Petr Hruška, nato nel 1964 a Ostrava dove vive tutt’ora, poeta e critico letterario ceco di notevole rilievo, è autore di 8 raccolte poetiche. Fra queste Obývací nepokoje (SoggiorNO, Ostrava 1995); Zelený svetr (Il maglione verde, Brno 2004), nella quale sono riunite le prime tre raccolte; Auta vjíždějí do lodí (Brno 2007), tradotta in italiano (Le macchine entrano nelle navi, a cura di Jan Štolba, Jiří Špička e Paolo Maccari, Valigie rosse, Roma 2014); Darmata (Brno 2012), che ha vinto il Premio di Stato per la letteratura; Nikde není řečeno (Da nessuna parte si dice, Brno 2019), la più recente, dalla quale sono tratte le poesie qui presentate.
Oltre che poesia, Hruška scrive recensioni, saggi, poesie e testi in prosa su riviste, inserendosi attivamente nelle questioni sociali odierne, e tuttavia sempre mostrando un’anima da poeta, un profondo lirismo. La sua poetica della quotidianità si distingue per un’espressione minimalista, priva di decorazioni e fronzoli, che pone in risalto l’intensità emotiva dei gesti e dei sentimenti quotidiani. È il poeta del disordine, dell’incertezza e della sorpresa: nei suoi versi il lettore si confronta con un mondo apparentemente familiare, eppure sorprendente nella sua vera essenza.
Questa selezione di poesie offre una riflessione particolare sul presente, una prospettiva nuova nel dialogo con la contemporaneità. Punto nevralgico della raccolta Da nessuna parte si dice sono l’uomo e l’umanità; le composizioni riflettono l’immagine della natura irrequieta, incompleta e sconnessa di un mondo confuso e perduto in cui l’esistenza umana è avvolta dall’incertezza e l’uomo è fragile e vulnerabile. In questo mondo ambiguo e instabile che oscilla come una nave, all’interno della raccolta si snoda il motivo chiave del trovare se stessi. Ritrovarsi attraverso un viaggio interiore: il viaggio è un motivo ricorrente in questo libro anche nella sua forma concreta che si esplicita nei riferimenti alla nave, al porto, ai luoghi che il poeta stesso ha visitato. Nei versi in cui frammenti e scorci dolorosi di vita ordinaria si alternano a conflitti quotidiani e immagini della contemporaneità, il poeta riesce a catturare un effimero e irripetibile momento d’eternità tra immagini che si accumulano e oggetti che vengono continuamente spostati, posati e sollevati.
Da nessuna parte si dice: non ci sono istruzioni, nessuno ci dirà che tipo di persona essere e per che cosa lottare. Nulla è a priori impossibile, la storia e il destino della nostra società dipendono da ogni generazione e da ognuno di noi. Per questo è necessario trovare se stessi.
A cura di Marta Belia
Da Da nessuna parte si dice
VEDRAI
Voltati a guardare
dove hai dormito ieri
e vedrai temporaneità assoluta
carcassa sottile della coperta
luogo di lavoro sgualcito
acqua in una minacciosa tazza vecchia
vedrai come hai provato
a essere
e a sopravvivere
che in un attimo
un sogno ti ha scagliato via
che in tutte le direzioni
dal tuo letto
per tutto il tempo si estendeva la desolazione
come ti sei tirato su
e di nuovo trovato
contro la terrificante velocità della luce
ASCOLTA
Devi mangiare qualcosa.
Almeno un boccone.
Allora reggiti il braccio con la mano.
Aspetta, pesco una carota.
La carota fumante risplende in questa stalla.
Ecco una rondella.
Allora chiudiamo la tenda.
Allora no.
Invocano un mondo più giusto.
L’umanità, dopotutto.
Aspetta, asciugo.
Pure il cielo è sporco come l’acqua dei piatti, ti prego.
Sollevati un pochino.
Aspetta, ti meraviglierai.
Una rondella di carota.
UN FIORAIO A LIVORNO
Sei davanti a un fioraio a Livorno
e vedi…
è perfettamente irrilevante
Il giorno scende pesante verso il porto mercantile
assedia la fortezza militare
austero sale le scale del municipio
le scale del campanile
Entri dentro
le ombre delle foglie scivolano sul corpo
senti il tuo respiro
pensi a quelle poche persone
il cui respiro
hai sentito
Entri dentro
nella tua perfetta irrilevanza
CASA
Piume di tacchino
o di aquila.
Chi ci capisce niente.
Sangue di maiale
o di partoriente.
Ne succedevano di cose qui…
Falce e bottiglia
entrambe lanciate.
Dose da cavallo
di sego di manzo.
E la frase Non andare via
strappata dal decalogo
o dalla letteratura scadente.
SPALLE NUDE
Da questo posto al bancone
è facile riconoscere
le peonie sui vestiti
e distinguerle
dalle cicatrici da gravi ustioni.
Quando mi allontanerò da qui
e mi volterò
tutto si condenserà
in macchie rosso intenso.
Sarà un’ardente fusione del corpo
al principio di gennaio,
l’ultima gloria ribelle
nella locale industria dei debiti.
