L’isola di Arturo, romanzo musicale

da | Gen 11, 2016

Nessuno ignora l’attenzione dei prosatori italiani e no dei primi secoli, per elementi ritmici come i vari tipi di cursus. Altrettanto conosciuto è il ricorso che un grande scrittore quale Boccaccio faceva nel Decameron (viene subito a mente la canzonatura di Chichibio «voi non l’avrí da me, donna Brunetta, voi non l’avrí da me» – VI,4). Si può riscontrare anche – per limitarmi ad un solo esempio – nel De principatibus, nel capitolo 25, dedicato alla Fortuna:

Et assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s’adirano, allagano e’ piani, ruinano li arberi e li edifizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quell’altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare.

In questo passo, la violenza dell’acqua che trascina tutto con sé viene resa poeticamente in una serie di endecasillabi, quinari e settenari. In quanto segue, indicheremo il tipo di verso e le sillabe accentuate (quindi i numeri 4-6-10 indicano un endecasillabo con accenti sulla quarta, sesta e – ovviamente – la decima sillaba). Il trattino verticale indica i casi di dialefe. Le parole tra parentesi quadre non sono state prese in considerazione per il computo dei versi ma sono indicate ai fini della leggibilità del testo.

Et assomiglio quella (settenario 4-6)
a uno di questi fiumi rovinosi, [che,] (endecasillabo 4-6-10)
quando s’adirano, allagano e’ piani, (endecasillabo 4-7-10)
ruinano li arberi e li edifizii, (endecasillabo 4-8-10)
lievono da questa parte terreno, (endecasillabo 5-8-10)
pongono da quell’altra: (settenario 1-6 o cursus velox)
ciascuno fugge (quinario 2-4)
loro dinanzi, (quinario 1-4)
ognuno cede | allo impeto loro (endecasillabo 4-7-10)
senza potervi in (quinario 1-4)
alcuna parte obstare. (settenario 3-6)

Lungi da me postulare un chiaro intento poetico in un passo come questo. È forse più corretto parlare di un furor poeticus che si esprime in una determinata situazione pregna di significato, magari involontariamente. Dove non è da dimenticare, però, quanto Machiavelli scrisse nella celebre lettera al Vettori sul lavoro ‘di lima’ al suo pamphlet («anchor che tutta volta io l’ingrasso et ripulisco»[1]). Un furore poetico, dunque, molto ben gestito e controllato.

Nemmeno nella letteratura contemporanea manca un importante tentativo di strutturare la prosa secondo le regole della poesia tradizionale. Si tratta del romanzo Nel regno oscuro di Giorgio Pressburger, prima parte di una «Divina Commedia del nostro tempo» (Milano, Bompiani 2008). Citiamone un brano:

Un’orchestrina mi svegliò ancora. Una dolce, dolce, dolce… orchestrina.  Bei bambini in abiti colorati si aggiravano su un palcoscenico.  Lampadine elettriche colorate  pendevano da corde tese in artia,  tra un muro e l’altro della scena. «Vede, vede: non tutto è perduto.  Il suo viaggio ci ha condotti qui. È una bella festa per bambini». (p. 81) Il brano si legge come una serie di endecasillabi:

Un’orchestrina mi svegliò ancora (4-8-10)
Una dolce, dolce, dolce… orchestrina. (3-5-10)
Bei bambini in abiti colorati (3-5-10)
si aggiravano su un palcoscenico. (3-10)
Lampadine elettriche colorate (3-5-10)
pendevano da corde tese in aria, (6-10)
tra un muro e l’altro della scena. (3-6-10)
«Vede, vede: non tutto è perduto. (3-6-10)
Il süo viaggio ci ha condotti qui. (4-8-10)
È una bella festa per bambini.» (6-10).

L’intento metrico dell’autore viene espresso in maniera assai sottile dall’uso di un doppio spazio in fine di verso. Anche se l’endecasillabo non è l’unico verso usato (vi sono anche versi d’altro genere, ad esempio di nove o tredici sillabe, esso domina la struttura ritmica del libro. Deve essere stato di grande importanza per lo scrittore italo-ungherese chiedere l’attenzione per questi versi, a tal punto che nel seguito del libro, Storia umana e inumana (2013), gli spazi bianchi tra due versi sono stati aumentati fino a circa un centrimetro. Nessuno può ignorarne più il carattere di unità metrica, che varia di lunghezza ma di cui è palese il carattere di verso.

