Cinque poesie di Richard Harrison, a cura di Riccardo Frolloni. Le prime tre sono inediti: On Day 20 of the Quarantine, He interrupts a Poem to Write to a Friend in Vermont; Where Irisis Grow; The Stone. Le altre due sono tratte da Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione (‘roundmidnight edizioni 2018): This Poem is Alive Because it is Unfinished e On Not Losing My Father’s Ashes in the Flood. Le poesie non riportano la spaziatura grafica degli originali: ci scusiamo per l’inconveniente. Ringraziamo l’autore per averci messo a disposizione i testi.
Ventesimo giorno di quarantena, interrompe una poesia per scrivere a un amico nel Vermont
Ieri ho scritto, Talvolta il passato è un posto lontano
che ancora pensi di raggiungere.
E ho ripensato all’amico David Cavanagh,
che scrisse di Neil Armstrong
rivolto alla luna: Oh sì, ci sono stato.
Così ho scritto a David che speravo
che lui e sua moglie Sharon stessero bene.
Talvolta le poesie devono aspettare,
mi dico, abituato come sono
ad abbandonare tutto e semplicemente scrivere
quando lo sento.
La poesia è un momento sacro intuìto in silenzio;
trascorso quel momento possiamo parlare.
E sebbene il linguaggio stesso sia una cosa sacra,
è una cosa sacra che s’intrufola in un’altra
così che questa non sia perduta,
nonostante ogni poesia sia la brutta copia della sua esistenza.
E penso ai poeti che devono
aver avuto momenti simili in trincea
e dovevano portarli alla cacofonia
fino alla fine del bombardamento o al ritorno
e potevano scrivere solo dopo il conteggio dei morti.
Ricordami, come nel loro dolore, poesia di guerra divenne poesia d’amore.
Tutto chiuso questo pomeriggio.
Abbiamo tutti paura, ma i corvi si corteggiano
mentre volano vicini l’un l’altro sopra McHugh Bluff,
le ali si sfiorano sempre così delicatamente,
e in tutto ciò che scrivo,
voglio che le parole portino il pennello della mia mano.
On Day 20 of the Quarantine, He interrupts a Poem to Write to a Friend in Vermont.
Yesterday I wrote, Sometimes the past is a place far away
that still you think you could get to.
And I thought of my friend, David Cavanagh,
who wrote about Neil Armstrong looking up at the moon
and thinking, Yeah, I’ve been there.
So I wrote to David and said I hoped
he and his wife Sharon were faring well.
Sometimes the poems must wait,
I say to myself, accustomed as I am
to dropping everything and just writing
when I feel like it.
The poem is a holy moment perceived in silence;
only after the moment is passed can we speak.
And though speech is a sacred thing, too,
it is a sacred thing that intrudes upon another
so that the other is not lost,
yet every poem is an apology for its existence.
And I think of the poets who must have
had such moments in the trenches
and had to carry them in the cacophony
until the shelling stopped, or they returned
and could only write after the counting of the dead.
Remind me, how in their grief, the poetry of war became the poetry of love.
Everything is closed this afternoon.
We are all afraid, but the crows are courting
as they fly close to one another over McHugh Bluff,
their wings touching ever so lightly,
and in everything I write,
I want the words to carry the brush of my hand.
Dove cresce l’iris
Nella città di Oxford, alla House of Rhodes,
abbiamo portato le ceneri di mio padre, mia moglie ed io,
al giardiniere, che disse: Portatele all’usciere.
Abbiamo portato le ceneri all’usciere, che disse:
Portali dal padrone di casa.
Le abbiamo portate al padrone di casa che disse:
Potremmo prendere le ceneri di questo vecchio soldato
e posarle dove sognava che suo figlio avrebbe studiato
anche se non è mai accaduto. Possiamo deporre le sue ceneri qui
e finire il cerchio che la morte ha interrotto,
nel modo in cui la morte sempre interrompe –
Il padrone di casa disse: Guardte fuori dalla mia finestra.
