(“Guardare” è una rubrica che propone poesie scritte da ventenni e trentenni e che prova a raccontare il nostro momento storico dal punto di vista del loro immaginario. Questo percorso ci accompagnerà nei prossimi mesi con un’uscita ogni due settimane. Tessera dopo tessera si configurerà un mosaico in cui speriamo emergano interrogativi, chiavi di volta e genealogie di un tempo che muta velocemente, lascia disorientati, ma chiede anche nuove e autentiche forme del guardare. Nella ventiduesima puntata, poesie inedite di Francesco Ciuffoli, nato a Roma nel 1999.)
TALASSISMO
ˈvaɾi e ˈdama
Kaˈlaɾi ˈuna ˈla
ˈseti ˈiɾe ˈita
ˈkɔmo
E ˈvoi la ki ˈa saˈpe
ˈuna ki ˈama ˈvio
ˈseɾi ˈduna ˈkala ˈeɾe ˈini ˈmari
[Daniela Pes, “Ca Mira”, Spira]
E come in certe sere, «ta
lassa, che mi dicea»
quando nel mondo non sembrano esserci più connessioni
e lei, in balia
Alle porte di certe camere per funzioni
estere in cui, ora
dopo ora, capita anche a noi
stranieri alla vita / stranieri a tutto ciò che più ci preme
e svia afferrandoci nuovamente
Nel silenzio
Che tu semini e io raccolgo, lungo queste
e più verdi oscurità.
Credimi quando ti dico che, in quei momenti,
è persino difficile mettersi d’accordo
coi piedi, allontanarsi dal tavolo, fare finta di niente,
tenerti vicino conservandone le distanze.
E poi, io non sono altro che un piccolo uomo
Uno vestito di stracci, uno da poco
per comprenderci
Uno, dove le ore, i minuti passano
e sbiadiscono in questo ricordo del farsi
delle prime luci
lungo un binario per cui, voltarti, suggerirà solo
nel gesto, un ultimo saluto in cui poterci posizionare
insieme a tutte le cose / A poco più di due passi di polvere
da te
l’anno prossimo, vedrai che andrà meglio: cambierò lavoro,
non rimarrò più, sveglio tutta la notte. Sarò più vigile, più sicuro, più onesto…
– Vedrai che se ti impegni, sono certa che ce la farai.
Ma poiché ogni atto è simbolo
ogni nuova fase richiede la sua contraddizione
Anche questo ne farà parte. Per questo no, nessuno può (restare)
neanche quest’anno:
sull’estuario delle intuizioni, al confino ultimo dell’esistenza
in questa terra:
Dove ogni metafora suscita realtà e ogni esistenza
è un’esistenza che spiega
anche se la mia banalità farà sembrare che io possa
raccontare qualcosa
circa i dettagli
di tutte quelle coste dei libri, di quelle piccole cose non-accadute
Sono amnesie per la polvere
ciò che dà più forma al quadro: la città e i suoi abitanti
i momenti che lacerano: questo verde privato
e senza luci,
questa cura a cui tu guardi, allontanandoti
Quando, in casa, non c’è nessuno e ognuno è
schiavo di sé stesso
nel buio di una memoria in cui rifuggi e io provo
a riconoscerti
come il sognatore, tra un sogno e un altro,
tratta del futuro, dimora di quel tuo passato
DOVE UNA FALENA COMPARE
dalla foce di un vaso
Giù, nel parco cittadino
nello striscio di sangue di una vetro-coltura
in un pot-pourri sotto ai denti
dove uno strano verde ti invade la bocca
e gratta, oggi, un sorriso
come in un covo per i tarli
Quasi fosse erba cattiva
in quella terra, la mia, fine di ogni cosa
– E da che vedi, tutto è reiterazione
come il taglio di pesce che incolla le mani
microorganismi – E te lo giuro! Li sentiva
Crescere come buchi neri o nei sulla pancia
Senza sapere più cos’altro possa riaffiorare –
adesso, forse più che in altri momenti –
dalla finestra: dove padri e figli tornano a galla
E nessuno più di lei che sentisse l’esigenza
di farsi comprendere.