L’isola di Arturo, romanzo musicale

In maniera non molto dissimile dai passi del De Principatibus e del Regno oscuro, ho letto non pochi brani di L’isola di Arturo, con particolare attenzione a strutture di verso (faccio riferimento all’edizione einaudiana del 1959, sempre in commercio). Ovviamente, quanto si applica al Machiavelli non si applica automaticamente ad Elsa Morante. Nelle sue poesie, ella sceglie prevalentemente strutture libere, come fanno la maggior parte dei poeti moderni. Ma non rifiuta il singolo verso più  metrico. Nella «Dedica» del romanzo, si distinguono – almeno – vari novenari e un endecasillabo.[2]

Comunque, se credo di poter raffigurare strutture proprie della metrica italiana classica, prevalentemente endecasillabi, li devo considerare come echi di una tra-dizione la quale trova risonanza in una poetessa che in un certo senso si è nutrita di letteratura del passato, tanto da aver scritto quel meraviglioso romanzo di sapore settecentesco che è Menzogna e sortilegio.

Chi legge L’isola di Arturo non può non accorgersi della rara musicalità del libro, che si esprime in serie di Leitmotive, un procedimento già usato in Menzogna e sortilegio. Quelli più invocati si riferiscono al mondo animale,[3] a quello araldico[4] o ai sogni.[5]

Sono tutti elementi di grande rilevanza, che danno al romanzo la sua atmosfera magica, antica e selvatica (queste ultime due sono parole che ricorrono più volte all’inizio del romanzo,[6] come per dettarne il tono). L’uso di questi motivi conduttori, parole ed espressioni evoca un mondo magico, in cui l’isola si fa simbolo dell’infanzia, del mito e della vita allo stato naturale. In questo contesto, strutture di verso possono accentuare eventi, effusioni e descrizioni. A parlare della poeticità del libro sono stati vari critici. Camillo Bria lo chiama «irrorato di poesia e di bellezza».[7]

Di fatti, non manca la poesia formale nel libro. Oltre alla Dedica,[8] abbiamo riferimenti in esergo a varie sezioni del libro a Umberto Saba, Sandro Penna, Lorenzo Da Ponte (due volte) e Arthur Rimbaud, quasi omonimo del giovane protegonista del romanzo.

Restano naturalmente presenti le osservazioni di Menichetti sulla metricità e sulla necessità di segmentazione, «unico tratto distintivo nei confronti dela presa che permanga invariato attraverso le diverse fasi della tradizione poetica occidentale».[9] Ma l’avvertimento di Menichetti non tiene conto di uno slancio poetico (e non tutti i prosatori l’hanno a volte sentito) che si esprime in una combinazione di ritmo e struttura che è difficile non chiamare ‘di verso’.

Analisi metriche

Dopo questi preliminari, veniamo ai versi. Ho voluto concentrarmi su nuclei di versi che si succedono. Ne ho selezionato undici. È risaputo che il classico endecasillabo presenta una struttura con gli accenti sulla quarta in combinazione con la sesta, settima o ottava sillaba, o sulla sola sesta, nonché in tutti questi casi sulla decima (4-6-10, 4-8-10, 4-7-10, 6-10).[10] Ma non si ignora che sono stati usati anche altri tipi: cosí già Dante, nel canto di Farinata e Cavalcante, usa una volta 6-9-10: «di subito drizzato gridò: come » (Inf. X, 67). Non escludo pertanto dalla mia analisi di una poetessa – meglio: poeta – del Novecento anche altre varianti. E parimenti si sa che ai sensi del conteggio sillabico si sogliono applicare sinalefe e dialefe, e all’interno di una parola sineresi e dieresi. In un caso, ho letto «sono» come «son», in un altro, «vale» come «val»; chi mi vuol accusare di aver barato qui, lo faccia pure.

Frammento 1, pp. 28-29 (se non indicato diversamente, i versi sono endecasillabi):

La mia infanzia è come un paese felice, (3-7-10)
del quale lui è l’assoluto regnante! (4-7-10)
[..]
con la sua bionda testa forestiera (4-6-10)
le labbra gonfie e gli | occhi duri (4-8-10)
senza guardare nessuno in faccia (4-7-10)
[..]
[Le sue familiarità verso i compaesani]
mi facevano spazientire spesso, (8-10)
e con fischi | imperïosi | io (8-10)
la richiamavo al rango dei Gerace. (4-6-10)
Avevo cosí, un’occasione (novenario, 5-8)
per esercitarmi nei fischi. (novenario, 5-8)
Da quando avevo cambiato i denti, (4-7-10)
ero diventato maestro in quest’arte. (5-7-10)
Mettendomi in bocca l’indice e il medio, (5-10)
sapevo trarre dei suoni marziali. (4-7-10)
[..]
mentre camminavo dietro a mio padre (5-10)
o andavo in barca con luï, cantavo e (4-7-10)
ricantavo Le donne dell’Havana, (3-6-10)
Taburin, La sierra misteriosa, (3-10)
[…]
E mi pareva d’essere un’alíce, (4-6-10)
alla presenza d’un grande delfino. (4-7-10)

