Per Andrea Zanzotto (1921-2021)

da | Ott 10, 2021

Ricorre oggi il centenario della nascita di Andrea Zanzotto: il nostro omaggio a uno dei più grandi poeti del Novecento con una scelta di poesie, curata da Giovanna Frene, che attraversano i suoi libri. Non è stato sempre possibile mantenere la grafia dell’originale, per cui rimandiamo al Meridiano “Le poesie e le prose scelte” a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta (Mondadori, 1999) e all’Oscar “Tutte le poesie” a cura di Stefano Dal Bianco (Mondadori, 2011). 

 

DIETRO IL PAESAGGIO

Nei luoghi chiusi dei monti
mi hanno raggiunto
mi hanno chiamato
toccandomi ai piedi.

Sulle orme incerte delle fontane
ho seguito da vicino
e senza distrarmi
le tenebre tenere del polo
ho veduto da vicino
le spoglie luminose
gli ornamenti perfettissimi
dei paesi dell’Austria.

Hanno fatto l’aria tutta fresca
di ciliegi e di meli nudi
hanno lasciato soltanto
che un piccolo albero crescesse
sulla soglia della sua tristezza
hanno lasciato fuggire in un riverbero
un tiepido coniglio di pelo.

Per le estreme vie della terra caduta
assistito da giorni tardi e scarsi
discendo nel sole di brividi
che spira da tramontana.

 

*

ESISTERE PSICHICAMENTE

Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
– soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli –
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch’io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d’inferno
degli atomi e il conato
torbido d’alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.

 

*

AL MONDO

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso

Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato

Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.

Su, münchhausen.

 

*

Dolcezza. Carezza. Piccoli schiaffi in quiete.
Diteggiata fredda sul vetro.
Bandiere piccoli intensi venti/vetri.
Bandiere, interessi giusti e palesi.
Esse accarezzano libere inquiete. Legate leggiere.
Esse bandiere, come-mai? Come-qui?
Battaglie lontane. Battaglie in album, nel medagliere.
Paesi. Antichissimi. Giovani scavi, scavare nel cielo, bandiere.
Cupole circo. Bandiere che saltano, saltano su.
Frusta alzata per me, frustano il celeste ed il blu.
Tensioattive canzoni/schiuma gonfiano impauriscono il vento. Bandiere.
Botteghino paradisiaco. Vendita biglietti. Ingresso vero.
Chiavistelli, chiavistelle a grande offerta.
Chiave di circo-colori-cocchio circo. Bandiere.
Nel giocattolato fresco paese, giocattolo circo.
Piccolissimo circo. Linguine che lambono. Inguini. Bifide
trifide bandiere, battaglie. Biglie. Bottiglie.
Oh che come un fiotto di fiotti bandiere balza tutto il circo-cocò.
Biglie bowling slot-machines trin trin stanno prese
nella lucente [ ] folla tagliola del marzo –
come sempre mortale
come sempre in tortura-ridente
come sempre in arsura-ridente ridente
E lui va in motoretta sulla corda tesa su verso la vetta
del campanile, dell’anilinato mancamento azzurro.
E butta all’aria. Bandiere. Ma anche fa bare, o fa il baro.
Bara nell’umido nel secco. Carillon di bandiere e bandi.
S’innamora, fa circhi delle sere
Sforbicia, marzo. Tagliole. Bandi taglienti. Befehle come raggi e squarti.
Partiva il circo la mattina presto –
furtivo, con un trepestio di pecorelle.
Io perché (fatti miei), stavo già desto.
Io sapevo dell’alba in partenza, delle
pecorelle del circo sotto le stelle.
Partenza il 19, S. Giuseppe,
a raso a raso il bosco, la brinata, le crepe.

