Cinque poesie in anteprima da “Nessuno veda nessuno”, l’ultima raccolta di Biancamaria Frabotta, uscita ieri per ‘Lo Specchio’ Mondadori.
(a Fernando Pessoa)
Si potrebbe dire una poesia in affitto
il va e viene che scruta dal mezzanino
il poeta persona, il poeta nessuno
a Lisbona, anonimo, quasi invisibile
là dove si mangia e si beve
con poca pretesa di esserci
fra la gente essenziale al clima
delle tue strane stagioni interiori.
Come una malattia cronica
d’origine oscura, un gene
funzionale al buio dei tempi
smentiva il tuo debole demone
violava la norma
dell’umana convivenza. Impero
invidioso di ogni bambola viva.
*
22 agosto
Eppure, la musica. Prima o poi dovrò fare ammenda
di fronte al supremo giudice del godimento assoluto
che mi assale in un brivido di risonanze vaganti
in uno sciame di nostalgie acute come vespe
fuori stagione in una stazione piena di ore vuote.
Il tuo tempo è l’andante moderato del tedio –
dell’etica svuotata della sua grammatica umana
o il tormento di un grave alzarsi fino a un dio
greve, lento di comprendonio e di compassione.
Ma il tuo miracolo è l’impromptu. All’improvviso
cala la grande stanchezza del corpo e, nonostante
la tua inamovibile scelta di dubitare della Natura
di restare fuori dalla Storia e di evitare la fatale
attrazione dell’azione ti sarà concessa l’opportunità
di ornare la tua casa con l’ulivo benedetto della passione.
*
(a Simone de Beauvoir)
Ancora oggi mi afferra la paura
di non essere all’altezza delle tue certezze
di non capire la tragica maretta in cui
naviga la nostra travagliata navicella.
Il Soggetto, scrivi, si pone tutto solo
al centro di sé stesso. Si propaganda
come la più prelibata vivanda che nessuno
tra i convitati al banchetto vorrà assaggiare.
L’Altro resta “inessenziale”. L’Altra sono io,
che, prima di questa lenta morte, aspiravo
alla felice cognizione di una fraternità di intenti.
Tu non dettavi norme, ma ciò che correva
sotto traccia nella tua filosofia emergeva
nelle terre equidistanti dai geli dei due poli
dove i ghiacci già cominciano a liquefarsi.
Eppure in te ardevano barlumi di fiducia
nella solidarietà e nell’amicizia.
Ma i filosofi non ci furono amici.
Così perfidamente disse di noi Epicuro.
Non è forse vero che il mondo guida
un principio buono e uno cattivo?
L’Uno ha creato l’ordine, la luce e l’uomo.
L’Altro il caos, le tenebre e la donna.
*
SIRIO
Molte sono le stelle doppie. Quante? – chiedo.
So che la mia domanda può suonarti sciocca.
Come una stecca in una perfetta esecuzione.
– Gettar lì in quel vago fitto e scuro
un numero qualsiasi, sarebbe affaticarsi per nulla –
Ma una stella binaria – insisto. È una o sono due?
È una, eppure sono due – sancisci. La più luminosa
è la primaria. E l’altra, la sua compagna.
Sirio, la stella più lucente nel cielo notturno
della Terra è a noi la più vicina.
Non a caso i Greci la chiamavano l’Incandescente.
La sua massa è due volte il Sole. Se fosse situata
accanto alla nostra stella, la oscurerebbe più di venti
volte dannandola a una luce perpetua senza notti.
Basta alle nostre vite una lampada a fasi alterne.
Basta per non farci sentire soli nell’universo.
*
Una poesia può esprimere idee sconnesse
può aggirare la logica. Non loda
il passato ai danni del presente
né si limita ad accettarlo o a criticarlo.
A volte Qualunque diventa Qualcuno.
Da dove vengono né dove vanno
non si sa i pensieri sbandati dei poeti.
Pensieri vani, magari nebulosi
pare che oscillino in un limbo
di umiltà e superbia.
Qualcuno auspica un poeta che ami
gli esseri umani più che la poesia.
Immagine: Foto di Dino Ignani.