E abbiamo visto dove i giardinieri
avevano con cura modellato le piante
al desiderio dell’occhio umano
lungo il cammino per la luce –
come il primo compito dell’umanità,
l’unica opera di Adamo in Paradiso.
Vedi lì? disse il padrone di casa,
indicando la banchina erbosa e i fiori
in volo a seminare il piccolo Eden
e fanno crescere le cose su questa terra;
questa casa era una volta il palazzo di un re
che ha stabilito il suo ultimo trono presso il fiume;
quella banchina una volta era il suo baluardo.
E io dissi, quella banchina era una volta
il muro d’Inghilterra, quindi, il muro cui
mio padre ha offerto la sua giovinezza in difesa.
Lasciami deporre le sue ceneri lì.
Andammo alla collina che una volta era un muro
ed era coperto di iris e di pallida erba selvatica,
proprio come i paesaggi che mio padre
faceva quando io ero giovane.
Così accanto a quei fiori tremolanti mi sono inginocchiato
e versato le ceneri grigio vetro dalla sua coppa
e riflettevano la luce sulle foglie come rugiada,
e finché la mia mente può
trattienile, saranno lì, dove
le iridi crescono al capriccio delle brezze,
e posso vedere mio padre dipingere ancora.
Where Irises Grow
In Oxford town, at the House of Rhodes,
we took my father’s ashes, my wife and I,
to the gardener, who said, Take them to the bearer of keys.
We took the ashes to the bearer of keys, who said,
Take them to the Master of the House.
We carried them to the Master of the House, and said,
May we take the ashes of this old soldier
and lay them where he dreamed his son would study
though it never came to pass. May we lay his ashes here
and finish the circle that death cut short,
the way death always cuts –
The Master of the House said, Look out my window.
And we saw where the gardeners
had shaped the plants in their care to
the human eye’s desire
on their way towards the light —
as it was with humanity’s first task,
Adam’s only work in Paradise.
See there? said the Master of the House,
pointing to the grassy berm and the flowers
that blew to seed in the little Eden those
who grow things make upon this earth;
this house was once the palace for a king
who set his last throne by the river;
that berm was once his rampart.
And I said, that berm was once
the wall of England, then, the wall
my father offered up his youth defending.
Let me lay his ashes there.
We went to the hill that was once a wall
and saw it was covered with irises and pale wild grass,
just like the paintings of such scenery
my father made when I was young.
So beside those trembling flowers I knelt
and poured the glass grey ashes from their little cup
and they reflected the light on the leaves like dew,
and as long my mind can
hold them, they’ll be there, where
irises grow at the breezes’ whim,
and I can see my father paint again.
Questa poesia è salva perché incompiuta
Mio padre è vivo, ho avuto il coraggio di scrivere, ed eccolo lì:
mio padre, che mandava baci alle giovani donne
che lo hanno curato sul suo letto d’ospedale,
e gli davano da mangiare ciò che poteva bere del mondo nelle sue ultime tazze di carta.
Mio padre amava come una bocca ama.
Le chiamava mie care, e ridacchiavano,
esseri timidi e familiari col dolore, mi dicevano, È il nostro preferito,
quando ci lasciavano da soli insieme.
L’ora in cui morì mio padre mi insegnò
più vecchio diventi, più emozioni provi, ognuna più difficile da
descrivere, e le differenze fra di esse.
Dicevano, È il nostro preferito,
e con quelle parole le ricordo.
Forse lo era, forse non lo era;
forse lo dicono a tutti quelli che visitano i morenti
affidatigli – non importa.
Quando credo loro, è lo stesso di quando non ci credo,
le loro parole non erano appesantite dal dovere solito
di dirmi qualcosa che dovevo sapere.
Anche i più forti tra di noi si addormentano,
o si ammalano, o semplicemente fermano qualsiasi cosa stiano facendo
e restano in piedi per un po’.
