Non già ieri, non ancora domani

da | Gen 2, 2025

 

Cinque poesie in anteprima da “Non già ieri, non ancora domani di Antonio Tricomi, da poco uscito per Marcos y Marcos.

 

Ascolta, il punto è forse questo:
che uno mette, poi mette, rimette
gancetti da cui pende sul vuoto,
però li perde, e perde, riperde.

E che, detta così, neppure basta.
Quel tale ha chiaro fin dal principio
che s’inchioda, e inchioda, rinchioda
a ben poco a reggerne il peso.

Anzi lui lo capisce, a che cosa:
minime dosi omeopatiche
di male invecchiata giovinezza
e, quanto al resto, far finta che vada.

Ma, tutto il tempo, sta sul chi vive:
se quasi niente lo salva dal niente,
basta niente per cadere nel niente.
Sempre così, ad ogni illusione.

*


Un padre, quando l’ho visto, composto.
Bocca alle guance, sì, l’ho baciato.
Un chiodo, anche l’altro: è saldato
al raso, la bara, un fiore deposto.

Poi non mi sono più detto: “Non c’è”.
Se la presenza era già decaduta,
mi sfinisce la mancanza assoluta.
Ne sento spesso la voce, non è.

Il ricordo mi arriva di poco
importante davvero. Un dettaglio:
in faccia un cerotto su un taglio,
lo stesso nome storpiato per gioco.

E dovrebbe d’un tratto accadere
che mi cedano i nervi, io pianga.
Invece no. Il dolore la sfanga
dall’idiozia. Si lascia tacere.

*


La notte ha spazzato il terrazzo.
Aperta, la busta non sa tenere
scheletri in latta soffiati dovunque
che cozzano ottusi con la ringhiera.

Spero anche in nessun giorno di più
dell’altra mezza famiglia nei pressi:
veder stipate al vento in un muro
la madre, la figlia non lo vorrei.

Trascinati sulla strada, i detriti
hanno fatto singhiozzare la guida.
L’aria è già ferma, a destinazione.
“Staran pulendo l’asfalto”, mi dico.

Desiderio inatteso di vita:
che mi opprime intorno svanisca;
che debba solo della mia morte
io farmi carico senza poterlo.

*


“I capelli, guarda, è una cosa
che non ci si crede: non li distruggi.
Soda caustica? Ma lasciala stare!
Vengo, una sera, svito il pistone”.

L’idraulico m’ha in pratica detto,
scrutando il ristagno nel lavandino,
che tracce di te non solo dal bagno:
da tutta casa non se ne andranno.

Lo licenzio pensando: “E così sia!
Pur a volerla dar via col mobilio,
e comunque oltre quanto credessi,
tu sosterai, in qualche tua forma”.

Vanno presi sul serio, gli umani.
Facilmente si raccontano: “Sempre”,
ma non lo sanno che quella parola
senza scelta rischia d’essere vera.

Curvi dietro consolle, che chi le sposta?
Stirati in un libro, che chi lo apre?
Bianchi sul fondo di una scarpiera.
Stretti agli angoli dentro un cassetto.

Fili dovunque, caduti dal cranio.
Quelli che poi rimarranno in segreto
forse anche più, degli altri spazzati.
Per quant’è nascosto si resta accanto.

*


Il tempo è andato, ad un tratto.
Con lì un uomo spolpato, disfatto
sopra lattice, cotone. Un fiotto
della bava, col sapone, dedotto
dal corpo che s’agghiaccia, è lo sputo
d’ogni fibra. S’appanna, ha ceduto.
Nessun urlo dal guanciale. L’involto
su tutto è un commiato. Sepolto.
Nutro, giacché resto, appena un tarlo:
“Dolore è solo questa memoria?”.