Sette poesie in anteprima da “Ma tu l’hai letto «Il giovane Holden»?” di Valentino Ronchi, Graphe edizioni, 2024.
Bisognava rispondere Europa-Europa!,
al telefono, e si vinceva non so quanti milioni.
All’incirca a mezzogiorno. Squillavano
i telefoni nelle vecchie case, finivano
gli anni Ottanta, erano giovani le vecchie zie
a tavola le famiglie, sui balconi i gatti
sui tetti d’amianto i palloni. Non era mai
la fortuna, però a squillare, non era Frizzi,
era qualche cugino buontempone a chiamare,
calcolando il tempo, implacabile, preciso. E
arrossivi di aver risposto Europa-Europa!,
averci creduto, e lo mandavi a quel paese.
Ma fuori era sempre primavera, un’eterna
primavera affossata e diffusa, i giardini
misteriosi, le fabbriche piene, ghiacciolini
al tamarindo agl’oratori. Il mondo cominciava
così: la speranza ovunque, su qualsiasi cosa,
un vaffanculo fra i denti, e un grande implacabile
sole sia dentro che fuori le finestre aperte
leggermente profumate da un passaggio
accorto di Vetril.
*
– Senza guardare giù, dicono nei film,
quando c’è un cornicione, un ponte un dirupo
da attraversare. Io preferisco guardare –
dice Jenny che nel nome ha le lentiggini
e il coraggio e un cappellino girato al contrario
e sopra il diario tre note e due cuori e sotto
la maglia un po’ di seno e in mezzo
alle gambe chiuso il mistero. Sdraiati
a fianco alla pista, in un’erba né tagliata
né alta, un pagliericcio verdissimo
il migliore dei giacigli e il cielo immobile
che lui sì, sa sempre cosa fare.
*
(SCUOLA DI PARACADUTISMO)
Quaggiù c’abbiamo anche un aeroporto
e la domenica si cimentano i paracadutisti,
caricati incerti su certi biplani scassoni
e i ragazzini li guardano, la banducola,
con la speranza perfida che qualcuno perda
la traiettoria. E girano le vie, come per andarli
a cercare – Quello si schianta, è sicuro, chiama
i pompieri. No, chiamali tu, diocaro, se gli va bene
atterra a Cusano –. E su Bresso – così, vi svelo,
si chiama il cineteatro di queste grandi imprese –
i paracadutisti alle prime armi danzano un po’
e oscillano, avvinghiati al drappo enorme,
una tovaglia per cinquanta persone, il vento
li maneggia a scossoni e loro si rimettono
a dio, pentiti, se non di tutto, d’essersi buttati.
E il cielo appare davvero troppo per loro
e per noi qua sotto, che li osserviamo, quattro
sbandati immortali minchioni che siamo.
*
Qui non ci troverà mai nessuno. In questo
aeroporto chi vuoi che parta, chi vuoi
che arrivi, a parte qualche svizzero da Mendrisio
qualche trafficante di valigie, qualche
industriale milanese sul biposto con l’amante
tutta gente che di due cinetti bressesi
bontà sua, può benissimo fregarsi. E noi
qui facciamo base e casa e alcova. Alcova
che non so cosa vuol dire ma somiglia
al fatto stesso che mi mostri un seno
come una perla, e mi osservi osservare
poi te lo guardi anche tu, di tutto questo
nostro ardire innamorata.
*
Sai che da bambino io c’ero capitato
dentro in quella pista, con la bicicletta,
a pedalare? Sentivo un aereo dietro
come un buffo sulla nuca sul collo
acceleravo ancora poi mi sono buttato
di lato e l’aereo è atterrato, senza ammazzarmi.
E Jenny mi mette la testa sulla spalla,
abbandonata. Non siamo più bambini dice,
dall’alto dei suoi quindici ben portati
fra amori fughe e solo due denti curati,
piccole carie causate da un’estate di latte
condensato che stava in tubetto che tanto
le piaceva ma poi per un qualche motivo,
forse la carie o altro, non ha mai più
assaggiato.
*
E sull’aeroporto – una spiana di prato
in realtà e una torretta di controllo
che pare fatta di lego una pista
e un reticolato con più di uno sbrego
e un hangar di latta che suona la pioggia –
tira un vento leggero, che un biplano
lo può certo sopportare. – Hai visto
le scuole medie? – mi dici, – c’han
messo poco più di un attimo a sparire.
Mi son girata e non c’erano più. Ricordo
le mattina di ginnastica, a casa prima
di uscire cercavo la maglietta fra tante,
che ero sicura che ti poteva piacere –.
*
E pure se è fine maggio comincia a piovere
e piove sull’aeroporto per biplani,
sul foglio appeso dei convocati per l’ultima
di campionato, alla finestra di Jenny
senza tende né persiane, e dentro il secchio
centrato, nella palestra del ginnasio. Noi
più o meno riparati sotto i portici osserviamo
rimandando a un lontano domani il compito
di greco (decisivo) e quello (futile) di capire.