Soggiorno inglese

da | Mag 13, 2014

[Poesie inedite]

I

Andrebbe necessariamente calibrata
la misura,

poi l’insolenza della fretta, il su e giù dei passeggini,
e il resto.

Questa corriera ci porta fino ad Alnwick,
poi, poi dobbiamo camminare.

Viene ancora un altro pascolo, un rivolo gelato,
qualche castello.

È terra che fatica a riconoscermi.

Tua madre dice che le ricorda
la pianura pontina tra Latina e Terracina:
eppure è stato clemente il paesaggio,
più degli uomini.

Tu perché non mi accompagni
in questo viaggio di colori:
verde marrone giallo
vince chi vede per primo
un cavallo selvaggio o un pascolo di armenti:

questo sarà il gioco.

*

sì, manca la perizia,
la perizia è attesa,

e che un uomo
costruirebbe anche una casa
con le proprie mani,

supplichiamo la possibilità
di sdebitarci (ognuno crede speciale
il proprio lavoro quotidiano, la propria fatica
quotidiana).

Io menomale che ho te da accompagnare
fra i sentieri, lungo il fiume Wear,
dove raccogli minuziosamente pezzetti
di legno, che poi diventeranno canne
da pesca, spade, costruzioni.

(«Papà, Papà hai paura?»), la paura non è sotto
questi alberi, che la paura semmai è lì fuori:
nelle case, nelle persone.

***

II

Sapete, l’osservazione diretta dei fenomeni
è pratica possibile e preferibile.

Dalla veranda a giù: un tutto di terra.

Poco vicino troviamo Ignazio
che passeggia avanti e indietro
per tutta la veranda,
e supplica.
Fu conoscenza diretta la sua?
o chiusa nella tua straordinaria furbizia
già sospettavi il continuo.

«Non è capacità
sovrapponibile quella degli occhi»,

è una voce da sotto,
e la voce è quella di Ignazio,
e la nostra caduta è molto simile alla sua
perché anche io come lui
ho paura perennemente di essere un nonnulla.

E provo a spiegarlo ad Ignazio,
che si è messo a disegnare combinazioni
di numeri sopra un foglietto, e supplica,

«quello che proviamo è quello che provano
tutti, non è speciale qualità,
o persecuzione,
ma troppa valutazione
che diamo al nostro io,
forse».

*

Fu quando cercai di comprendere
l’equazione,
e a disegnare schemi e tabelle
sopra un foglio,
perché fosse poi più chiaro a voi:

e lo pensavo affacciato dall’Albert dock
quando prendevo a misurare la distanza.

Eppure la stessa distanza
mi resta già accaduta,
che devo colmare,
come se non ci fosse poi un reale
disegno, da realmente proseguire.

***

III

La clemenza di Tito

Provate a dire quanto supplichiamo
con maniacale puntualità.
E consigliavano di non supplicare
ad alta voce, o almeno qualcuno
lo disse.
Fu quando mi portasti
dove lo scorrere dei minuti
ancora contava:
fra la musichetta settecentesca,
se fu primo avvertimento del gelo invernale
o presagio di un mio estremo rinnovamento,
non saprei dire.
Ma da qui,
andrebbe attentamente ascoltata
la storia, senza insistere alla conclusione,
o come giudicare
l’arte della scultura funebre.

Eppure si mostra un barlume di indizio,
un speranza: e immacolata ad ogni disattenzione
chissà quali mai sublimi pensieri covavi.

*

Fu quando si parlò di Metastasio
ma si sarebbe dovuto parlare
di me.
È rammarico o affronto
chiuso nel mio umano egoismo,
e lo sospettavamo che la città
sarebbe collassata
in se stessa, ora più simile a noi.
Mi ritornava quell’idea, prepotente,
di un non-io irrisolto,
e il garbo di Carlo,
anche.

Se è poi vero
che poteva essere invidia,
o che siamo tutti indirizzati
ad un predestinato scopo:

a questo imbuto di apparati
positivi, a questi melodrammi settecenteschi,
alla tua straordinaria abilità razionalistica.

Immagine: Ottone Rosai, Case al sole, 1958.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).