Socialismo epico

da | Apr 9, 2025

Quattro poesie inedite.

 

HADOUKEN

Voglio un amore come Ranma e Akane,
Cerco un amico come Ken o Ryu:
Adesso sento che non riesco più
A sopportare relazioni vane…

Gli spettri comparivano in tivù,
Portavano da terre assai lontane
Un verbo: ne erano le icone strane,
Ma tali da adombrare la virtù.

Un bacio dato infine sullo Scotch,
Un volteggiare, lento, con le braccia,
Per concentrarsi e poi gridare: Hadou!…

Tornando a casa lungo questa traccia,
Il bene dice meno sì che no:
È stare nell’assenza, pur se spiaccia.

 

*

A YUKIO MISHIMA

Ricordi, Yukio,
Quando correvi nello stadio
All’alba?
Come una limpida magnolia
Riecheggiava dei tuoi passi
Cadenzati, solitari…
Anche il buon Hölderlin si domandava
Dove si fosse estinta l’eco
Dei carri olimpici, pindarici:
E già vaticinava il sorgere
Di nuovi eroi da bronzee culle,
Primizie della terra
Di Germania…
Ho letto inoltre di filosofi
Oggigiorno
Che lodano in Platone il forte atleta
Insieme al pensatore:
Superba idea, ma troppo nobile
Per fare del discepolo di Socrate
Soltanto un liberale…
Osserva il canone di Policleto,
L’uomo rappresentato dalla Grecia
Classica:
Poco ha di umano, è impersonale,
Come quel kamikaze incredulo
Al pensiero della propria morte…
È questo l’eroismo,
Lo stereotipo, la posa,
La forma che divora il contenuto
E l’ego stringe in una morsa:
Ma come polvere e pressione
Partoriscono le stelle,
Così quella costante continenza
Incendia ogni passione,
Ogni timore,
La paura:
E dalla loro massa lutea
Un filo d’oro estrae
Come olio sacro incandescente,
Per irrorarne il capo del guerriero
E farne un pezzo di armatura,
Un elmo.
Pari a Diomede che respinse il bieco
Marte tra i lavacri portentosi
Usando il casco di Plutone,
Così quel puro scruta adesso
Il suo nemico, fiero, dritto in volto:
Il triste girotondo
Di una volontà ridotta
A scegliere tra merci come massima
Espressione…
Quanto è concesso a un umile mortale
Il nostro rassomiglia a un dio,
E ne è la prova che non dice “è mio”
Di fronte ad alcunché di inessenziale:
Ormai lo vede chiaro, il vero male,
Il solo Marte è il capitale…
Mio caro Yukio ti struggevi,
E ne morivi, per la patria
Disarmata
E deprivata di ogni tradizione:
L’imperatore giapponese
Si fa uomo,
Le conseguenze di una guerra oscena!
Ma non lo vedi che la stessa guerra
Che il nazionalista ammalia
E ingrassa l’industriale
Ognora la conduce, goccia a goccia,
Brano a brano,
Quel titano immane?
E non c’è fulmine d’Olimpo
Che agevolmente ne distrugga i cento
Bracci di Briareo,
Le cento teste d’Idra,
Senza accurata informazione:
Esporta la democrazia
Per poi corromperla e succhiare ai popoli
La vita,
E dove c’era già democrazia
Ne fa un’oligarchia,
Sì che la guerra possa ancora farsi
Insieme ai sùbiti guadagni.
Striscia,
Senza essere sentito striscia,
Come un serpente silenzioso,
Ma quando incontra chi si oppone
Allora fischia un sibilo di bombe,
Morte e distruzione:
E non si ferma innanzi a bimbi, donne
O a un ospedale…
Poiché è un nemico universale,
Universale sia la lotta,
Nessuna distinzione
Come lingua, sesso, razza o religione
Sia essenziale,
E tantomeno di nazione:
Così desidera piuttosto quello,
Il capitale,
Per impedire l’internazionale,
Una riscossa multipopolare…
Come Maria schiacciava l’aspide
Sotto il deciso suo calcagno,
Così le donne sempre l’avversarono:
Ecco la madre di Agide spartano
Dire che suo figlio è morto
Per l’umanità, per la riforma
Agraria, e la fortissima Cornelia
Trarre vanto dalle gesta
Di due martiri, Tiberio e Caio
Gracco:
Ucciso il primo a colpi di sgabello
E fiero nel suicidio suo fratello…
L’antichità lo annuncia senza posa:
In Grecia come a Roma,
Come una luce prima di passare
Dentro un prisma,
Non c’è che una dottrina sola,
Un unico colore che si approvi:
Essere indipendenti dalla sorte,
Dalle cose,
Dalla morte,
Ciò che se crederai sul serio
Di te farà un eroe,
Un vero classicista.
Ricorda, Yukio, tutto questo,
Quando ci investirà quella tempesta
Che evitasti, e già te ne crucciasti
In vita,
Quella tempesta che il capitalista
Lancerà mondiale,
Nell’ora che sarà colpito
L’animale inviso al buon San Giorgio,
E vinto spezzerà altre vite
Con la coda,
Viverna che ferisce anche sconfitta,
Anche se è morta:
Ora che cinque nobili paesi
Si levano dal Sud del mondo,
BRICS,
Ecco che tuona l’ora della lotta:
La terra tutta intera sarà scossa,
Un brivido trascorrerà per essa
Come corrente d’acqua poderosa,
E in mezzo all’infuriare,
In mezzo alla devastazione nera,
Resisterà soltanto uno stendardo,
Una bandiera rossa:
Il vero classicista, Yukio,
È comunista!
Platone, atleta e pensatore,
Di questa verità
È l’araldo più efficace,
Voce stentorea nel deserto
Del capitalismo:
Tutto il suo Stato venerato e mal
Capito ha questo nòcciolo,
Che l’unico potere vero,
Solo e legittimo sovrano,
È quello che rispecchia la ragione,
Il politico:
Per cui gli splendidi custodi
Non hanno proprietà privata,
Giacché l’economia
Non deve profanare quel sacrario
Invitto, l’ordinamento
Filosofico, repubblicano.
Il cielo stesso non è indifferente
E questo dramma rappresenta:
Il toro dall’oroscopo
Si avventa contro il grande cacciatore,
Orione che sta fermo,
Sempre, tutte le notti in cui la luna
Tace,
E se la rossa Aldebaran si imbruna,
Ricorda che limpidamente rossa
È Betelgeuse, la spalla
Pronta a castigare il mostro
E a propiziare il sorgere del giorno.
Non c’è altro Dio che Dio, se non Mammona,
Il contro-Dio,
Sii tu, mio caro, forza che trattiene,
E mentre lucidi la tua corazza
Prega,
Se questo adesso è il tuo volere.
Bada, del resto, che Gesù e Maria,
Con la teoria di tutti gli altri santi,
Procederanno sempre avanti
Ai dodici guerrieri inarrestabili,
Scarlatti, come cantava Blok,
Volendo estremizzare…
Tu, Yukio,
Rincorri il sole all’ombra dell’acciaio,
E tieni sempre a mente che la stella
Più lucente è quella che l’aurora
Irradia, bella,
Dal domani:
E che il metallo più sincero informa
Attrezzi da lavoro,
Preziosi come l’oro,
Ritratti dentro un simbolo perfetto,
L’emblema della falce e del martello.
È stare nell’assenza, pur se spiaccia.