Il brano da dove provengono i succitati versi – che ne contiene altri, ma resta abbastanza discontinuo nell’uso fàttone – è dedicato al rapporto con il padre Wilhelm, rapporto di venerazione iniziato con le parole «lo seguivo come un cane», rispecchiato dal comportamento dall’amata cagna Immacolatella, che invece quasi sempre precede la coppia padre-figlio, e  concluso con l’immagine del piccolo pesciolino accanto al grande delfino. Esso contiene anche elementi esotiz-zanti, nei titoli delle canzoni che riecheggiano la cultura spagnola.

Frammento 2, p. 38:

compagnïe di prodi al suo comando; (6-10)
[..]
o di banditi, oppure, | al contrario, (4-6-10)
che luï stesso era un grande Corsaro (4-7-10)

Il passo accentua il mito che per Arturo circonda il padre, immagine ideale e bionda di grandezza umana.

Frammento 3, p. 39:

Attraversavo a piedi nudi, (novenario 4-8)
quasi volando sulle punte, (novenario 4-8)
le scogliere arroventate dal sole; (3-7-10)
mi tuffavo nel mare dalle rocce (6-10)
più alte; mi davo a straordinarie (4-(8-)10)
acrobazie acquatiche, a esercizi (4-6-10)
vistosi e turbolenti, e mi mostravo (6-10)
esperto in ogni sistema di nuoto, (4-7-10)
come un campione; nuotavo sott’acqua (4-7-10)
fino a perdere il fiato, e riaffiorando [..] (4-6)

Questo quadretto descrive la vita ‘acquatica’ del giovane protagonista. Gli enjambements conferiscono velocità agli esercizi sportivi, pur non nuocendo alla coerenza poetica, che viene rinforzata non poco dalla serie di imperfetti in –avo.

Frammento 4, p. 41:

La sai, la marca di quest’orologio? (4-10)
Leggila, | è stampata sul quadrante. (6-10)
[Sul quadrante,]
a caratteri quasi impercettibili, (3-10)
c’era stampata la parola AMICUS. (4-8-10)

È un doppio distico in bilico intorno alla proposizione «sul quadrante». Le due ripetizioni (sul quadrante, è/era stampata) ci conferiscono una semplicità ed armonia graziosa. Bello è anche la dialefe dopo «leggila», che conferisce rilievo all’importanza del ruolo del lettore.

Frammento 5, p. 66:

[Mi basterebbe un’altra speranza, a me:
che il posto dell’amicizia, in questa tua casa,]
almeno, e in quest’isoletta di Procida (4-7-10)
tu lo riserbassi solo per me. (5-10)
Ma basta: questa è dunque la tua casa, (4-6-10)
[e tu]
ci tornerai sempre, ne son[o] sicuro, (5-10)
perché, a casa, sempre ci si ritorna, (3-10)
e anche per te | è un giardino fatato. (4-7-10)
[..]
Ci tornerai sempre, sí; però, aggiungo: (5-10)
non ti ci fermerai mai molto tempo. (7-10)

Il brano, come quello successivo, fanno parte del discorso che Romeo Amalfitano, solitario mago misogeno e amico-protettore di Wilhelm, rivolge a quest’ultimo lasciandogli in eredità la sua casa. Il discorso ha un tono solenne, per non dire profetico, in cui si indica la sorte di Wilhelm, di restare legato all’isola.

