Il volume da cui è stato estratto questo testo (Orizzonti inVersi. Poesia di tutti, poesia per tutti, in uscita presso Gaffi), arricchito da un intervento critico di Giancarlo Liviano D’Arcangelo, si compone di un saggio di Massimo Arcangeli e di un’amplissima selezione – rasenta l’opera omnia – delle poesie di Stefania Rabuffetti. Due facce di una stessa medaglia: se è stata la poesia a mettersi alla disperata ricerca dell’autrice, la risalita contro la corrente della ragion (poetica) pura ha rivelato al critico l’“impura” urgenza del mondo.
Perché mai decidere di pubblicare un libro così sfacciatamente ibrido, che non ha alcun precedente significativo nel nostro paese? Per dare maggior forza al risarcimento simbolico nei confronti dei tanti che, avendo poco o nulla da invidiare ai pochi più fortunati, soccombono impotenti a un mercato strangolato dalla ricerca del profitto per il profitto.
Il saggio che precede la raccolta poetica vorrebbe scommettere su un nuovo modo di fare critica: svestendosi della toga dell’accigliato giudice che si tiene accuratamente fuori dalla mischia, e indossando l’abito di sacco del militante sceso in campo. Il primo, disposto a dare udienza ai soli poeti laureati scolpiti nel canone, è refrattario a ogni contaminazione con altri territori dell’esperienza creativa e arroccato sulle posizioni di quel che resta della corporazione che pretende di rappresentare. Il secondo difende l’idea che la poesia “legale” non debba temere di andare a braccetto con la poesia “reale”, che l’una possa ricavare forza propulsiva dall’altra. È anche convinto che Petrarca o Leopardi, Montale o Ungaretti possano duettare – magari duellare, sarebbe in ogni caso un confronto – con Paolo Conte o Fabrizio De André, Vasco Rossi o Carmen Consoli; che il muro divisorio tra “poesia” per musica e poesia senza aggettivi, già aperto da crepe, sia destinato a crollare; che si possano percorrere strade originali o inedite, nelle quali la sostanza delle cose rovesci la tirannia delle forme; che sia ora di annettere alla poesia molti esemplari ibridi dispersi per il mondo, di ammetterne nuove nature (purché frutto di una sufficiente consapevolezza del genere); che sia possibile consentire alla poesia e alla canzone, senza pregiudicarne le relative e residue autonomie, di occupare spazi condivisi di ricerca e di sperimentazione. Tanto più che negli ultimi tempi, per reazione non tanto al mainstream festival-salottiero quanto ai potentissimi strumenti del consenso rappresentati dai talent show (Amici, X Factor, The Voice), la passione civile, l’impegno politico, la volontà di denuncia hanno mostrato forti e inattese capacità di resistenza.
Da tempo i poeti non parlano più ai giovani, che ricantano invece la musica “leggera” con le sue frasi fatte, il suo lessico basico, le facili rime monosillabiche di tanti motivi di ieri e di oggi. Giovani che rispondono all’offerta creativa come sanno e come possono, in qualche modo consapevoli di ciò che vogliono almeno dal giorno di quella fine di giugno del 1979 – in anni nei quali il risentimento dei cantautori verso i suoi esponenti montava significativamente – che li vide assestare un sonoro schiaffo alla poesia laureata sulle dune di Castelporziano (sul litorale romano), durante il Festival Internazionale dei Poeti.
