di Marco Corsi
Non troppo lontano da Le casa della Vetra, quasi dopo quarant’anni, il fiume della poesia di Raboni, fra i suoi rivoli forse meno noti, è tornato a scorrere nelle vene di una familiarità domestica e naturale lampante quanto necessaria:
Proprio qui dove siamo
c’era, si racconta, qualcosa
di mobile e di vivo
che veniva da chissà dove
e andava chissà dove
e rifletteva nubi, alberi, case.
Altri tempi. Ma c’è anche chi sostiene
che non tutto è finito,
che giù nelle viscere della terra
senza alcun testimone
a esclusivo beneficio del buio
incessantemente si replica.
È questa la parte centrale della Piccola suite fluviale che ora vogliamo ricordare, assieme alla Ballata delle dame con quei nomi, centrando l’attenzione sul valore che questi componimenti acquisiscono in relazione all’opera di Enrico Baj. Parlando di occasioni, infatti, la Ballata e la Piccola suite sgorgano, come da una sorgente, da La donna fiume e Piccoli monumenti alla scienza idraulica due serie realizzate da Baj e esposte in occasione della mostra intitolata Idraulica tenutasi alla Galleria Giò Marconi di Milano dal 15 gennaio al 1 marzo 2003, a poca distanza dalla scomparsa dell’artista, avvenuta il 16 giugno di quello stesso anno. I testi di Raboni compaiono dunque nel catalogo che accompagna l’esposizione, ma altresì figurano nella preziosa cartella Sull’acqua stampata dalle Edizioni Colophon di Belluno – Venezia, e realizzata in collaborazione con la stessa Galleria Marconi. Ci troviamo di fronte ad una diversità di materiali, ad una complessità di dati che necessitano, ciascuno, una diversa trattazione e quindi, come richiesto, ci muoveremo per frammenti, cercando sempre di aggiungere qualcosa all’argomentazione e, infine, alla comprensione di uno dei possibili significati.
Anzitutto, come dato di partenza, è bene ricordare che l’attività sia di Raboni sia di Baj, ciascuna per suo conto, hanno incrociato diversamente il grande fiume – se rimaniamo all’interno della metafora – della Recherche proustiana: verso la fine degli anni Novanta, in particolare, Baj ha dedicato una serie di personaggi alle figure dei Guermantes, che costituiscono del resto l’antefatto rispetto alle trine, alle passamanerie, ai tessuti, ai cordoni che animano e danno vita alle “fiumesse” di questa nuova Idraulica. È una riflessione senza scampo sulla storia quella che ne deriva, e uno sguardo ironico e straniante sulla realtà borghese che ha ormai completamente disanimato i suoi personaggi, tracimandoli via assieme alla compagine aristocratica – già schermita dietro le pagine più affilate di Proust. La traduzione della Recherche, d’altra parte, sappiamo quanto abbia animato e condizionato (in senso positivo, s’intende), almeno per un decennio, il Raboni poeta e traduttore, che da qui ha cavato soprattutto quella «tensione infinita della completezza che si coniuga con l’impossibilità di una versione definitiva», non solo del libro, ma dell’esistenza – dell’esistenza dell’autore all’interno del libro, come in una «scuola di sintassi» esperienziale (si rilegga, a tale proposito l’intervista di Ranieri Polese a Raboni proprio su questo argomento nell’Archivio del «Corriere della Sera», datata, a suo tempo, 22 novembre 1993).
Il connubio Baj-Raboni che trova dunque un vertice illustre in Proust, si rivela già di per sé caratterizzante, in quanto testimone un impegno strutturalmente rilevante non solo a livello meta-letterario, ma logico-interpretativo, intendendo con questo nesso tanto la componente intertestuale di cui si sostanzia il fare artistico, quanto il processo traduttivo che guida l’immagine verso la parola e la parola verso l’immagine, secondo una specularità non sempre riflessa.
