Cinque poesie in anteprima da “Su, dritti in piedi!” di Eduardo Ainbinder, nella traduzione di Francesco Tarquini, da poco uscito per le Edizioni Filo D’Aquilone.
NELLA NOSTRA CASA ISTITUZIONE
sono le sedie i soli abitanti dritti in piedi.
E anche se senza tregua
udiamo le strida
del nostro istitutore: Su, dritti in piedi!,
non c’è maniera, non c’è modo
di non sembrare altrettanti Quasìmodo.
E se picchia alla porta
della nostra Casa Istituzione
qualche egoista in vesti di altruista
all’oscuro della regola essenziale
che dice: “A chi accatta con aria vergognosa
non si chiede, si dà”,
niente abbiamo da dare
a meno che un giorno diventiamo
striminziti al limite del possibile
se non altro per offrire
all’aria minore resistenza.
SAPPIATE
che la nostra forma di governo
si basa su un sistema di carrucole,
quando un nano sale al potere
scende un gigante, o viceversa.
La mia filosofia non arriva più in là
dello scrivere insulti anti-regime
nel fondo delle grotte
che subito qualcuno leggerà come elogi
dato che funziona ventiquattr’ore al giorno
la macchina che trasforma
in lodi i vituperi.
Avevano più successo quelli che lasciarono scritti
amorosi consigli su un ventaglio, lo so.
E siccome a scrivere nelle grotte
invettive anti-regime non si campa,
sotto l’attento sguardo del mio capo,
lysoform in mano, pulendo cacche e insulti
dalla statua del tiranno di turno, vado.
IL GRAFOMANE
spedisce il segretario a render noto
alla sua scrivania e alla lampada cocciuta
che resta accesa tutto il santo giorno:
“Dice il Signore che non scrive più”.
Anche se inutilmente, le cose inanimate
vanno sempre cercando un par d’orecchie
onde sbraitarci dentro ogni pretesa:
“Noi siamo àgrafe, scrivi tu su di noi,
narra la storia delle nostre vite.
Ti daremo una mano”.
Se il grafomane dietro le tende si nasconde
loro lo avvolgono in tele appiccicose
sussurrandogli all’orecchio: “Rivela i nostri segreti”.
Se invece da ciò che è inanimato fugge via
e si rifugia nel bosco, persino le fate
e gli gnomi gli chiedono una storia per bambini,
altri un’urgente recensione
su un poeta senile pretendono
se va a sdraiarsi sopra una panchina
in un parco e si copre coi giornali.
L’IMPREVIDENZA
è difetto di speranza.
Vuol dire squilibrare la bilancia
pensare che vantaggi avrà in sorte
colui che si propone di mantenere
una corrispondenza con il mondo
dove ogni difetto, ogni disattenzione
sono a suo intero carico;
adotta una carenza di logica primaria,
nessuna cosa col suo nome chiama,
nomina in forma ambigua chi più ama
e nonostante sia del tutto improrogabile
nessuna cosa chiama in modo perdurabile
e inalterato, sempre uguale a se stesso,
chiama l’imprevidenza con un eufemismo,
“Risvegliarsi in luoghi imprevisti,
neppure in sogno intravisti”.
CAMMINA IN LINEA RETTA
ignorando giri di vite o punto di fuga.
Non è giusto odiare la tartaruga
per il fatto che resta silenziosa
o perché non è completamente alata
e comunque con questi segni distintivi
chi mai oserebbe amarla?
Se una favola le dette la parola
non le concesse però
il dono del conversare,
se parlò per davvero, i rumori
molesti di ogni epoca
si occuparono di ridurla al silenzio.
Fin dall’inizio il suo progetto è tracciato:
proviene da un silenzio ancestrale
quello che farà d’ora in poi sarà tacere,
o tutt’al più si roderà in sordina
chiedendosi se restarsene immobile
o andarsene al diavolo, silenziosamente.