Quattro poesie nella traduzione inedita di Rita Castigli.
PETER STREET
Ero arrivato quasi ad amare questa strada,
ogni volta che passavo guardando su
per fissare il viso di mio padre a una finestra, sentirmi
abbracciato nel suo sguardo. Oggi c’è un cantiere
dove c’era l’ospedale e io mi fermo a fissare
stupidamente l’aria vuota, cercando lui.
Pregherei quasi che restasse un po’ di dolore
come un difetto nella struttura, qualcosa senza pace
in attesa nell’impianto, tra i piani, in qualche
ostinata, segreta stanza. Una gru si muove
delicatamente nel cielo, nella propria lingua.
Scordati tutto questo, penso mentre passo, fanne
una casa meravigliosa; che la musica vaghi per i corridoi,
la gioia pattugli i piani, il cuore testardo
di San Valentino venga galleggiando da Whitefriar Street
per vincere, per cancellare la ferita, per sollevare mio padre dal suo letto,
che lui scenda giù per i consunti mattoni rossi, senza sforzo,
e fugga via con la sua vita in mano.
PARLANDO CON GLI UCCELLI
Ha descritto come una donna della tribù Boa delle Isole Andamane morta nel 2010, durante i suoi ultimi anni, avrebbe “parlato molto con gli uccelli perché non c’era nessuno in giro che parlasse la sua lingua”. (New York Times)
Quando non c’era più nessuno
che capisse la nostra lingua
mi sedevo fuori e parlavo agli uccelli
e quando gli uccelli erano dentro
parlavo alla luna, cantavo alle stelle.
Quando arrivava la pioggia le dicevo una poesia
e quando al mattino il sole
si spandeva sul pavimento
ballavo da una parte all’altra con la scopa,
strappando storie al mio sonno,
raccontando all’orologio dei miei amici e parenti,
come sedevamo tutta la notte vicino al fuoco
e suonavamo musica e parlavamo senza sosta
senza sapere che stavamo consumando la lingua,
che dall’altra parte di ogni parola
si nascondeva il silenzio, in attesa del suo momento.
Imparate questa lingua, dico agli uccelli,
e cantate ovunque andrete
i modi fantasiosi in cui la usavamo. Ormai
questa casa deve averla di sicuro, la grammatica
per tanto tempo filtrata nei mobili
e quando appoggio le mani sul tavolo
so che il legno sta ascoltando
e i fiori quando si apriranno diranno il mio nome.
LA TAVOLA DI NANDO
per Fernando Trilli
C’era il tacchino, turkey, che litigava, impaziente,
terrorizzando le galline e i piccioni invadenti
ma non era questo
C’era il pavone, peacock, regale
sul tetto, tra i rami, la coda immersa nel verde
ma non era questo
C’era la famiglia delle capre, barbute, serie;
c’era il gatto nello spiazzo; c’erano castagne, fuochi
nemmeno questi, anche se quasi
C’eri tu con gli occhiali da sole alla stazione di servizio;
c’era una collana di perline; c’erano alberi, viali
ed era più vicino, ma non esattamente
C’era una lunga strada bianca, quasi, quasi,
c’era fuori una tavola con vino e pane,
c’erano olio e formaggio, un piatto di lenticchie, vicino
come te adesso, il sole sulla tavola, tutti noi che mangiamo,
tutti noi lì mentre le lucertole scappavano e il pavone
spiccava il volo e tutto ciò che dicevamo è svanito
ma il sole è in qualche modo ancora sulla tavola, il libro
capovolto, l’olio che ammorbidisce il pane
e deve essere stato quello, o qualcosa del genere
bread, oil, cheese, sun
la tavola di Nando inondata di ottobre,
tutti noi seduti lì come se fosse per sempre.
ETÀ
Quanti anni ho, dieci?
Il treno attraversa il fiume scintillante;
in un albergo di fronte alla stazione
mia nonna mi porge un bicchiere di stout.
Le mie labbra sono nere per l’estate.
Quanti anni ho, quindici?
Abbiamo camminato per tutta la città
e dobbiamo aver parlato per tutto il tempo
ma tutto ciò che resta del desiderio
è la pesca che le ho comprato proprio qui.
Quanti anni ho, venticinque?
Il ghiaccio pende dagli alberi,
i pattinatori corrono per le città.
Sul balcone, oltre la porta bloccata,
le mie vite congelate aspettano il disgelo.
Quanti anni ho, cinquantanove?
Il sole scorre sul tavolo
dove tutti noi stiamo banchettando
in attesa come apostoli
sull’ultimo pane, l’ultimo vino.
Quanti anni ho, centotré?
L’aria fredda gioca sulla terra.
Se qualcuno dovesse pensare a me
un filo d’erba si fermerà mentre cade,
una foglia volteggerà nell’aria.
Peter Sirr (1960) è un poeta e traduttore irlandese. Ha visstuo in Irlanda, Italia e Olanda. E’ stato il direttore dell’Irish Witer’s Center dal 1991 al 2002 nonché direttore della rivista Poetry Ireland Review dal 2003 al 2007. E’ il vincitore del Patrick Kavanagh Poetry Award (1982), del Listowel Writers prize (1983) e finalista per due volte al Poetry Now Award: con la raccolta "Nonetheless" nel 2005 e con "The Thing Is" nel 2010. Nel 2011 gli viene conferito il Michael Hartnett Award per la raccolta "The Thing Is". Lecturer al Trinity College di Dublino, ha pubblicato nove libri di poesia e i suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue per riviste o antologie.