato va trovato, certo, ma qual è il giusto mercato per i nostri tempi? Noi vogliamo sì provare a diffondere un’idea, ma a noi interessa mantenerla viva, sveglia: molti ne fanno volentieri a meno e si accontentano di cadaverini travestiti da unicorni. A noi piacciono le cose vive e potremmo mollare domani e tornare a fare ognuno i cavoli propri. Vogliamo sentire di essere senza contratto, senza impegno, slegati da ogni possibilità di performance: persino slegati dall’idea di insuccesso. Mi capisci? Vogliamo – come diceva Brecht – lavorare al nostro prossimo fallimento. In più, è necessario aggiungere che in Ultima c’è la volontà di operare con alcuni margini poco esplorati del mercato editoriale e non con il suo centro. Per esempio ogni pubblicazione sarà stampata nel formato print on demand e sarà acquistabile attraverso le piattaforme on line di Amazon, senza che questo comporti per noi un investimento economico: volevamo insomma saggiare quella straordinaria libertà dai e dei mezzi materiali che l’avanzato abisso della nostra economia ci permette in maniera quasi gratuita, come mai prima d’ora. Trasformare ciò che è percepito come decadenza culturale (la possibilità del self-publishing e l’assenza di intermediari) in un momento creativo e anti-commerciale. Abbiamo preso i mezzi del commercio e provato a forzarli perché ospitino qualcosa per cui non sono propriamente pensati: vediamo cosa succede. Facciamo lavorare i margini. Con la seconda pubblicazione e con la terza, ovvero con OVERVIEW EFFECT e VOX (che usciranno, forse, in primavera e in estate), la cosa sarà ancora più estrema ed evidente: saranno libri graficamente curatissimi, dal contenuto multimediale; libri impossibili, che nessuna casa editrice sana di mente avrebbe pubblicato e che invece oggi sono completamente realizzabili.
In ultimo: la morte. Ne siete ossessionati, questo è evidente, ma credete davvero, come sembrate affermare a ogni passo dell’opera, che bisogna trovare un nuovo nome alla morte? Che il problema, il problema che non ci dà pace, che ci coglie nei nostri letti, che ci leva il sonno è solo nominale, semantico?
Ah ah: sei meraviglioso! Pietro, proprio tu ci insegni che Death shall have no dominion! La morte è un relitto grammaticale.
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Ultima è un progetto di Tommaso Di Dio, Giuseppe Nibali, Damiano Scaramella, Fabrizio Sinisi, per la cura artistica di Ilaria Mai.
Pietro Antonio Lovato (1993) si laurea in Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Bari con una tesi sul rapporto fra la poesia moderna (in particolare i poeti Leopardi e Sereni) e l’antropologia. Attualmente è supplente nelle scuole secondarie superiori.
Immagine: Shirazeh Houshiary, Shroud, 2016.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).