Un secondo passaggio serve a stabilire un raffronto diretto tra la Ballata e la Piccola suite di Raboni e le opere di Baj, sulla base del glossario redatto da quest’ultimo ne La donna fiume, nota che accompagna, assieme allo scritto di Gillo Dorfles, il catalogo della mostra Idraulica stampato da Skira nel 2002. Cadenzata dal refrain «Dove sono le dame con quei nomi?/ Ma dov’è l’acqua dell’altr’anno?», in particolare, la Ballata delle dame con quei nomi, alleggerisce – se la formula non parrà impropria – con quell’aria di cantabilità da motivetto, alla Natalino Otto per intenderci, il clima che sta alla base della ricerca di Baj. Definendo il termine «Alluvioni», infatti, l’artista scrive: «in questi ultimi anni la Moldava, l’Elba, la Vistola, la Marna, tutte sondarono, e altri fiumi ancora, mettendo in pericolo degenti, penitenti e studenti in varie città, da Praga a Dresda, a Lipsia, a Vienna, a Dessau, a Innsbruck, a Strasburgo, piena com’è di canali e di funzionari e parlamentari strapagati della nostra bella Europa». Se osserviamo la leggerezza con qui vengono impersonate queste impetuose signore d’acqua (La Marna, appunto, La Vistola, sono titoli di questi oggetti-ritratto), il tono dell’enunciazione sopra ripresa sembra coincidere con la patafisica, col dada e, in fondo, col divertissement messi in luce da Dorfles e immediatamente percepibili dal lettore spettatore. Una hilarotragoedia dove oggetto della parodia sono la geografia, un certo gusto per la dislocazione degli oggetti del quadro e la tradizione stessa della ritrattistica occidentale, qui degradata da modello di corte a campo d’azione di rubinetti e tubature, di parati e di bulloni: allo stesso modo, la lingua di Raboni agisce dal di dentro, attraverso l’uso del catalogo e della variazione ironico(-sentimentale) delle formule di rigore (i vari “signora” e “signorina”) fino all’assunto di un macro-soggetto d’amore e di passione (la «donna») come pretesto e come chiave di volta per incanalare tutte le acque del discorso nell’assunto di Baj (contenuto nella suddetta nota) per cui: «La donna è un fiume. Se si innamora, è un fiume in piena. Se straripa fa danni ingenti. L’impeto della donna è pari a quello dei grandi fiumi». C’è un motivo erotico latente, quindi, ritagliato però non attraverso l’esercizio della passione, ma attraverso la manualità della metafora: la metafora della forma chiusa moltiplicata in gestualità seriale e combinazione di «Tuberie» (è ancora una definizione data da Baj). Insomma, c’è tutta una vita che passa attraverso il riposo inquieto di certe immagini e di certe malizie, come in certi vezzi del genere ballata, sui quali però Raboni sembra soprassedere, con uno spostamento appena additato, non del tutto percepibile, strizzando l’occhiolino o tenendo dietro alla forza intrinseca dell’arte, e invece ricollocando tutte le coordinate d’identità al loro posto:
Ditemi dove, in che paese,
è la Moscova e la Drava,
Donna Gironda e la Vistola,
Madama Dordogne e la Moldava.
Dove sono le dame con quei nomi?
Dove sono le acque dell’altranno?
Dov’è Gospoža Neretva,
la Neva, l’Elba e la Loira,
Sciura Schelda e Frau Beresina,
Madama Struma e Lady Divina?
Dove sono le dame con quei nomi?
Ma dov’è l’acqua dell’altranno?
Dov’è Gospoža Peciora,
Lady Marna e la prima Dora,
la Senna e Dora seconda,
Frau Mulde e Señora Saona?
Dove saranno, o mia padrona?
Ma dov’è l’acqua dell’altranno?
Il ritmo, nell’orecchio, si compone dei nomi, come se non ci fosse più bisogno a questo punto, con l’evidenza delle immagini, di altre parole, di altri sostantivi. Un terzo motivo, quindi, vogliamo leggerlo a partire dalla Piccola suite fluviale: Raboni ci ha addestrato a questa sua capacità di comporre (e scomporre) i pensieri a partire da quell’esempio indiscusso che sono le Canzonette mortali, attraverso procedimenti di focalizzazione che investono l’io e lo rifrangono sul soggetto e sull’oggetto della poesia. Qui, da un punto di vista testuale, l’unità è data dall’impiego di un linguaggio ampiamente prelevato dal vocabolario “idraulico”, latu sensu: «Sgorga», «scola», «aprire e chiudere» coniugato ad un nobile «rubinetto d’ottone», «scorrono», «acque», «fluiva», «liquido», «riva». E la lingua non fa altro che esprimersi sotto le spoglie non mentite del mimetismo, costruendosi per iterazioni e specularmente rispetto alle opere da cui trae il suo senso, per uscire dall’idioletto e amplificare il significato. C’è la vita del poeta, comunque, dentro questi frammenti, da Porta Venezia alla perizia fisiologica e filologica con cui nomina il Codice Leicester: il Codice che conserva alcuni dei disegni e degli scritti di Leonardo da Vinci, dove – alla Carta 3B; Foglio 3 v. – il nostro genio rappresenta il ciclo idrogeologico ipotizzato da Platone e poi ripreso da Lucrezio, mostrando il movimento sotterraneo che conduce l’acqua fino alla vetta dei monti.
Sono le occasioni della vita che legano nome a nome e fanno della cultura uno strumento di investigazione subordinato alla natura, come ben evidenziato nella chiusa che dice:
Ancora dopo, non credi?
anche quando più niente avrà il suo nome
sarà in riva a qualcosa,
lungo qualcosa che si andrà a vedere
la porpora farsi cenere e albume,
l’ultima face perdere sostanza
senza colpo ferire…
Per chiudere, approfittando dell’apparato critico redatto per il «Meridiano» di Raboni da Rodolfo Zucco, possiamo citare un ricordo firmato dal poeta per l’artista scomparso nel giugno di quello stesso 2003. «Come altri fra i maggiori interpreti della modernità novecentesca – ma più di chiunque altro, credo, nel panorama italiano degli ultimi decenni – Baj è stato, oltre che uno straordinario creatore di immagini, anche un altrettanto straordinario produttore di idee, di sollecitazioni, di progetti culturali, insomma – se mi è consentito dare un significato puro e interamente positivo a un termine tanto usurato e sospetto – un intellettuale».
Sull’acqua, dunque, è nata sotterraneamente – carsicamente – per esplodere nell’incontro tridimensionale di un’edizione che accosta due alti profili, di uomini e di pensiero.
Poeti, artisti, plaquette. Prima parte
Poeti, artisti, plaquette. Seconda parte
Poeti, artisti, plaquette. Terza parte