Della maggior parte dei testi delle antiche liriche romanze, che leggiamo come se non lo sapessimo – o facciamo finta di non ricordarlo –, è andata smarrita la musica di accompagnamento (per non parlare di altre tradizioni poetiche anche assai lontane nel tempo e nello spazio), ma il punto è un altro. La poesia “nobile” – rare eccezioni a parte – s’è appartata e fatta muta, non riparando in un silenzio partecipe o complice ma in un’incomunicabile solitudine disperata, risentita o corporativa; ha allontanato da sé i compagni di recitazione di un tempo, alleati della presenza fisica e dell’abilità performativa dei poeti cantori: la voce, il gesto, lo sguardo; ha ignorato, marginalizzato, repertoriato nella fenomenologia del folklore i tentativi di far rivivere il verso in un progetto di riscoperta della sua trasmissibilità orale. Ma anche chi scrive testi per musica può metterci del suo, come quando cavalca lo stantio cliché di una canzone che, se aspira a essere memorizzata un po’ da tutti, non può fare assolutamente a meno della rima. Molti testi di canzoni hanno intanto fatto ingresso nelle antologie letterarie, non solo a uso scolastico, e, mentre c’è chi ritiene del tutto lecito considerarli e studiarli come testi qualunque, il diaframma tra poesia per musica e poesia tout court, nelle sperimentazioni più curiose o coraggiose, si è fatto piuttosto sottile e le interferenze e invasioni di campo si contano numerose.
Si rende altresì partecipe, il critico della seconda specie, della nuova dimensione e della nuova percezione che hanno recentemente investito la poesia in rapporto all’universo digitale. C’è chi butta di tanto in tanto almeno un occhio sull’immaginario poetico collettivo – di trasmettitori e recettori – albergante nel Web. E c’è chi, senza farsi cannibalizzare dal mezzo e pur non riuscendo sempre a separare il grano dal loglio, ha avuto il coraggio di pescare dalla Rete un’infinità di voci che cantano, in una molteplicità di toni e di forme, l’inappetenza o il desiderio, la gioia o la disperazione, l’accoglienza o il riparo, l’inseguimento o la fuga. La salvezza della poesia sta tutta nell’intima adesione all’ascolto di quelle tante voci, che nessuno (o quasi nessuno) sarebbe mai riuscito a far proprie senza l’aiuto del popolo dei navigatori virtuali.
Sostiene Elio Pecora, direttore di due collane – curate per l’editore Pagine – che hanno già dato voce a diverse centinaia di poeti in attesa di essere travasati in un progetto imminente di libreria poetica virtuale, ma già riuniti in una community in cui ognuno compare con la sua biografia e alcune sue composizioni:
La modernità comporta velocità ed estensione: si arriva in un baleno a tante persone, nei luoghi più diversi e lontani. Può rifiutarsi a questo la poesia, tenuta così a lungo appartata? (http://www.poetipoesia.com).
La poesia, se vuole sottrarsi alla sua condizione di splendido isolamento, deve tornare innanzi tutto a comunicare la realtà (senza per questo svendersi alle false urgenze di una semplificazione truccata) ed esporsi al rischio di una narrativizzazione che, a partire dagli anni Cinquanta, ha riempito di sé tante raccolte, irrobustendone o vivacizzandone i legami interni. Un doppio requisito che Stefania Rabuffetti possiede. Come molti altri versificatori emersi o sommersi del nostro tempo, beninteso, ma l’interesse a un inquadramento del genere poetico nella dimensione di un canzoniere sociale – lungo il percorso che dal produttore giunge agli utilizzatori finali, attraverso la proliferazione dei mezzi e dei modi di diffusione – poteva facilmente indirizzare al case study. E così è stato.
Il grande Tolstoj, introducendo le opere di Guy de Maupassant, ha scritto che il genio vede tutto quel che vedono gli altri ma in modo più chiaro. Quel genio, soprattutto se è un poeta, ha il dovere di rendersi consapevole che la sua visione va sempre più irradiata e condivisa. Ognuno di noi è quel che è solo in virtù di quel che tutti noi siamo. Se doniamo agli altri ciò che abbiamo in più rispetto a loro, e lo facciamo con onestà e convinzione, gli altri ci restituiranno con gli interessi ciò che gli avremo regalato. È questa anche la vera forza della tradizione, se ben gestita da chi la riceve e la tramanda: il passaggio del testimone dalle generazioni precedenti alle successive, e il corpo a corpo fra un testo e i testi che l’hanno preceduto, devono diventare un’occasione per scommettere sul presente senza rinnegare il passato, per assicurare gli ormeggi a un approdo che non ci consegni né alla superba immobilità del tempo trascorso, né alla mobilità di cambiamenti senza posa, né alla pochezza di forme e sostanze spianate delle rughe e senza età.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).