Frammento 6, p. 66:

c’è sempre qualcosa che gli fa | ombra (5-10)
ma in realtà è lui che si fa ombra (6-10)
da se stesso, come il ladro e il tesoro, (7-10)
che si fanno | ombra  |uno con l’altro (5-10)
E a proposito adesso voglio dirti (6-10)
il sogno che ho fatto stanotte (novenario 3-8)
Ho sognato di essere giovanotto, (3-10)
elegante, baldanzoso. Dovevo (3-7-10)
esser diventato un grande Vizir. (5-10)

 

Frammento 7, p. 67:

Dunque, pare che alle anime viventi (6-10)
possano toccare due sorti: (novenario 5-8)
c’è chi nasce | ape | e chi nasce rosa. (5-10)
[…]
La rosa l’ha in se stessa, il proprio miele: (6-10)
miele di rose, | il più adorato, (4-10)
il più prezioso! La cosa più dolce (4-10)
che innamora essa l’ha già | in se stessa (3-7-10)
non le serve cercarla altrove. (novenario 3-8)
[…]
La prima di tutte le rose è Dio (2-8-10).
[…]
Secondo me, Wilhelm mïo, sei nato (4-7-10)
col destino più dolce e col destino (6-10)
più amaro: (ternario)
“tu sei l’ape | e sei la rosa” (novenario 3-8)

A conclusione del discorso, Romeo racconta il sogno fatto quella notte: gli era sembrato di esser diventato un giovanotto orientale, forse un visiro, e di aver avuto un’idea illuminante: le anime viventi possono nascere oppure ape oppure rosa. Ovviamente, le api indicano l’elemento maschile, la rosa, più autosufficiente, quello femminile. Wilhelm, invece, sarebbe ape e rosa, come risulterà più tardi, anche dalla sua bisessualità. L’intero brano 7 non si può non leggere che come una poesia.

Infatti, vi è qui un parellelo con le poesie di Alibi: l’immagine dell’ape fra i fiori e del loro miele ricorre in Ai personaggi (del 1947) e nel Canto per il gatto Alvaro (pure del 1947), «una grande rosa doppia», invece, in Lettera (del 1946) e «Come una rosa in un giardino» in Avventura (1948). Ma è nella poesia Alibi che leggiamo «Tu sei l’ape e sei la rosa», l’identico verso che chiude il passo appena ricordato.[11]

Non è ben possibile instaurare tra le due poesie su «ape e rosa» una relazione di primogenitura: Alibi è del 1955 e uscí nel 1957 su «Tempo presente»;[12] L’isola di Arturo fu pubblicato nello stesso anno, dopo una gestazione lunghissima, quasi decennale. E osserva Cesare Garboli a proposito di Alibi: «È il registro più vicino e più sensibile alla stesura del Lisola di Arturo».[13]

Frammento 8, p. 87:

Tu, quando mi sarà venuto sonno, (6-10)
dormiraï nel letto piccolo. (novenario 3-8)
Io dormirò nel mïo letto, grande, (4-6-10)
ove ho sempre dormito, (settenario 3-6)
E Arturo dormirà nel letto suo, (6-10)

Siamo nel capitoletto dell’accoglienza della matrigna in casa. Qui, i versi sono usati prevalentemente per rinforzare il discorso diretto e il commento allo stesso. Solo di rado i versi costituiscono un brano distinto e demarcato. Anzi, spesso formano solo una piccola parte del discorso. Ai versi possono far seguito frasi più lunghe o corte.

A parlare alla nuova moglie è Wilhelm. Il passo, con valore di ordinamento, è basato su parallelismi (le forme del verbo dormire, la combinazione di «letto» con aggettivi possessivi o meno). Più sotto Arturo echeggierà: «Io dormo solo, in camera mia!» (4-7-10; p. 88).

Frammento 9, p. 114:

Non basta mica possedere un trono, (4-8-10)
le dissi, (ternario)
per meritare il titolo di re! (4-6-10)
Per esempio:| Alessandro il Macedone (3-7-10)
Lui fu un vero re! Lui, (settenario 3-6)
aggiunsi con una certa | invidia, (2-7-10)
era il primo di tutto il suo popolo (3-6-10)

Il brano si inserisce nel contesto eroico delle Vite degli eccellenti condottieri, libro modello per Arturo, che disapprova invece Amleto e Re Lear. Il paragrafo contiene non pochi versi, fra cui quello, evidenziato, «Forse ogni apascia già pronto ha il pugnal» (p. 112; corsivo e isolato nel testo).

Frammento 10, p. 122:

Tu puoi attestarlo, è vero, Arturo? (4-7-10)
In risposta, ïo, senza dir niente, (5-10)
gli sorrisi | in segno d’intesa, e anche (6-10)
(poiché tale | era l’obbligo mio) (3-7-10)
di |omertà; ma questo mio sorriso, (4-10 o, volendo, 3-10)
[pare,]
serví d’incoraggiamento | a lei (8-10)

 

Frammento 11, p. 123:

Seppure, in quella poca vita sua, (6-10)
ha combinato qualche fatto come, (4-8-10)
fosse pure, rubare, o anche fosse: (6-10)
ammazzare dei cristïani!, beh, (3-8-10, endecasillabo tronco)
non vale mica! Là non c’è infamità (3-5-10, leggendo «val»).

