[Intervista con Richard Dixon, uno dei sette traduttori dello Zibaldone di Giacomo Leopardi in inglese, un’impresa culturale straordinaria. Per la prima volta, quel diario di pensieri sparsi potrà essere letto integralmente in lingua anglosassone. Segue la versione in inglese dell’intervista, a cura di Richard Dixon che ringraziamo]
Si narra che un giorno si presentò a Recanati un piccolo gruppo di ebrei, con i quali nessuno della cittadina marchigiana riuscì a interloquire fatta eccezione per Giacomo Leopardi, che discusse amabilmente e fluidamente con loro parlando un perfetto ebraico. Peraltro una delle sei lingue che il grande poeta parlava correntemente già a 17 anni. Un episodio questo, che da solo riesce a rendere l’idea della straordinaria cultura del personaggio, fornito di un’erudizione ampiamente rifusa in quell’opera incredibilmente ricca e complessa che è lo Zibaldone.
Ne parliamo con Richard Dixon, già traduttore in inglese di Umberto Eco e Roberto Calasso, uno dei sette traduttori della straordinaria impresa culturale che vede, per la prima volta integralmente, riprodotto in inglese lo Zibaldone di Leopardi.
La traduzione integrale dello «Zibaldone» arriva dopo più di un secolo di silenzio del mondo anglosassone su Leopardi. Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a compiere un’operazione di portata storica?
Quattromilacinquecentoventisei pagine sono tante. È stato un lavoro enorme, non soltanto per il numero di pagine da tradurre ma per gli argomenti trattati. Soprattutto, per un’impresa così significativa, ci voleva la guida giusta. Credo che non sarebbe stato possibile arrivare ad una pubblicazione così riuscita senza la visione dei curatori, Michael Caesar di Birmingham University, Franco D’Intino dell’Università La Sapienza di Roma e l’impegno di una casa editrice come Farrar Straus e Giroux nella persona di Jonathan Galassi, lui stesso traduttore dei Canti di Leopardi pubblicati recentemente da Penguin Books.
Il progetto è nato nel 1998 con la fondazione del Leopardi Centre di Birmingham in collaborazione con il Centro Studi Leopardiani di Recanati e poi successivamente la creazione di un comitato scientifico con numerosi consulenti nelle diversissime materie trattate nello Zibaldone, dal campo linguistico e filologico (non soltanto le lingue europee, il greco, latino, ebraico ma anche sanscrito, mongolo, tibetano, cinese) alla filosofia, musicologia, storia classica, medievale e moderna, giurisprudenza, scienza. Eravamo sette traduttori, ma non sarebbe stato possibile portare l’impresa a buon fine senza l’impronta decisiva dei due autorevoli curatori. Quindi, più che parlare di «silenzio», direi che il tempo era maturo.
Sono non poche le difficoltà che si incontrano nel tradurre uno scrittore che si esprime nella lingua romantica e immaginifica per eccellenza, in una lingua più analitica e semanticamente rigida come l’inglese…
Leopardi scrive con una fluidità e scorrevolezza impressionanti. Qualche volta, mentre traduci, senti veramente la sua voce. E in quel momento (quando le cose vanno bene) ogni altra considerazione viene dimenticata. C’è stata la difficoltà di dover tradurre un testo con altri sei traduttori, e la voce che sentivo io non era necessariamente uguale a quella che sentivano i miei colleghi. Abbiamo lavorato in diversi paesi fra le due sponde dell’Atlantico e, quindi, le occasioni di trovarci tutti insieme sono state pochissime.
Ma siamo riusciti a costruire un approccio unitario e a tracciare alcune linee guida da seguire con l’aiuto anche del nostro «vocabolarietto», un glossario di parole problematiche con le soluzioni che abbiamo scelto di comune accordo. A traduzione finita, abbiamo lavorato con gli editors, per rendere la traduzione stilisticamente omogenea.
Che idea si è fatto di questo grande capolavoro dell’Ottocento? Un’opera frammentaria e quindi dispersiva, come ritengono alcuni, o si possono scorgere degli elementi strutturali?
Credo che tutti traduttori preferiscano evitare domande che riguardano la qualità del testo originale, forse perché nel processo di traduzione diventiamo così intimamente coinvolti con il testo stesso che non siamo più in grado di giudicarlo. Ora che sono passati tre anni da quando ho consegnato la mia parte della traduzione, riesco a leggere il testo quasi come un lettore normale, e mi rendo conto che, sì certo, è un lavoro frammentario, è un lavoro che ti porta di qua e là, ma ha una originalità spaventosa, e man mano che leggi, trovi anche una continuità, grazie anche ai rimandi ad altre pagine che abbiamo inserito lungo tutto il testo.
