Di cosa vive l’anima?
Non l’ho forse nutrita col coltello
tutto l’anno a una tavola imbandita?
A sorsi ha bevuto miseria altrui.
E lì sulle orme dei titani
inciampo io con la mia anima.
Ah, una strega!
Appena udrà il primo tocco, ci si fionderà.
Che sia periferia di Mosca o sia mattino.
E poi dice: ecco qui.
E dice ancora:
“Evita almeno la paternale,
o tu signore,
non sei padrone della tua senilità?
o tu signore,
nell’abisso segreto non sei unito?
Forse non sei unito al fondo
con ogni filo del naturale
che trema nell’insaziabile arsura.
Di questo solo vive.”
Il corpo, fanghiglia ossea.
Ma la sirena urla in testa,
raccogliendo tutto in uno
ogni sforzo, ogni capello.
l’ineluttabile si svela,
esorcizzando in fretta e furia:
– Osso temporale!
– Tempo di bianco natale!
– Buio infernale!
– Aritmia ventricolare!
*
Чем жива душа?
Не ее ли кормил с ножа
весь прошедший год за столом накрытым?
Отхлебнула беды чужой.
И где конь молодой с копытом,
и я – со своей душой.
У-у, ла-худра!
Только первый заслышит звон – и туда рванет.
Хоть на край Москвы, хоть под утро.
А потом говорит: ну, вот.
А еще говорит:
“Ты хотя бы не ставь на вид.
Или ты, господин,
не хозяин своих седин?
Или ты, господин,
в тайной пропасти не един?
Разве ты не един в основе
с каждой ниточкой естества,
что дрожит в ненасытном зное –
только тем и жива”.
Тело, костная тина.
Но сирена кричит в мозгу,
собирая все воедино
по усилию, по волоску.
Открывается неизбежное,
второпях заклиная:
— Косточка нежная теменная!
— Темь кромешная!
— Баба снежная!
— Жаба грудная!
***
Gli sbalzi inavvertiti dei giorni
dal successo al silenzio.
Diventa ancor più difficile, più facile. Più difficile.
Ancora più assurdo e casuale.
Guardate: fa scena muta.
Guardate! Una voce tra tante priva
di possessore. Forse, già di nessuno,
serpeggia bassa. (Tutto si aggiusta).
E canta come acqua sotto pressione,
in modo fine e a un tempo improvviso,
mentre assicura: “Sono un corvo! Sono un corvo!”
*
Незаметные перепады дней
от удачи и до молчания.
Все труднее, все легче становится. Все трудней.
Все нелепее и случайнее.
Посмотрите: лицо без речей.
Посмотрите! Лишенный владельца
чей-то голос. Наверно, уже ничей –
низко стелется. (Все перемелется).
И поет как вода под напором,
так же тонко и так же внезапно,
убеждая: “я ворон! Я ворон!”
[Da Šestoj sbornik, Sesta raccolta, 1986]
***
Krasnye Vorota (2)
La fame? Non era la fame.
Era prima della fin fine
nella nuvola color cenere
minute matrici di piombo.
Mangiando moli di polvere
cento chili di sabbia,
contenta di esser plasmata
da un’unica massa,
la gente leggeva, lodava,
conosceva di sicuro
l’orma in riga delle sciagure,
il normografo dell’aria:
di un potere grigio-nube
il più grande segreto.
*
Красные Ворота (2)
Голод? Голода не было.
Был до конца концов
в облаке цвета пепла
мелкий набор свинцов.
Съевшие тонну пыли,
сто килограмм песка,
рады, чтоб их лепили
из одного куска,
люди читали, чтили,
знали наверняка
строчечный след несчастий,
воздуха трафарет –
облачно-серой власти
самый большой секрет.
***
Estate con sorpresa
con una pioggia eterna o con luce lontana
in una nuvola color avio
(avio-latte).
Estate al buio. Terreno non troppo fertile
della dacia.
Aria, che striscia come fiamma sui rami.
Esperienza onnipotente
che imprime erroneamente
cicatrici fini, segni sulla pelle.
Cosa ti abbisogna? Minore (più giovane)
non si diventa.
*
Лето с сюрпризом –
с вечным дождем или светом заочным
в облаке сизом
(сизо-молочном).
Лето впотьмах. Не особенно тучный
дачный участок.
Воздух, ползущий как пламя по сучьям.
Опыт всевластный
мелкие шрамы, знаки на коже
ставит оплошно.
Что тебе надобно? Младше (моложе)
стать невозможно.
[Da Za krasnymi vorotami, Oltre Krasnye Vorota, 2000]
***
Pur volendo evitare in ogni modo le lamentationes sullo stato attuale della traduzione poetica in Italia, a tutt’oggi non sembra esserci alternativa possibile a un confronto duro e senza sconti con la waste land che si profila tra i limiti delle traduzioni per le major dei vari Neruda, Prévert e Szymborska… In questa terra, dalla difficile percezione complessiva, spicca il lavoro di alcune case editrici, come Transeuropa con la collana “Nuova poetica 2.0” che pubblica sia in formato e-book sia, secondo la formula del print on demand, in cartaceo. Se infatti la confezione editoriale, nel mondo del print on demand, risulta scarna, è però spesso la resistenza e l’altissima qualità del lavoro a premiare questo tipo di scelta. Transeuropa ha già proposto autori del calibro di W. H. Auden, William Faulkner e Herta Müller. A mio avviso, comunque, il salto di qualità – paradossalmente – giunge ora, con la dodicesima uscita, dedicata alle Poesie scelte (1975-2011) di Michail Ajzenberg, a cura di Elisa Baglioni.
