di Dario Borso
Nella tarda primavera del 1909, il primo poeta delle Russie girò per l’Italia con la morte nel cuore.
I connotati metafisici della crisi gli si profilarono alla seconda tappa:
Tutto ciò che balena un solo istante
e perisce, tu l’hai già seppellito
nei secoli, o Ravenna, e come un bimbo
dormi nell’assonnata eternità.
La poesia sviluppa l’incipit per altre sei quartine disseminate di lapidi, sarcofaghi e mausolei (ché anzi case e uomini – tutti sono tombe): la malattia sta nella caducità, una caducità così luttuosa da mostrarsi coi tratti grotteschi di una sepoltura eterna, di un’unica possibile, e immortale, ripetizione. Però nell’ultima quartina:
Solo a notte, chinandosi alle valli,
enumerando i secoli futuri,
l’ombra di Dante dal profilo d’aquila
vien cantando per me la Vita Nuova.
Lui, il sommo poeta, che partecipa di quel destino per il sol fatto di essere lì sepolto, apre al futuro, con la sua Vita Nova.
Dante sta per la poesia: ma come può la poesia aprire, ovvero come può guarire, essere la medicina? La domanda resta inevasa, a Perugia verso fine maggio è la stessa solfa:
Indubbiamente, una parte del carattere cupo delle mie impressioni, debbo attribuirle a me stesso: perché gli incubi russi non si possono affogare sempre nel sole italiano. Ma l’altra parte, la maggiore, di questo umore tetro, si spiega col fatto che la vita di Perugia è morta, una nuova non ci sarà.
Sulla via per Spoleto, il primo giugno Blok pernotta a Foligno, e la mattina dopo compone:
Искусство – ноша на плечах,
Зато как мы, поэты, ценим
Жизнь в мимолётных мелочах!
Как сладостно предаться лени,
Почувствовать, как в жилах кровь
Переливается певуче,
Бросающую в жар любовь
Поймать за тучкою летучей,
И грезить, будто жизнь сама
Встаёт во всём шампанском блеске
В мурлыкающем нежно треске
Мигающего cinéma!…
А через год – в чужой стране:
Усталость, город неизвестный,
Толпа, – и вновь на полотне
Черты француженки прелестной!..
L’arte è un fardello in spalla assai pesante,
ma noi poeti sappiamo suggere
il succo delle cose più effimere!
Qual dolcezza languire nel far niente,
sentire melodioso il sangue in vena,
acciuffare dietro una nube che fugge
l’amore che in alte vampe arde,
sognare che la vita stessa, appena
desta, come bollicine di champagne
salga su tra le soavi fusa lente
d’un cricchiante, sfarfallante cinéma!…
E un anno dopo – tra straniera gente
esausto –, di nuovo sulla tela sta
il sembiante dell’avvenente francese!…
Di Foligno, Blok non ha visto né riporta niente, ma a Foligno è stato al cinema.
Ai primi del ’900, dopo una breve fase in cui i film muti venivano proiettati nelle piazze durante sagre e fiere, nelle grandi città sorsero i primi cinema stabili, mentre in provincia i piccoli teatri, che oltre alle recite dell’immancabile filodrammatica già ospitavano opere liriche, spettacoli di varietà e veglioni, aprirono volentieri le porte al cinema. Così avvenne a Foligno per il Teatro Apollo costruito nel 1826, ribattezzato Piermarini nel 1891 in onore del folignese progettista della Scala di Milano, e convertito infine da privati in una sorta di caffè-concerto come Teatro Bonazzi.
All’inizio del 1908, a San Pietroburgo, Blok di ritorno da un film francese, aveva appuntato: “Il cinema è oblio – l’arte è ricordo”. Ora invece, a rivederlo, muta radicalmente opinione: la riproducibilità tecnica non determina la scomparsa dell’aura, anzi la suscita a tal punto da attivare una ripetizione buona, capace di risuscitare il tempo perduto.
Di più: Blok conosceva la lettera di Puškin a Katenin, dove il mittente liricizza lo champagne a proposito di un’attrice francese rivista poco prima sulla scena. Il film dunque rievoca non solo l’attrice, bensì il poeta massimo dell’età d’oro russa, per una ripetizione a catena che s’incarna in citazione, tanto da far pensare che sia stato quest’ultimo ricordo a innescare l’ispirazione sin dall’incipit, se è vero che “Puškin seppe portare con allegria e gentilezza il suo fardello, sebbene il suo ruolo di poeta non fosse né facile né allegro”.
Il due giugno Blok raggiunge Spoleto, il tre è nella cattedrale di Santa Maria assunta davanti alle Storie della Vergine di Filippo Lippi, e alza gli occhi all’abside, dove Maria, appena assunta in cielo, viene incoronata da Dio padre:
Sottile sei come un cero del tempio,
l’occhio hai trafitto da spade d’amore.
Io non ti chiedo un sol bacio: in silenzio
vorrei deporre sul rogo il mio cuore.
L’allegretto andante di Foligno ora si fa maestoso adagio: dall’estetico al mistico, dall’allegria alla gioia. Ma sarà solo per poco – giorni dopo a Firenze: Oh disperata tristezza, / io ti conosco a memoria!
Note:
L’incipit di Ravenna, come il brano su Perugia, è in E. Lo Gatto, Russi in Italia, Editori Riuniti, Roma 1971; l’excipit in A. Blok, Poesie, a cura di A. M. Ripellino, Lerici, Milano 1960.
Il Teatro Bonazzi fu trasformato dopo la prima guerra mondiale in Cinema “Vittoria”, e distrutto da un bombardamento durante la seconda. Cfr. in generale G. P. Brunetta, Il cinema muto italiano, Laterza, Bari 2008.
Su Blok e il cinema, cfr. N. Drubek, Russisches Licht, Böhlau, Wien 2012.
La frase di Blok su Puškin è tratta da J. M. Lotman, Vita di Aleksandr Sergeevič Puškin, Ledizioni, Milano 2012.
L’incipit de La Vergine di Spoleto è in R. Poggioli, Il fiore del verso russo, Einaudi, Torino 1949.
Sul fallimento nel 1907 della prima Rivoluzione russa come causa scatenante della depressione, cfr. A. Blok-P. Celan, I dodici, a cura di D. Borso, L’arcolaio, Forlì 2018, e sugli effetti a medio termine https://www.lestroverso.it/macabro-blok-dario-borso/.