Le parole, in cammino

da | Set 24, 2024

In anteprima dal nuovo libro di Antonio Prete, “Convito delle stagioni”, appena uscito per Einaudi, pubblichiamo cinque poesie.

 

LE PAROLE, IN CAMMINO

(“Y tienes las palabras su verano, / su invierno…”, Ida Vitale)

Le parole camminano con noi.
Hanno nel suono il segno degli inverni.
Ogni autunno continua a dispogliarle
della gloria.
Ma c’è nel loro passo
la letizia della meta: un giardino
dove sempre risplende primavera.

Il senso, in quel giardino, è un fiore, il suono
è il suo profumo, la sua propria luce.
Lo stormire è il pensiero delle foglie.
Attendono, le parole, in silenzio,
che appaia, prossima, la terra dove
la lingua è vento, fiume, albero, stella.
Vi abita, dicono, la poesia.

 

TEOTIHUACÀN, MATTINO

Il cielo era negli occhi, nelle mani, era
nei pensieri, salivo sulla Piramide
della Luna, i gradini erano di ruvida
ossidiana, voltandomi ho visto
che venivano, dietro di me, in forma
di figure, le stagioni della mia vita,
ciascuna con i suoi vestiti, i suoi colori,
distinguevo i jeans dall’abito di lino,
l’impermeabile chiaro dal foulard di seta,
nessun rumore giungeva, solo un brusio
che non era parola né preghiera,
le aspetterò lassú, mi dicevo, le stagioni
della vita, mi verranno tutte intorno
con i giorni felici e i giorni tristi,
ma sapevo anche che erano tutte sagome
vuote in costumi di scena, e sentivo
che il mio salire aveva solo uno scopo,
dall’alto della Piramide poter vedere
che la strada dei Morti e quella dei Vivi
erano un’unica strada, e che ogni cosa,
il vivere e il morire, non era che cielo,
un cielo senza confini, come il cielo
che quel mattino a Teotihuacán era
negli occhi, nelle mani, nei pensieri.

 

NOMINAZIONE (Genesi, 2,20-21)

Dare il nome agli animali è finzione
di domestica prossimità, rito
che sigilla un’appartenenza.
Lingua
imposta a chi della lingua fa a meno
perché è libero corpo in armonia.
Del resto, per il gatto il proprio nome
non è piú attraente del gomitolo
che si srotola sopra il pavimento.
Per un cane il suo nome è meno forte
del grido che la marmotta rinvia
dalla roccia.
Popolata è la terra
d’animali che non hanno altro nome
che quello della propria specie. Cura
solerte, questa, di naturalisti.
Una rondine vola senza un nome,
la formica, la lucertola, l’ape
nascondono la loro anonimia
sotto il mantello della specie.
Eppure,
dopo tante stagioni, basta il nome
perché sorga la fulva bizzarria
del gatto Rouge, o la sapienza vigile
di Luna, lupa che mi fu compagna
di silenziose intese e di cammini.

 

SCHIUMA DI LUCE

Il sole era alto. Le mani delle palme
accarezzavano un cielo stordito
dalla sua azzurrità.
Lungo la strada,
dalle rive di Campeche biancheggiarono
le dune. Presso il Morro das Pedras
fermammo l’auto.
Appoggiati al guard rail
guardavamo il grigioblu del mare.
E si levò, improvvisa, un’ala chiara
sopra le acque, riaffondò subito,
ombra fluttuante, ridivenne ancora
soffio di schiuma nella luce,
si nascose, poi risalí, nube d’onda
nel fulgore meridiano, stendardo
affiorante da sommerse battaglie,
tornò sagoma scura sotto un velo,
disparve infine nella profonda
oscurità,
tra mondi che hanno stelle
cadute, e popoli d’ombre guizzanti.
Nell’inatteso balzo del cetaceo
l’essenza luminosa dell’apparire.

 

ALFABETO, AL RISVEGLIO

Le lettere, all’alba, sbadigliano in coro,
guardano dalla finestra la danza
delle foglie ottobrine e il volo
degli uccelli tra gli alberi.

Le vocali scendono in giardino,
si riempiono d’aria i polmoni.
Fanno qualche esercizio
per illimpidire i suoni.

Il senso è lontano, si dice si sia perso
viaggiando per il mondo:
non c’è dove, non c’è quando.

La parola è contenta che il giorno
cominci cosí, privo di pensieri,
con il suono del vento nelle lettere,
e la trasparenza dell’aria tutt’intorno.