A volte una poesia ci fa vedere il nostro amore in una luce diversa,
nel modo in cui mio padre moribondo fa quando non può fare altro.
Questa poesia è viva perché è incompiuta.
Mio padre è vivo,
e sto stringendo la sua mano,
e la sua mano è pallida, e blu, e viola,
un giardino tremolante di iris.
This Poem is Alive Because it is Unfinished
My father is alive, I dared to type, and there he was:
my father, who blew kisses to the young women
who tended him in his infirmary bed,
and fed him what he could drink of the world in its last paper cups.
My father loved as a mouth loves.
He called them my darlings, and they giggled,
being shy and familiar with sorrow, and they told me, He’s our favourite,
when they left us alone together.
The hours of my father’s dying taught me
the older you get, the more emotions you feel, each harder to
describe, and the differences between them.
They said, He’s our favourite,
and by those words I recall them.
Maybe he was, maybe he wasn’t;
maybe they say that to everyone who visits the dying
in their care – it does not matter.
When I believe them, it is the same as when I don’t,
their words no longer burdened with the ordinary business
of telling me something I should know.
Even the most powerful among us fall asleep,
or become ill, or just stop whatever it is they’re doing
and stand a while.
Sometimes a poem can let us see our love in a new light,
the way my dying father does when he can do no more.
This poem is alive because it is unfinished.
My father is alive,
and I am holding his hand,
and his hand is pale, and blue, and violet,
a trembling garden of irises.
La pietra
Quello che amo del David
è la storia della pietra di cui è fatto.
Si trovava in un angolo della muratura
dove lastre di marmo furono scelte
per fronteggiare la splendente Casa di Dio,
o vantare il potere della città
con le figure dei suoi miti erculei.
Ma questo blocco era troppo difettoso per l’architettura,
e troppo delicato per l’arte, quindi nessuno l’ha preso
finché Michelangelo capì chi c’era dentro,
in attesa di essere liberato. E lo ha fatto
e la nostra guida potrebbe dirci senza ironia che noi,
che stavamo per guardare una statua, stavamo
per incontrare l’uomo più bello del mondo.
Se potessi dirti le parole che possono
farti credere che lo fosse, te le offrirei qui,
ma ho imparato che un’arte è il limite dell’altra,
e non posso scrivere quella poesia, o qualsiasi poesia
inizi con l’aspetto del David in quel giorno,
e anche adesso mi sembra, mentre scrivo questa.
Credo perché trovo la poesia
in quello che non posso vedere, e quella pietra eretta
che nessuno voleva, e nessuno buttava via
diventata il fulcro
di Firenze, forse della scultura stessa,
Non riesco a guardarla, e non so distogliere lo sguardo.
Quella pietra imperfetta è ogni amore che abbia mai portato,
e ogni montagna di carta
non produrrà poesia – finché non lo fa.
The Stone
What I love about the David
is the story of the stone he is made from.
It stood in a corner of the masonry
where marble slabs were chosen
to front the shining House of God,
or boast the power of the city
with the figures of its Herculean myths.
But this piece was too flawed for architecture,
and too slight for art, so no one took it until
Michelangelo understood who stood inside,
waiting to be freed. And he did it,
and our guide could tell us without irony that we,
who were going to look at a statue, were
about to meet the most beautiful man in the world.
If I could tell you the words that would
make you believe he was, I would offer them here,
but I’ve learned that one art is the limit of the other,
and I cannot write that poem, or any poem that
begins with how David looked that day,
and looks, even now to me, as I write this.
I think it’s because I find poetry
in what I cannot see, and that standing stone
that no one wanted, and no one threw away
until it became the centerpiece
of Florence, maybe of sculpture itself,
I can never see that stone, yet I cannot look away.
That flawed stone is every love I ever carried,
and every mountain of paper
that will not yield a poem – until it does.
Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione
Non riuscivamo a trovare le ceneri di mio padre
durante l’alluvione del 2013
e pensammo fossero state spazzate via. O che forse
uno dei volontari, là solo per fare del bene, aveva visto l’urna
che le racchiudeva ricoperta di limo e l’aveva buttata via,
come accadde con tante altre cose che la gente aveva care
nel tesoro sepolto delle loro case –
fotografie di famiglia,
macchine da scrivere, diplomi sotto vetro.
Quando il fiume si allontanò da casa nostra, due amici di mia moglie
smembrarono il pianoforte, che era fradicio
e non poteva essere salvato.
E il piano, nell’essere demolito, fece un concerto
dal dolore giugulare, il suo grido di legno, il ricordo rotto della colla
e lo stridio delle viti che non reggono più.
Finì con lo schianto della grande arpa
contro una culla di cemento, uno zoo in panico,
tutte le note che il piano conosceva culminate in una sola,
ogni animale ululava
mentre il fiume si alzava nelle loro gabbie.
Alla notizia delle ceneri di mio padre perdute nell’acqua,
i vicini trasalirono come se qualcosa di selvaggio
avesse divorato un cucciolo che avevano nutrito dalle loro stesse mani.
Solo un amico polacco pensò che fosse comico,
e così anch’io – veniamo entrambi da una lunga schiera di carne da cannone.
Anche papà avrebbe riso. Avevo tenuto le sue ceneri
perché niente di ciò che avevo pensato di fare con esse era giusto. Era solito dire,
Se aspetti, le cose si risolveranno da sole –
il trucco è sapere quando aspettare.
Stavo leggendo l’elegia di Robert Hass
per il fratello minore – la mente di Robert immaginava
un funerale
dove il corpo del fratello veniva bruciato su una barca nel fiume,
così prima il fuoco, e poi l’aria, e poi, alla fine,
il fiume presero il corpo – come se giù a valle
fosse un altro modo per dire in cielo.
Trovammo l’urna
in una scatola piena di libri e una macchinina telecomandata,
l’abbiamo portata in cucina quando tutti afferravano tutto sul pelo dell’acqua;
non era mai stata toccata dal fiume.
E ora sta su una mensola in soggiorno,
le ceneri di mio padre non prese dal fiume
che io non consegnerò all’aria
finché non avrò imparato tutto ciò che ha da insegnarmi
con questi resti di terra che furono lui.
On Not Losing My Father’s Ashes in the Flood
We couldn’t find my father’s ashes
during the flood of 2013
and thought they had been swept away. Or maybe
one of the volunteers, there only to do good, saw the jar
that held them covered with silt and threw it out,
as it went with so many things people cared for
in the buried treasure of their homes –
family photographs,
manual typewriters, diplomas under glass.
After the river left our house, two of my wife’s friends
took apart our piano, which was waterlogged
and could not be saved.
And the piano, being demolished, made a concert
from the jugular grief of crowed wood, the broken memory of glue
and the squeal of screws no longer holding fast.
It ended with the crash of the great harp
onto a crib of concrete, a zoo in panic,
every note the piano knew climaxed at once,
every animal howling
as the river rose in their cages.
At the news of my father’s ashes lost to the water,
my neighbours winced like something wild
had eaten a pet they’d all fed from their hands.
But a friend from Poland thought it was hilarious,
and so did I – we both come from a long line of cannon fodder.
Dad would’ve laughed, too. I’d kept his ashes
because nothing I’d thought to do with them was right. He used to say,
If you wait, things will solve themselves –
the trick is knowing when to wait.
I was reading Robert Hass’s elegy
for his younger brother – with Robert’s mind caught up
imagining a funeral
in which his brother’s body was burned on a boat in the river,
so first the fire, and then the air, and then, finally,
the river took the body – as if downstream
was another word for heaven.
We found the jar
in a box of books and a remote-controlled car
taken to the kitchen when everyone grabbed everything above the waterline;
it had never been touched by the river.
And now it sits on a shelf in my living room,
my father’s ashes not taken by the flood
that I will not give to the air
until I have learned all he has to teach me
with the last part of the earth that was him.