DI LÀ DA TUTTO
case furiose al limitar della città
un cane beve più d’un uomo
una recinzione
lacera come un eczema
nella discarica un globo forato
IL CAPPOTTO ROSSO
Tutto ciò avviene su una nave.
Una testa maschile pesante
su una spalla femminile estranea.
Un uomo che beve
appoggiato alla grondaia.
Discorsi
sulla sicurezza.
Un gancio che dondola.
Sette poveri credenti
che cantano sottovento,
con le camicie nei pantaloni.
Giuramenti e promesse
sotto una lamiera storta con un divieto.
Nuova paura.
Il tuo cappotto rosso là
dove la mia vita pareva
così indipendente.
Tutto accade su una nave.
ENTRATA
Come ci ha colpito insolente il senso
di un giorno di pioggia!
Siamo usciti per sbaglio
dall’entrata posteriore
d’un indifferente hotel rivolto a ovest
tra secchi da pesca e motocicli
Fredda inattività di attrezzi
a terra tremavano piume
Davanti dovevamo pagare
per il pernottamento
davanti c’erano i nostri bagagli
aspettavano i documenti
Qui uno spazio bianco senza parole
tagliava le teste
agli occhi risaltava l’irresoluta rissa
d’un albero contro il vento
IL FIANCO
All’albeggiare
prima di tutto emerse
il fianco di lei.
L‘origine non era chiara
e neanche il senso.
Il fianco.
Poi iniziarono a tornare dal buio
i tralicci di trasmissione,
le torri dei ripetitori, delle chiese
i pali dell‘alta tensione,
l’intera accessibilità.
E un certo presentimento
che volevamo salvarci.
PILASTRO
Il cemento armato è il cemento armato.
Il pallido pilastro punta severo
verso l’alto,
perforando la bassezza.
Giù alla base selvaggia sterpaglia
di graffiti in fiore,
schizzi di piscio,
nervosismo di foglie.
Ma il pilastro s’alza più in alto,
scompare alla vista,
in torbidi brandelli di nebbia.
Il tronco di cemento armato
conforme alla nostra epoca
non lo abbracciano cinque uomini.
Qualcosa lassù c’è.
Deve esserci,
dacché qui si erge
un tale pilastro.
UN SECONDO DEL MONDO
Accade sulle buie
scale in basso.
Lui si toglie in fretta i guanti
e si gira verso di lei.
Lei ha la bocca socchiusa,
la mano semialzata.
Lentamente si sveglia
la rigida vertigine della scala di ferro.
La schiena sfiora l’interruttore,
nel bagliore del faro si vedono pali e mensole,
puntelli, travi e bulloni,
rinforzi incrociati.
L’intera volta incuneata della gigantesca sala,
in un secondo di luce
sopra di loro d’improvviso creata.
POCO SANGUE
Hai notato del sangue.
È dappertutto,
ma è poco sangue,
scorre dalle dita,
sangue che basta per imbrattare il tavolo,
il cappotto
o la tastiera,
per sporcare i soldi.
Nessun omicidio.
Solo tenue incessante sangue
scorre dalle dita,
si secca sulle maniglie pubbliche,
sui contratti,
sulle pareti,
in un luogo della loro intransigenza.
A volte è scuro,
come quando alla fine di una brutta settimana
un uomo con forza stringe una scheggia
di spalle di donna.
ASCOLTA
Hanno visto gli squali della barriera corallina?
No?
Allora quando i bambini saranno di nuovo da te
portali dagli squali della barriera corallina.
Corpi grigi che passano dietro un vetro.
Basta per l’intera domenica.
Qui non c’è nient’altro.
Tranne di sera l’osservatorio.
Però li dovrai sollevare
verso il gigantesco telescopio.
Tenerli,
sentire i loro capelli.
E se possibile non tremare.
Altrimenti si perderanno tutte
le lune di Giove.
INVASIONE
Gli alberi di aprile hanno fatto irruzione. Hanno occupato importanti
luoghi dei nostri giorni. Si ergono d’improvviso nel cuore di situazioni
emotive, nelle raffiche di bruschi assensi
e dissensi. I loro corpi con l’irrequieta massa di foglie
affiorano dalla notte in ogni frammento di luce domestica
e di nuovo vi affondano come navi sovraccariche.
…
Volevo tossire in silenzio
prima di realizzare
che non dovevo.
Non devo più tossire in silenzio.
La luce è accesa
perché si è dimenticato di spegnerla.
Morte,
lo hai detto così in fretta
che doveva essere vero.
BREVE STORIA
Trovo ora bottiglie vuote
in luoghi bui.
Prestigiosi marchi di vodka,
nobili nomi di fernet.
So
che solevi fissare a lungo
le travi portanti della casa.
La lastra di pietra sopra l’ingresso che scivolava lenta.
Sulla cassetta postale hai cancellato il tuo nome
e poi di nuovo lo hai scritto.
Come a un bambino
mi hai mostrato i prati
e mi hai insegnato l’arte di non sapere.
Padre.
La vodka spesso prende il nome dei condottieri.
In luoghi bui
una breve storia dell’ultimo secolo.