In particolar modo sono rimasto colpito dal parallelismo che si scorge fra il pessimismo di Leopardi e la concezione buddista secondo cui la felicità è un’esperienza passeggera, per cui la sofferenza presente nel mondo va meditata ed elaborata, nel tentativo di riuscire a superarla (idea che attirò su Leopardi la critica impietosa del Nietzsche nichilista, ndr).
Lei ha tradotto Eco, Calasso. Adesso Leopardi, che per molti versi è un maestro assoluto della cultura letteraria e filosofica italiana. Cosa possiamo dire riguardo un’eventuale attualità del pensiero di questo «mostro sacro»?
Voglio rispondere con tre brevissime citazioni dello Zibaldone. Per esempio: «L’abuso e la disubbidienza alla legge, non può essere impedita da nessuna legge» (31 agosto 1820). Oppure: «L’uomo era più felice prima che dopo il Cristianesimo» (18 dicembre 1820). O ancora: «Non v’è quasi altra verità assoluta se non che Tutto è relativo. Questa dev’esser la base di tutta la metafisica» (22 dicembre 1820). L’idea che mi sono fatto è che questo ragazzo ventiduenne recanatese aveva poco a che fare con il mondo del suo tempo. Nessuna sorpresa che è stato osannato dai suoi contemporanei per la sua poesia, sublime ancora oggi, e invece bastonato per la sua prosa. Questa raccolta di appunti, nascosta in una baule per cinquant’anni dopo la sua morte, e pubblicata per la prima volta cento anni dopo la sua nascita nel 1898, non era stata pensata per la pubblicazione. Certe pagine sono, e sono sempre state, difficili da leggere. Ma sfogliandole, trovi in ogni pagina, quasi per caso, qualche piccolo o grande gioiello.
Non pochi recensori inglesi e americani, non senza un certo azzardo «postmodernista», hanno parlato dello «Zibaldone» come di un’opera talmente moderna nella sua struttura, da far pensare al primo ipertesto filosofico dell’età moderna. Quasi un blog ante litteram? Pare accettabile tale interpretazione?
Sì, proprio così. Ma non voglio creare un’idea sbagliata. La nostra traduzione rimane fedele al testo originale, con tutto ciò che comporta. Abbiamo preferito, ad esempio, non spezzare le frasi molto lunghe, utilizzando sì una prosa moderna ma evitando ogni tipo di gergo di oggi, che potrebbe sembrare goffo al lettore di domani.
Detto questo, la forma frammentaria dello Zibaldone, con il cambiamento continuo di argomenti, lo fa assomigliare a quello che oggi potrebbe essere un blog. E poi, in quasi ogni pagina, ci sono riferimenti che ti conducono verso altre pagine in modo che la lettura non avviene in maniera lineare, come per un libro, ma circolare, come quando si naviga in Rete, cliccando da pagina a pagina e seguendo l’argomento che interessa.
(“Il Manifesto”, 5 febbraio 2014)
Evgenij Solonovich – Come è letta la poesia italiana all’estero? /1
Juan Carlos Reche – Come è letta la poesia italiana all’estero /2
Federico Italiano e Michael Krüger – Come è letta la poesia italiana all’estero /3
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[Interview with Richard Dixon, one of the seven translators of Giacomo Leopardi’s Zibaldone in English. This extraordinary cultural enterprise allows his complete diary of occasional thoughts to be read in English for the first time.]
It is said that a small group of Jews arrived one day in the Marche town of Recanati and that no one could converse with them except for Giacomo Leopardi, who spoke freely and amiably with them in perfect Hebrew. It was one of six languages that the great poet could already speak fluently by the age of seventeen.
This story is enough in itself to give some idea of the extraordinary learning of this figure whose erudition is spread throughout that incredibly rich and complex work known as the Zibaldone.
We talk to Richard Dixon, English translator of Umberto Eco and Roberto Calasso, one of the seven translators in this extraordinary cultural enterprise that sees Leopardi’s Zibaldone reproduced in English in full for the first time.
The full English translation of the Zibaldone appears after more than a century of silence in the English world. What are the reasons that have led to a project of such historic significance?
