“Lunario” è la prima raccolta di Giuliana Pala, uscita nel progetto “Esordi” di pordenonelegge a cura di Roberto Cescon, Azzurra D’Agostino, Tommaso Di Dio, Massimo Gezzi e Franca Mancinelli. Pubblichiamo in anteprima tre poesie.
SONIUM (III)
Da lontano si sentono balzi allungati e piante aguzze uscire dall’acqua, tutto è pronto
e la strada procede dritta come una carezza pallida, un cavallo che arranca.
Qualcuno conferma che ci sono dei monti da queste parti, monti alti, respirabili
qui non importa un ordine intero, conta che si guardi, che ci si sbianchi lentamente
con pazienza fino alla fine, le azioni sono apparizioni mobili, incostanti
solo il passo si tiene, e l’aria piana è tutta da sospirare. Guardo gli occhi pieni
i pesci sono gabbiani improvvisati, tutto ormai si porta al margine della propria durata.
Nei mari se perdi per un poco l’udito, se rinunci ad un senso per aguzzare meglio l’altro
vedi donne andare sulle acque, grandi cavalli bianchi avanzare come un lungo popolo
inseguito. Tu cammini di fianco con i grandi sai la via del mare e tieni pesci per la coda
con la bocca governi vacche bianche che hanno il nome dei figli, come sei bello in questo mondo [nuovo
cammineremo altre ore stanotte, qualcuno ci dirà qual è la fine di questo mare esteso
dove scollina la montagna, che fine fa il merlo quando basso scende e vola
alto sui cervi. La vedi la luce farsi bianca, esistere alla sola tua vista
lo vedi il bianco che dico qui sotto, nel mondo che sta di lato
in questa spiaggia lunga che dilaga, in questo mondo in cui abbiamo solo meno tempo.
SOMNIUM (IV)
Secondo qualcuno c’è un passaggio da queste parti, un luogo dove si entra uno alla volta
trattenendo il fiato, abbandonando nella luce le circonferenze, le forme avute da sempre.
Il viaggio avanza, fa una rotazione compiuta, e vedi le figure partecipare
equilibrarsi come fantasmi azzurri, non sono mai sicura di chi siano
le azioni svaniscono sempre più lentamente
rimangono gesti intravisti: un gomito, un palmo, una schiena che si fa ponte
e si tende sulla sabbia, a mostrare che quando il passaggio è aperto
bisogna raggomitolare il corpo nella sospensione, puntare alto
lo sguardo come una lepre d’acqua e sperare di ritrovarsi salvi.
Il cammino è un boato grosso e bisogna perdurare nelle vocali, trattenere
intatti questa forma di fiato, osservare come si perda un suono
quando sa di essere l’ultimo, quando giunto a un punto del sogno
diviene giusto che ormai si dissolva.
SOMNIUM (V)
Come sei bianco ora nella luce, in questa baia dilagata, mia madre mio padre vicini tutta famiglia
e fratelli, in tanti, qui intorno, a confondersi figli di chi. Qualcosa da lontano rifugge alla vista:
una fontana bianca colma di merli buca lo sguardo, e si sentono i canti di un tempo, le attese
quel modo di farsi luce che aveva il giorno. Ti vedo seduto a farti morto sulla riva
a morire bianco per far vedere che te ne vai prima e che io alla fine
devo farti le preghiere, l’acqua mi bagna e sono sola in questo luogo così tanto aperto,
fammi strada da queste parti, per queste zolle azzurre che non sanno di mondo
per questa forma che ha oggi il pianeta così vicina così limpida al bianco
incontro quattro pesci e aspetto l’Uomo Bianco, Dio arriva sempre dall’Altra parte.