Elisa Baglioni, rispondendo positivamente alle costrizioni materiali di un panorama nel quale il traduttore di poesia spesso porta tutto il peso del testo, facendosene anche curatore e prefatore, presenta al lettore italiano una voce “quasi” nuova e certamente di gran valore. Presente nelle antologie La nuova poesia russa (Crocetti, 2003, a cura di Paolo Galvagni), Otto poeti russi (per la rivista “In forma di parole”, a cura di Alessandro Niero, 2005) e Poeti russi oggi (Scheiwiller, 2008, a cura di Annelisa Alleva), Michail Ajzenberg può essere conosciuto in piena autonomia e in modo completo soltanto attraverso questa nuova pubblicazione, che copre interamente i quasi quarant’anni di produzione dell’autore, nato a Mosca nel 1948. La traduttrice ci guida nel testo, attraverso una brillante e concisa prefazione e una nota alla traduzione, in cui erudizione e divulgazione sono ben dosate e il paratesto risulta uno strumento critico valido tanto per il pubblico specialista quanto per quello “generale”.
Al pubblico “generale” appartiene anche il mio caso di lettore: non sono slavista e non posso, per questo, avanzare ipotesi serie sulla traduzione né sulla lingua originale di Ajzenberg. Serenamente, passo oltre, perché, come dicevo, in Ajzenberg ho trovato una delle migliori voci poetiche in traduzione italiana, da molto tempo a questa parte. Si tratta, anzi, di un autore che è consapevole della propria grandezza e che, proprio per questo, non può essere tacciato di falsa modestia. Quando Ajzenberg scrive ripetutamente, nella Sesta raccolta (1986), debitamente antologizzata nel volume, di essere un “uomo di nostalgia”, piuttosto che un “uomo di cultura” (“No, non sono di grande valore culturale. / Non sono un uomo di cultura. / Sono un uomo di nostalgia.”), egli intende affermare l’importanza del dolore collegato a un nostos impossibile – a livello psicologico, ma anche sociale, culturale e politico – e al tempo stesso, su tutt’altro livello, sente di dover rimarcare una necessaria differenza con l’”uomo di cultura” che si trova a essere cooptato dall’intelligentsia sovietica. Infatti, come osserva giustamente Elisa Baglioni nella prefazione, la fuga dal lessico compromesso dai “sovietismi” consente di avvicinare Ajzenberg a uno dei suoi probabili modelli, il Mandel’štam dei Quaderni di Voronež. Notevole, a questo proposito, è anche il manifesto “Per una definizione del sottosuolo”, scritto dall’autore nel 2004, che appare in coda al libro e che rende giustizia del rapporto di Ajzenberg con i movimenti artistico-letterari “underground” dei decenni precedenti. È un rapporto da subito maturo, come evidenzia anche la traduzione, che indugia tra l’“underground” e l’immagine poetica del “sottosuolo”, carica di riferimenti letterari, nella tradizione russa.
In questo contesto, la nostalgia gli pare “unica arma” (cito sempre dalla Sesta raccolta), capace di fondere lirismo e attenzione sociale e politica in un complesso e articolatissimo universo. A mio avviso, ciò viene elaborato in modo completo e al tempo stesso nuovo, rispetto alla produzione poetica precedente di Ajzenberg, in Indice dei nomi (1993), dove, accanto al definitivo sgretolamento del sistema sovietico, che si ripercuote anche sull’idea stessa di nazione (“O è la mia patria una nuvola, che davanti agli occhi si sfibra?”), si fa largo una certa violenza, che non è pero terrorismo o, peggio, ribellismo kitsch, bensì una riflessione sullo sguardo che si avvia, nelle raccolte successive, a declinarsi secondo una visione lirico-metafisica e al tempo stesso potente sul piano sociale e politico (si veda, ad esempio, una coppia di versi fulminante come: “se non ci fosse un tiratore / cadrebbe tutto nel torpore”). Con la stessa serenità e profondità di pensiero evidenziata nel “manifesto del sottosuolo” sopra evocato, Ajzenberg arriverà poi a scrivere, in Massa diffusa (2008), versi emblematici per tutta la sua opera: “Noi non siamo di nessuno, / mentre voi ci avete portato / i mantelli mimetici di qualcuno. / Siete voi, forse, l’unica difesa. // Succede, rispondono, non essere duro.” (Lorenzo Mari)
Immagine: Marc Chagall, Le tre candele, dettaglio, 1938-1940.
Poeti russi contemporanei /1: Aleksej Vjačeslavovič Cvetkov
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).