Dall’Antologia italiana di Paul Celan, a cura di Dario Borso, appena uscita per nottetempo, pubblichiamo una scelta di traduzioni.
UN CANTO NEL DESERTO
Un serto di fronde nerastre fu intrecciato nei pressi di Acra:
lí girai con uno strappo il morello e diedi di spada alla morte.
Anche bevvi da ciotole in legno la cenere dei pozzi di Acra,
e a visiera serrata puntai contro i detriti dei cieli.
Ché morti son gli angeli e cieco finí il Signore nei pressi di Acra,
né c’è chi badi per me nel sonno a quanti qui andarono a riposo.
Percossa a stremo fu la luna, fiorellino dei pressi di Acra:
cosí fioriscono, emulando le spine, le mani con anelli corrosi.
Dunque dovrò chinarmi infine al bacio, se pregano ad Acra…
Scarso fu il giaco della notte, gocciola il sangue dalle maglie!
Cosí divenni il sorridente fratello, il ferreo cherubino di Acra.
Cosí pronuncio ancora il nome e ancora sento il fuoco sulle gote.
CORONA
Dalla mia mano l’autunno bruca la sua foglia: siamo amici.
Sgusciamo il tempo dalle noci e gli insegniamo a andare:
il tempo torna al guscio.
Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca profetizza.
Il mio occhio scende sul sesso dell’amata:
ci guardiamo,
ci diciamo cose oscure,
ci amiamo l’un l’altra come papavero e memoria,
dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguinante della luna.
Stiamo abbracciati alla finestra, ci osservano dalla strada:
è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra si decida a fiorire,
che all’inquietudine batta un cuore.
È tempo che sia tempo.
È tempo.
FUGA DI MORTE
Latte nero dell’alba lo beviamo di sera
lo beviamo a mezzodí e al mattino lo beviamo di notte
beviamo e beviamo
scaviamo una fossa nell’aria lí non si sta stretti
Vive un uomo nella casa lui gioca coi serpi lui scrive
lui scrive verso sera in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
lo scrive ed esce di casa e brillano le stelle fischia ai suoi mastini qua
fischia ai suoi ebrei fuori fa scavare una fossa per terra
ci comanda suonate ora si balla
Latte nero dell’alba ti beviamo di notte
ti beviamo al mattino e a mezzodí ti beviamo di sera
beviamo e beviamo
Vive un uomo nella casa lui gioca coi serpi lui scrive
lui scrive verso sera in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una fossa nell’aria lí non si sta stretti
Grida scavate di piú il terreno voi altri cantate e suonate
piglia il ferro alla cintura lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
affondate di piú le pale voi altri suonate ancora si balla
Latte nero dell’alba ti beviamo di notte
ti beviamo a mezzodí e al mattino ti beviamo di sera
beviamo e beviamo
vive un uomo nella casa i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith gioca coi serpi
Grida suonate piú dolce la morte la morte è un maestro tedesco
grida archeggiate piú scuri i violini cosí salirete come fumo nell’aria
cosí avrete una tomba tra le nuvole lí non si sta stretti
Latte nero dell’alba ti beviamo di notte
ti beviamo a mezzodí la morte è un maestro tedesco
ti beviamo di sera e al mattino beviamo e beviamo
la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro
ti centra con palla di piombo ti centra preciso
vive un uomo nella casa i tuoi capelli d’oro Margarete
ci aizza contro i suoi mastini ci dona una tomba nell’aria
gioca coi serpi e sogna la morte è un maestro tedesco
i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith
CRISTALLO
Non cercare sulle mie labbra la tua bocca,
non davanti al portone il forestiero,
non nell’occhio la lacrima.
Sette notti piú in alto va il rosso verso il rosso,
sette cuori piú in basso bussa la mano al portone,
sette rose piú tardi mormora la fontana.
SALMO
Nessuno ci plasma piú da terra e argilla,
nessuno scongiura la nostra polvere.
Nessuno.
Lodato tu sia, Nessuno.
Per te noi vogliamo
fiorire.
Verso
te.
Un niente
eravamo, siamo,
resteremo, fiorendo:
la rosa di niente,
di nessuno.
Con
lo stilo chiaro-anima,
il filamento desolato-cielo,
rossa la corolla
della parola purpurea che cantammo
sopra la spina,
oltre.
MANDORLA
Nella mandorla – cosa sta nella mandorla?
Il nulla.
Sta il nulla nella mandorla.
Lí sta e sta.
Nel nulla – chi sta lí? Il re.
Lí sta il re, il re.
Lí sta e sta.
Ricciolo d’ebreo, non diventi grigio.
E il tuo occhio – dove sta il tuo occhio?
Il tuo occhio sta contro la mandorla.
Il tuo occhio, contro il nulla sta.
Sta per il re.
Cosí sta e sta.
Ricciolo d’uomo, non diventi grigio.
Mandorla vuota, blu regale.
IL TRISILLABO DOLORE
Ti si diede nella mano:
un tu, senza morte,
con cui tutto l’io tornò a sé. Correvano
voci prive di parola, forme vuote, tutto
finiva in esse, mischiato
e scomposto
e di nuovo
mischiato.
E numeri erano
intessuti con
l’innumere. Uno e mille e ciò
che davanti e dietro
era maggiore di se stesso, minore,
maturato e
ri- e trasformato
in
germinante mai.
Il dimenticato tentò di prendere
il dimenticando, continenti, cuori a pezzi
galleggiavano,
affondavano e galleggiavano. Colombo,
il colchico
nell’occhio, il
ranuncolo,
sterminò alberi e vele. Tutti salparono,
liberi,
avidi di scoperte,
smise di fiorire la rosa dei venti, perse
le foglie, un oceano
fiorí a iosa e a giorno, nella luce nera
dei selvaggi colpi di timone. In bare,
urne, canopi
si destarono i piccoli
Diaspro, Agata, Ametista – popoli,
tribú e casati, un cieco
S i a
si annodò nelle
gomene sciolte a testa di
serpente –: un
nodo
(e contro-, retro-, anti- e bi- e multinodo)
presso cui,
occhi quaresimali, la nidiata
delle stelle-martora nell’abisso
sil-, sil-, sillabava,
labava.