Quattro traduzioni inedite, a cura di Stefano Bottero, da “The Clerk’s Tale” di Spencer Reece, uscito per Mariner con introduzione di Louise Glück nel 2004. Ringraziamo l’autore e l’editore per la concessione alla pubblicazione.
QUESTA NOTTE
Stai nascendo. Fa stare bene.
Qualcosa di enorme ti bacia.
I suoi occhi scandagliano le tue rivoluzioni.
Disteso nella tua nuova nudità,
porti a termine le tue orecchie labirintiche,
quei discepoli perfetti
che rilevano ogni brusio, ogni ticchettio.
Oh tu Enciclopedia, tu,
tu non sai quello che so,
quanto vuoto il mondo gelido può crescere.
Ma rimanda i post-scriptum a più tardi.
Io ascolto la polvere dalla città
addensarsi al collo dei santi
alle uscite dell’ospedale da cui esco
E dico quindi a te sì a te:
ognuno è in fuga. Ognuno.
DIMINUENDO
(per Barney Bush)
Il caldo della notte del Midwest si colma del silenzio degli olmi
piangenti nella più scura delle ombre,
le loro membra profonde come dovettero essere quelle di Cristo,
mentre due amanti si sfogano tra le piante
e gli ortaggi discutono in piccoli gruppi di supporto
della catastrofe delle loro morti prossime
e il cielo sgorga e tremano i gigli dei campi
nell’angolo calante delle ore in cui vibrano le case di riposo
e gli anziani si fanno strada per i corridoi
verso un vuoto oblio stordito come tristi gondolieri
arrancando sotto le stelle che si piegano al loro sforzo di lamenti
e quando le nonne di questo universo,
uniche vere professoresse di storia, cadono dalle loro scogliere di cuscini,
le loro preghiere permanenti ululano intrecciate tra i rami inchiostrati della notte,
la loro storia sfonda i marciapiedi induriti,
e i loro desideri passano più o meno inosservati,
alle quattro del mattino in un’alba sgranata a Northfield, Minnesota.
ÉTUDE
Vai al locale gay dove flirtano i giovani e i vecchi,
ascolta i loro discorsi, brevi e bruschi,
studia la musica dance che ti batte nel petto,
menziona magari che c’è più patos
nell’attesa dell’evento che nell’evento stesso,
potrebbe forse darti una mano, se una mano è quello che ti serve,
un secolo è finito, uno nuovo inizia,
questa cittadina di mare è costruita in finto toscano,
nota le donne truccate troppo a fondo con vestiti di Chanel
annuire nei ricevimenti in ristoranti di lusso,
aspettano come tutti dobbiamo aspettare,
annusa le calli cariche di ibisco, gardenie e gigli,
questa è l’America, questa è la Florida,
dove la storia non è esatta quasi mai e la seduzione della bellezza è tutto,
senti la città che ti si addensa sulla pelle –
la sporcizia, gli scarichi, il vapore dei lavaggi, l’acqua salmastra,
lascia che la punta della lingua senta le cupole in rovina
o le chiese corrose dall’Atlantico,
scruta le finestre che riflettono le imbarcazioni della polizia
che passano – rosso blu rosso blu rosso blu –
ascolta i coleotteri bombardieri strimpellare i loro strumenti,
guarda le luci dei grandi immobili risplendere,
segna le disposizioni dei pini australiani che impietriscono,
e se un nuovo amico dovesse prenderti il braccio
non definirne il gesto, no,
lascia che la luna ti sparga ovunque il suo sciampo,
permetti alle palme dalle deboli radici
di cullarti per la strada principale.
INTERLUDIO
Siamo due uomini su una panchina
a Palm Beach ignari dei due uomini
che mettono in moto il furgone con
quel ragazzo del bar trascinandolo
nel buio verso il recinto legandolo
con una corda a un palo a Laramie,
Wyoming, dove congela e muore
in cinque giorni. Tesoro, è tardi.
Il Flagler Museum è chiuso.
Resta con me. Rimani qui con me.