“C’è un futuro per l’uomo?” non mancano
di domandargli i reporters. E incalzano
più esperti galoppini del problema, sociologi, ideologi,
preti faccendieri insofferenti del verbo.
Pronto, indefinitamente futuribile lui sempre
pennella una qualche esauriente non risposta
non per loro,certo, per il microfono – solo
incolpevole, che io sappia, tra quei peccatori contro l’essenza.
Del resto rispondono in sua vece la sua giubba pretenziosa,
la sua moglie ciarliera,
la sua piccola gloria
messa assieme lesinando sopra tutto sull’anima.
Via, poi, volatilizzati d’un tratto –
e dietro essi il risucchio
dell’età sterile e inesplosa
che si torce su se medesima
e affretta il tempo della paralisi e del coma.
Vanno poco lontano, sono certo, ma vanno
nell’acqua sfatta nebbiosa,
nel freddo d’una primavera nera
aperta su pochi ventagli smeraldini di là dal terminal.
(estratto dalla seconda parte del poemetto Il gorgo di salute e malattia, in Su fondamenti invisibili, 1971)