Poesie dell’inizio (1967-1973)

da | Feb 6, 2025

In anteprima da “Poesie dell’inizio (1967-1973)” di Milo De Angelis, uscito per ‘Lo Specchio’ Mondadori, pubblichiamo tre testi.

 

INTERVALLO E FINE

(“Credi, per qualcuno è proprio così, credi, la vita come la fiaba di Hansel e Gretel: dopo la grande paura uscirono dal bosco salvi”)

Peccato
non appartenere più a una passione
lungo questo capolinea
con l’erba già calda e il suo parlare
resta fuori
per una mediazione troppo forte
quando afferrato dalla gioia uno è certo
che la vita non è gioia:

come credere ai corpi
più intensi per un bisogno
di esserci, o accettare la chimica, il cervello stupito
e i mutamenti
mentre quest’assoluta
importanza della vita
fa che niente sia essenziale. Qui
non si diventa. Scegliendo ciò che già era dato
in una vicenda inesemplare
tentate le inserzioni
per avere un accumulo di storie
da versare sulla propria, una ragazza ricca in costume
il suo episodio
trattenuto a forza di elegia. Confondersi, alla fine
con l’azione già compiuta
era infanzia, come una sera sul cuscino
quando i bicchieri d’acqua sembravano incredibili.

 


ESSERE QUI

Non potevamo
deridere il tempo, sera più chiara, ruggine
che copre il tuo seno, il mantello caduto
faranno pagare
un amore sfasato tra i secoli. E bastasse
contare le rughe nel polso, i centimetri: dillo
che sono tutti lunghissimi.
In penitenza
grande per i gesti
che la nudità ci dava: noi volevamo
solo invecchiare
in un tempo uguale, per trattenerti, dillo
o verranno e le tue
gambe ferite
tornano al buio, una sbarra è caduta. Fa’
che la pioggia…

 


IL GESTO PIÙ ESATTO

(“Alain si ripeteva: la sicurezza, la tranquillità di questa gente…”)

Essendo lì ma altrove con la pretesa
di altri, immobili intorno, in un territorio
dopo le parole ma prima dell’azione
eppure conta soltanto ciò che accade.
Non ha portato nulla con sé
enfasi piena, scoperta: volevo tanto
essere amato
che mi sembra di amare: dirla, tentarla
una supplica
può riuscire, una supplica
scolta Solange tu capisci tu sei vita; ascolta, vita,
non si può toccarti
e tenterò con la fine: si lascerà fare.
Ma non ricoprire la poltiglia smascherata, butta
in questo salotto ruggine e rottami: la mia
classe mi rifiuta
non c’è più rugiada né torrente né sogno,
tu che corteggi con l’intelligenza
tocca il lebbroso, sporcati, non possiamo più
portarci al limite per dire: “così non si può vivere”:
ma quale natura, quali oggetti, quale cielo
ho solo delle persone e in mezzo a loro lontano da loro
morendo: mi lasciano andare via, mi
amano solo da lontano, vorrebbero
un dolore presentato bene e non
questa goffa bruttura indescrivibile: alain.

1968

NB: Non è stato sempre possibile rispettare le spaziature dell’originale. Ci scusiamo.