Sei poesie inedite.
In sogno
Durante la notte il capoufficio
ha preso a pugni suo padre, mentre i colleghi
guardavano nessuno è intervenuto.
Ora si osserva nello specchio ripetere gesti
che ha visto nei film, l’acqua scorre nel lavabo
Drake nello stereo. Sarà un professionista
si muoverà come un killer, sfonderà la porta
e li stanerà come bestie.
In metropolitana ripensa a un viaggio in BlaBlaCar
al tenente dei parà che lo fissa dallo specchietto
retrovisore e dice “Devi essere un guerriero
per paracadutarti in territorio nemico, senza sapere
dove atterrerai” mentre sfreccia a 180 in autostrada.
Il viaggio è troppo lungo per ignorare i leggings
della studentessa, le unghie lunghe colorate
contro lo schermo dello smartphone. Nel suo riflesso
vede il muso di un piccolo mammifero, gli occhi
feriti cercano riparo dalla luce sterile dei led.
Qualcosa brucia nel petto, una carica esplosiva
l’onda d’urto rade al suolo la metropoli
chilometri di polvere, macerie e morti.
Dovrebbe essere un guerriero, si sente esausto
mentre spinge la grande porta a vetri
entrando nel palazzo.
*
Diventare umani come una conquista
camminare, bonificare lo spazio
portando altrove l’acqua putrida e il dolore
per poter finalmente edificare e abitare
città disperse. Vivere in palazzi di sei piani
circondati da viali alberati e piste ciclabili.
Avere bisogno di cure per non appassire
essere un verme in ostaggio
dentro un posto pensato per condurre una vita.
Poi guardare fuori dalla finestra e vedere
i passanti che si vengono incontro decisi
sul marciapiede, aspettarsi che si prendano a pugni.
*
Avere un passato che incide
sulla struttura del cervello, desiderare
molti oggetti e sentirsi meglio
uscendo dal negozio con in testa
un cappello nuovo dell’Adidas.
Non provare alcun senso di colpa
o provarlo e pensare che sia giusto
condurre una lotta spietata contro
le proprie sinapsi.
Quindi provare a convincere gli altri, cercare
di fargli sentire il senso di colpa.
Stare bene perché ci si sente colpevoli
di essere stati bene dopo aver acquistato
un paio di scarpe da ginnastica.
Pensare che sia giusto scriverlo
da qualche parte.
*
Arriva l’inverno e il paesaggio
si chiude in sé, nell’anemia
mentre le forze si disperdono
e la distanza aumenta fra le cose.
Anche io mi riduco, al risveglio
immagino un cappio d’acciaio
che scende dal soffitto e in cui mi adagio
per dissolvermi e non essere più.
La stanza è un’immagine della mente
in cui regredisco, divento lanicchio.
Eppure sono ancora giovane e vivo
accanto a nativi digitali, per questo
potrei trovare il modo di dire a qualcuno
che mi sento un po’ male quando vedo
il mio volto riflesso nello schermo
nero dell’iPad. Ma io fumo molto, dormo
troppo, mangio male, sono connesso e solo
in una città che è un parco giochi
nel senso di colpa, in una pompa a vuoto.
Fra un po’ penserò a questi anni
come a un unico grande letargo, gesti
inconsulti ripetuti di giorno in giorno
mi chiederò come. Questo inverno, invece
rimarrò nel letto senza coprimaterasso
pensando che per fortuna non ricordo più
i miei sogni. Sarebbero sparatorie e fughe
centinaia di morti.
*
Con tutto quel desiderio
Se per esperimento decidessimo
di mettere un topo in una piccola gabbia
insieme a una femmina fertile, i due
inizierebbero presto ad accoppiarsi.
Poi, con il passare del tempo
il topo maschio si stancherebbe di quella femmina
e anche se lei fosse sempre ben disposta
la sua erezione diminuirebbe progressivamente
avrebbe bisogno di più tempo per eiaculare
un volume sempre minore di sperma.
È naturale, si chiama effetto Coolidge.
In seguito, se si sostituisse la prima femmina
mettendo nella piccola gabbia un’altra femmina
ben disposta, il topo sarebbe immediatamente rinvigorito
con nuova motivazione riprenderebbe i suoi assalti.
Ripetendo la sostituzione con una serie
potenzialmente infinita di nuove femmine
allo stesso modo continuerebbero gli amplessi
fino a quando il topo maschio non cadrebbe esausto.
È del tutto naturale, i geni vogliono farsi strada
trovare posto nel futuro.
Così anche oggi, come ogni altro giorno,
lo sguardo ostinato entrerà nei miei schermi
per sfiorare nuove immagini. È il desiderio
che esce dalla tana e cerca a lungo un posto caldo
dove potersi squagliare. Anche tu, come noi
non puoi evitarlo e come gli altri non sai
di chi è la colpa. Guarda, al centro della stanza
ho costruito, negli anni, con tutto il mio desiderio
una piccola gabbia.
Immagine: Bill Viola.