Malgrado l’abbondanza di materiale, la presenza delle sezioni più ricche di lirica si concentra nella prima parte del romanzo. Quella, cioè, dove sono lanciati temi più lontani nel tempo, sovente, evocanti situazioni mitiche, particolarmente intime o di rilevanza per l’atmosfera della narrazione. Verso la metà del libro, la loro presenza si è notevolmente ridotta. In altre parole, non bastano interventi di lettura metrica per inquadrare brani significativi del testo negli schemi proposti.

Resta, fra altre domande, quella in quanto la poesia che abbiamo creduto stimolante individuare nell’L’isola di Arturo, rispecchia scelte consapevoli oppure tradisce mosse al livello di subconscio. In alcuni dei predetti casi, la scelta mi pare proprio individuabile.

Un passo da compiere ai fini di un’analisi più profonda è l’esame metrico delle poesie morantiane, da Alibi al Mondo salvato dai ragazzini. Da questo emergeranno i segreti formali e i ritmi più intimi della lirica di Elsa, che a sua volta permetteranno un controllo approfondito sul corpus dei romanzi e racconti.

 


[1] Niccolò Machiavelli, Lettera a Francesco Vettori del 10-12-1513, in Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano, Felrinelli, 1961, p. 304.

[2] «Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra, | fu tutto» si legge come doppio novenario (6-8, 5-8); «ai tuoi gelosi occhi dormienti» novenario (4-8); «di quella isoletta celeste» novenario (5-8); «fuori del limbo non v’è eliso» novenario (4-8); mentre è endecasillabo «Virginea s’è rinchiusa nella notte» (6-10); ambivalenti alcuni altri versi («E tu non saprai la legge | ch’io, come tanti altri, imparo, | e a me ha spezzato il cuore»).

[3] L’amore di Morante per gli animali è un costante della sua opera. Ci limitiamo a segnalare, all’inizio del romanzo: «gabbiani e tortore selvatiche», «non chiederei d’esserer un gabbiano, né un delfino; m’accontenterei d’essere uno scorfano», «adatta per un grillo e rinchiude una tortora» (p. 12), «alleva un gufo», «Il gufo ha piume nere» (p. 13).

[4] Noto: «Re e stella del cielo», «portato pure da un re dell’antichità, comandante a una schiera di fedeli», «un valore araldico» (p. 11), «sembrano giardini imperiali» (p. 12), «antiche città feudali» (p. 14).

6. Sogni forniscono il titolo di tre capitoletti (Un sogno dell’Amalfitano, Un sogno di Arturo, Sogni contrari), ma il libro ne conta molti altri.

7. Si vedano «odore selvatico», «tortore selvatiche» (p. 12), «gatte selvatiche» (p. 14); re dell’antichità» (p. 11), «antichi creteri», «usanza antica», «case rustiche, e antiche di secoli» (p. 12),  «nella chiesa del porto, la più antica dell’isola» (p. 13), «antiche città feudali» (p. 14).

[7] Camillo Bria, Elsa Morante, Roma, Ciranna, 1976, p. 72.

[8] A se stessa, come evinco da quanto scrive Claudia Consoli, osservando che Remo Natales è anagramma del nome della scrittrice, cfr.: www.criticaletteraria.org/2009/10/l-isola-di-arturo.html [24.9.2012]. D’altronde, il nome «Remo Natales» – nella versione pubblicata del romanzo si legge solo: «A Remo N.» ricorrerebbe fra gli appunti autografi di un ms. della Morante, cfr.: http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20100929062802AAICPv9 [24.9.2012].

[9] Aldo Menichetti, Problemi della metrica, in Letteratura italiana. Le forme del testo. 1. Teoria e poesia, a cura di A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1984, p. 351.

[10] Cfr. Theodor Elwert, Italienische Metrik, München, Hüber, 1968.

[11] Elsa Morante, “Alibi”, in Opere I,  Milano, Mondadori, “I Meridiani”, 1988, p. 1392.

[12] Cesare Garboli, Corpo e finzione. Le poesie di «Alibi», in Per Elsa Morante, Milano, Linea d’Ombra 1993, p. 102.

[13] Ivi, p. 101.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).