 

*

(Collassare e pomerio)

Dimmi che cosa ho perduto
dimmi in che cosa mi sono perduto
e perché così tanto, quasi tutto
ho lasciato a piè del muro –
oh fastelli scrigni fardelli di rovi e poi là
gemellari luci, auricolazioni nell’infinito pomerio
Da sempre vi inciampo, in qualcosa di combattuto
vinto ribelle e comunque muto-lussazioni
nei baluginii del pomerio
Dimmi quale e che modo di collassarsi
Dimmi quale lingua ho perduto e lasciato collassarsi
Dimmi in che lingua ho perduto ho collassato
e perché in questa cinta amata per la sua tanta
perdita
mi sono aggirato senza mai perdermi
ma pur sono stato perduto da alcuno da alcuno
Dimmi perché ogni nervo d’erbe verdissime su
dal collassato campo di mura e pomerii
percepisca quel che io non percepisco
nello sfatato, nel collassato, nel simil-nato
in cui mi sono guadagnato e ripetuto
Dimmi perché questo disamore per sempre
mi porta davanti all’amore creduto perduto
e a dorso del sempre io mi
allontano dall’amore creduto perduto –
amori raccattati come filìi di sputo,
invasione, luogo invasato
tutto nel rivolgersi al mio iato
Dimmi: e poi non fa niente: chinato sul pomerio
all’ìmpari, sotto sbilancio o sfratto dall’alto stato
dei cieli: forzano a mille danari
succhiano da mille prede offerte luminarie
ho avviato là qualcosa di mio
a scorrere davanti a me
a qualificare profondità-ruine
mondi, occhieggianti divine latrine –
mi sono adeguato a voi divote
e umili demarcazioni territoriali
deposte da quanto è più chimicamente animale –
e mi apriste in incalcolabili avanti
afferendomi ai collassati cieli ai loro ammanchi
palpitanti!
Dimmi perché adorando questa perdita secca
o riducendo a più non posso o riducendo
e basta
o
non badando a remissione, mutuo, sostituto, oh,
come accucciato accucciato
o divaricato divaricato
dal mio proprio collassato mi sono evoluto
sì che potrei con le mie parti infime
del brillio dell’oscuro lo stato vero assumere
e oralità e orazione infine adergere
essere – in esse – chimico segno pomo ponfo
mai prima individuato
dentro la folata del crepuscolo del
rilasciato dell’affrancato del defenestrato
al di là di labbra e nari
su instabilità di pomeri
di legenda di agenda e luminari.

 

*

SERE DEL DÌ DI FESTA

1

(È un puro autosufficiente luogo letterario
è una purezza che non chiede avalli
è un avallo ad un’acme dello stesso richiedere
È dèi/in avvento/in fuga/in disguido/
in eterno ritorno al nido)
Tutti gli dèi del 31 gennaio
si sono qui in un attimo affollati
qui nelle estreme
luci, strascichi, forze del 31 gennaio –
gli dèi e ciò che è ostile agli dèi
Noi non-dèi c’intagliamo
a questi diktat leggi ed eserciti
di beltà invincibilmente candide
attonite a sé
da se stesse distratte
traenti doni di inenarrabilità nel narrare
tutta la loro ridesta
fragranza doglia e voglia di sera-festa

A tutti gli dèi del 31 di questo 31:
alligna un gesto unanime
da essi inseparabile,
scatti/scarti/fronti
assestamenti in monti
per un’eternità che si chiama
a shock a sbalzi, peso nitido, brama
lustro e violenza del 31 gennaio

Dall’apice del 31, di gennaio, festa-sera
mi lascio vendere, macellare, distribuire
mi lascio, glorioso, scaltro, rinascere
mi lascio singolmente, ciecamente, altrimenti,
deflettere, ripensare, ritrattare

TUTTO SI APRE A SBARAGLIO di luci-lotte
rupi di glacialità si varano da sé esaltate:
ovunque, senza riparo, senza stasi-tregua
dolcissima durissima voluttà epifanica
emarginante – corri corri – o già essa è margine
con noi marginali non magnanimi distimici tipi,
ma forse, un poco,
soffiati in infilate nivali di fati.