Qui non può trovarmi nessuno

da | Mag 28, 2018

Esce per Giometti&Antonello Qui non può trovarmi nessuno di Milena Jesenská (1896-1944), la destinataria delle famose lettere di Kafka, nonché sua traduttrice e suo amore incompiuto, nota anche grazie a delle fortunate biografie. Meno noti forse sono i suoi scritti (e le sue lettere), presentati al lettore italiano nella traduzione di Donatella Frediani e che fanno della Jesenská una delle più vivide testimoni della vita e della cultura mitteleuropea tra le due guerre. Scelta dei testi è a cura di Dorothea Rein. Pubblichiamo in anteprima una delle lettere a Max Brod su Kafka.

Per rispondere alla sua lettera dovrei scrivere per giorni e notti. Lei chiede come mai Frank [Kafka] abbia paura dell’amore e non abbia paura della vita. Io penso invece che non sia così. La vita è per lui qualcosa di ben diverso che per tutti gli altri uomini. Soprattutto il denaro, la borsa, l’ufficio dei cambi, una macchina per scrivere sono per lui cose mistiche …, per lui sono enigmi stranissimi di fronte ai quali non ha assolutamente l’atteggiamento che abbiamo noi. Il suo lavoro di impiegato è forse la comune esecuzione di un servizio? Per lui l’ufficio – anche il suo – è una cosa così enigmatica, così ammirevole come la locomotiva per un bambino. Non riesce a capire le cose più semplici di questo mondo. È stato qualche volta con lui in un ufficio postale? Quando stende un telegramma e scotendo il capo cerca uno sportello che gli piaccia più degli altri, quando poi, senza capire assolutamente per quale ragione, passa da uno sportello a un altro finché arriva a quello giusto e quando paga e riceve il resto in spiccioli, conta ciò che ha ricevuto, vede che gli hanno dato una corona di troppo e la restituisce alla signorina dello sportello. Poi s’allontana lentamente, conta ancora una volta e sceso all’ultimo gradino si accorge che la corona restituita era sua. Ebbene, lei rimane perplesso accanto a lui che s’appoggia ora su una gamba ora sull’altra e pensa al da farsi. Tornare indietro è difficile, lassù c’è un mucchio di gente. Allora lascia correre, dico io. Lui mi guarda atterrito. Come si fa a lasciar correre? Non che gli dispiaccia per quella corona. Ma non sta bene. Qui manca una corona. Come si può lasciar correre? Egli ne parlò a lungo e rimase molto malcontento di me. E ciò si ripete in ogni negozio, in ogni ristorante, con ogni mendica, in diverse variazioni. Una volta diede due corone a una mendica e ne voleva una di resto. Quella disse che non aveva niente. E siamo stati là due minuti a riflettere come si potesse fare. A me venne l’idea che poteva lasciargliele tutte e due. Ma aveva fatto pochi passi quando divenne di pessimo umore. D’altro canto mi darebbe naturalmente subito con entusiasmo e con grande gioia ventimila corone. Ma se gliene chiedessi ventimila e una e dovessimo andare a cambiare e non sapessimo dove, sarebbe lì seriamente a riflettere come sbrigare la faccenda di quella corona che non mi spetta. Il suo imbarazzo di fronte al denaro è quasi uguale a quello di fronte alla donna. Così pure l’angoscia che gli dà l’ufficio. Una volta gli telegrafai, gli telefonai, gli scrissi, lo implorai per l’amor di Dio di venire da me per un giorno. Allora ne avevo molto bisogno: si trattava di vita o di morte. Per notti intere egli non dormì, si torturò, mi scrisse lettere piene di disprezzo per se stesso ma non venne. Perché? Non voleva chiedere un permesso. Al direttore, a quello stesso direttore che egli ammira dal profondo dell’anima (seriamente!) perché è così veloce nello scrivere a macchina, non poteva dire che partiva per venire da me. E dirgli una cosa per un’altra – di nuovo una lettera disperata – come? mentire? dire al direttore una menzogna? Impossibile. Se gli si chiede perché ha amato la sua prima fidanzata risponde: «Era tanto abile e brava» (geschäftstüchtig), e il suo viso si illumina di rispetto e venerazione.

Sì, tutto questo mondo è e rimane enigmatico per lui. Un enigma mistico. Una cosa che egli non può dare e che stima con commovente pura ingenuità perché è geschäftstüchtig. Quando gli parlai di mio marito, che mi è infedele cento volte all’anno e tiene me e molte altre donne sotto una specie di incantesimo, il suo viso s’illuminò dello stesso rispetto come quando parlava del suo direttore così veloce alla macchina e pertanto uomo così eccellente, e come quando parlava della sua fidanzata che era tanto abile e brava. Queste sono per lui cose estranee. Un uomo che scrive velocemente a macchina e uno che ha quattro amanti gli riescono altrettanto incomprensibili quanto la corona all’ufficio postale e quella della mendica, incomprensibili perché sono vive. Frank invece non può vivere. Frank non ha la capacità di vivere. Frank non guarirà mai. Frank morirà presto.

Certo è che tutti noi siamo apparentemente capaci di vivere perché una volta ci siamo rifugiati nella menzogna, nella cecità, nell’entusiasmo, nell’ottimismo, in una convinzione, nel pessimismo o in qualcos’altro. Ma lui non si è mai rifugiato in un asilo che potesse proteggerlo. È assolutamente incapace di mentire come è incapace di ubriacarsi. È senza il minimo rifugio, senza un ricovero. Perciò è esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo. È come un individuo nudo tra individui vestiti. E non è neanche tutta verità ciò che dice, ciò che è e che vive. È un determinato essere in e per sé, sgombro di qualsiasi sovrastruttura che possa aiutarlo a trasfigurare la vita, in bellezza o in miseria non importa. E il suo ascetismo non è affatto eroico – certo, appunto per ciò tanto più grande e più elevato. Ogni eroismo è menzogna e viltà. Non è uomo che si costruisca la sua ascesi come mezzo per un fine, è un uomo costretto all’ascesi della sua spaventosa chiaroveggenza, purezza e incapacità di scendere a compromessi.

Ci sono uomini molto intelligenti che non ammettono compromessi: ma questi inforcano occhiali meravigliosi coi quali vedono tutto diverso. Perciò non hanno bisogno di compromessi, e allora sanno scrivere velocemente a macchina e avere amanti. Lui li guarda meravigliato, guarda tutto, anche quella macchina per scrivere e quelle donne, ma non capirà mai.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).