 

*

RISO

Il riso è il cibo dei filosofi,
Bianco, incorrotto,
Costante nel colore e nel sapore.
La differenza incanta gli animi
Più semplici,
Ma il saggio guarda a ciò che è sempre uguale,
All’essenziale, ciò che è.
Nasce dall’acqua il riso,
Come la vita stessa,
Come Talete antico sosteneva:
È un germe inamidato, zuccherino,
Che di ogni cosa può esser parte.
Lo gonfia il brodo,
Acqua al quadrato,
Lo zafferano lo trasforma in oro,
E fritto, guscio per la carne,
Ritorna sfero primordiale:
Un sole ermafrodito che sprigiona
Un cosmo tra i vapori, l’arancino,
L’arancina: memoria di Arabi
In Trinacria…
Può essere crudele il riso,
L’uomo e la donna lo coltivano,
Esige un macero tributo
Alle caviglie loro,
E il suo chiarore è frutto di un processo
Di innaturale scorzatura:
Ma il riso è pure educatore,
Per il dolore e per la disciplina,
E il proletario sa che in lui risiede
Il suo vigore:
Insegna all’uomo il socialismo, un chicco
solo è inessenziale,
Ma il tutto è carne e sangue al combattente,
Al rivoluzionario.
Il riso, dunque, è sacro,
È l’architrave, il cibo della prova:
Chi si accontenta di una sua scodella
È senza dubbio un custode,
La guardia rossa di Platone,
Un niente che è tutto in potenza,
Aristocratico ma comunista:
Che altro non possiede che quel mondo
Che strapperà al capitalista.

 

*

PORPORA

Non so se è l’alba o se è il tramonto,
Un sogno lucido,
Qui solo l’essere può essere.
Se ascolti la risacca sentirai
Che il bue-leone è un animale vivo,
Palpita.
Dentro la stanza cubica una donna,
E nella donna un grido e dentro il grido
Un nòcciolo:
Le astanti ammirano colei
Che è nata nello sputo di un mollusco.
La porpora è l’impero,
Il porfido e il soffitto verticale
Insegnano che l’uomo è un faraone,
E una conchiglia la sua tiara.
Un bimbo sa dal sussidiario
Le salmastre vie di Tiro
E di Sidone in terra di Fenicia:
Non meno di Anna figlia del Comneno
Anch’egli è re, porfirogenito.
Che cosa dice la risacca?
Un’eco di onde distruttrici,
Quest’oggi il Mar di Marmara sospira
Odore di sciagura…
Ignoro se è il crepuscolo o l’aurora,
Il mio sudario è una bandiera rossa:
Settanta volte sette
L’uomo ha perdonato, sono
Quarantanove lische sulla pelle,
Nella carne, ogni dieci anni.
Il bue-leone ride sotto i baffi:
Qui solo l’essere non è.