4526 pages are a lot. It was an enormous task, not just for the number of pages to be translated but for the subjects it covers. Above all, for such a major undertaking, you needed the right guide. I don’t think it would have been possible to achieve such a successful publication without the vision of the editors, Michael Caesar of Birmingham University, Franco D’Intino of the Università La Sapienza in Rome and the commitment of a publishing house like Farrar Straus & Giroux in the person of Jonathan Galassi, himself the translator of Leopardi’s Canti recently published by Penguin Books.
The project began in 1998 with the foundation of the Leopardi Centre in Birmingham in collaboration with the Centro Studi Leopardiani at Recanati and then subsequently the creation of an advisory committee with numerous consultants for the vast range of subjects covered in the Zibaldone, from linguistics and philology (not just the European languages, Greek, Latin, Hebrew but also Sanskrit, Mongolian, Tibetan, Chinese) to philosophy, musicology, classical medieval and modern history, jurisprudence and science. There were seven of us translating, but the success of the venture wouldn’t have been possible without the decisive input of two distinguished editors. Rather than talking about “silence” therefore, I would say the time was ripe.
There are considerable difficulties to be faced in translating a writer who expresses himself in a language that is quintessentially romantic and highly imaginative, in a language that is more analytical and semantically rigid like English.…
Leopardi writes with remarkable fluidity and smoothness. From time to time, as you’re translating, you really can hear his voice. And in that moment (when things are going well) all other considerations are forgotten. There was the problem of having to translate a text with six other translators, and the voice I was hearing wasn’t necessarily the same as the one my colleagues were hearing. We worked in different countries on both sides of the Atlantic and therefore the opportunities to meet together were very few indeed.
But we managed to develop a unified approach and work out certain guidelines to be followed with the help of our “vocabolarietto”, a glossary of problem words with the solutions we had jointly agreed. Once the translation was finished, we worked with our editors to make the translation stylistically consistent.
What view did you come to about this nineteenth-century masterpiece? A fragmentary and therefore unsystematic work, as some would argue, or can some structural elements be seen?
I think all translators prefer to avoid questions regarding the quality of the original text, perhaps because during the translation process we become so intimately involved with the text itself that we can no longer make any proper judgment of it. Now that three years have passed since I handed over my part of the translation, I’m able to read the text almost like a normal reader, and I realize that, yes of course, it’s a fragmentary work that takes you here and there, but it has an incredible originality, and as you gradually read it, you also find a continuity, thanks to references to other pages throughout the whole text.
I was particularly struck by the parallels that can be seen between Leopardi’s pessimism and the Buddhist conception according to which happiness is a passing experience, so that the suffering in the world has to be meditated upon and elaborated in an attempt to overcome it [an idea for which Leopardi was heavily criticized by Nietzsche the nihilist, editor].
You have translated Eco, Calasso. Now Leopardi, who in many ways is the absolute master of Italian literary and philosophical culture. What can we say about the current relevance, if any, of the thoughts of this legendary figure?
I’d like to answer with three very brief quotes from the Zibaldone. For example “Abuse of and disobedience to the law cannot be prevented by any law” (31 August 1820). Or: “Man was happier before Christianity than after it” (18 December 1820). Or again: “There is almost no other absolute truth, except that All is relative. This must be the basis for all metaphysics” (22 December 1820). The idea that I have is that this twenty-two year old lad from Recanati had little to do with the world of his own time. No surprise that he was lauded by his contemporaries for his poetry, sublime still today, and yet censured for his prose. This collection of notes, hidden away in a chest for fifty years after his death, and published for the first time in 1898, a hundred years after he was born, was never intended for publication. Certain pages are, and always were, difficult to read. But leafing through them, you find on every page, almost by chance, some small or great gem.
A number of English and American reviewers, not without a certain “postmodernist” licence, have described the Zibaldone as a work so modern in its structure that it could be thought of as the first philosophical hypertext of the modern age. Almost a blog ante litteram? Does that interpretation seem acceptable?
Yes, exactly so. But I don’t want to give the wrong idea. Our translation remains faithful to the original text, with all that this means. We have preferred, for example, not to break up very long sentences, using modern prose but avoiding any type of current jargon that might seem out of place to the future reader.
Having said this, the fragmentary form of the Zibaldone, with its continual changes of subject, makes it similar to what today might be a blog. And then there are references on almost every page that lead you to other pages, in such a way that the reading doesn’t happen in a linear fashion, as in a book, but becomes circular, like when we are surfing the net, clicking from page to page and following the topic that interests us.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).