Dal Meridiano Opere poetiche di Percy Bysshe Shelley, a cura di Francesco Rognoni, uscito per Mondadori (2018) pubblichiamo una selezione di poesie.
«I miei pensieri in solitudine sorgono e svaniscono»
I miei pensieri in solitudine sorgono e svaniscono,
li discioglie il verso che vorrebbe rivestirli
come la luce della luna nel cielo del giorno che s’espande:
com’eran belli – come stavano decisi,
come un tessuto di perle screziando lo stellato cielo!
“My thoughts arise and fade in solitude”
My thoughts arise and fade in solitude –
The verse that would invest them melts away
Like moonlight in the heaven of spreading day –
How beautiful they were – how firm they stood
Freckling the starry sky like woven pearl! –
*
«Aquila possente! tu che ti levi»
Aquila possente! tu che ti levi
sopra la brumosa foresta alpina
e nelle ombre del mattino
come nube di gloria stai,
e quando notte discende, il monito
della furibonda tempesta disfidi:
Aquila possente! tu che dimori
fra i precipizi
e le
“Mighty Eagle, thou that soarest”
Mighty Eagle, thou that soarest
O’er the misty mountain forest
And amid the shades of morning
Like a cloud of glory liest,
And when night descends, the warning
Of the embattled storm defiest:
Mighty Eagle, thou whose dwelling
Is among the precipices
And the
*
OZYMANDIAS
Un viandante incontrai da una terra antica,
che disse – «Due immense gambe di pietra, senza tronco,
s’ergon nel deserto… vicino, sulla sabbia,
mezzo sprofondato un frantumato volto giace, il cui cipiglio,
e labbro corrucciato, e ghigno freddamente imperioso,
dicon che il suo scultore lesse bene le passioni
che sopravvivono ancora, sigillate su quelle forme senza vita,
a la mano che le ritrasse e al cuor che le nutriva;
e sul piedestallo queste parole appaiono:
Il mio nome è Ozymandias, Re dei Re,
guardate le mie Opere, voi Potenti, e disperate!
Nient’altro resta. Attorno al disfacimento
del colossale Rudere, sconfinate e nude
le solitarie e piane sabbie si stendono lontano». –
OZYMANDIAS
I met a traveller from an antique land,
Who said – “Two vast and trunkless legs of stone
Stand in the desart… near them, on the sand,
Half sunk a shattered visage lies, whose frown,
And wrinkled lip, and sneer of cold command,
Tell that its sculptor well those passions read
Which yet survive, stamped on these lifeless things,
The hand that mocked them, and the heart that fed;
And on the pedestal these words appear:
My name is Ozymandias, King of Kings,
Look on my Works ye Mighty, and despair!
Nothing beside remains. Round the decay
Of that colossal Wreck, boundless and bare
The lone and level sands stretch far away”. –
*
AL NILO
Mese dopo mese le raccolte piogge discendono
bagnando quelle segrete etiopiche valli,
e dalle vette cinte di ghiaccio del deserto
ove Caldo e Gelo s’uniscono in arcani abbracci
sull’Atlante, campi d’umida neve in parte dipendono.
Cinta là di bufere e di meteore abita la Tempesta
del Nilo presso l’aerea urna, e a tratti con impeto
urge quell’acque alla loro possente meta.
Sull’Egitto, terra del Ricordo, le piene
uniformi si espandono e son tue, o Nilo – e ben tu sai
che vivificanti arie e micidiali uragani
e veleni e frutti nascon dovunque tu scorri.
Uomo, attento! – ché a te sempre appartiene,
come la gran piena all’Egitto, la conoscenza. –
TO THE NILE
Month after month the gathered rains descend
Drenching yon secret Ethiopian dells,
And from the desart’s ice-girt pinnacles
Where Frost and Heat in strange embraces blend
On Atlas, fields of moist snow half depend.
Girt there with blasts and meteors Tempest dwells
By Nile’s aërial urn, with rapid spells
Urging those waters to their mighty end.
O’er Egypt’s land of Memory floods are level,
And they are thine, O Nile – and well thou knowest
That soul-sustaining airs and blasts of evil
And fruits and poisons spring where’er thou flowest.
Beware, O Man – for knowledge must to thee
Like the great flood to Egypt, ever be. –
*
«Ascolta, ascolta, mia Mary»
Ascolta, ascolta, mia Mary,
il murmure dell’Appennino,
sul tetto irrompe come il ruggito del tuono
o come il mare su una spiaggia nordica,
udito nella furia delle onde
dai prigionieri chiusi nella caverna sotto,
e sale per le loro scale con lungo acuto farneticante ululato.
L’Appennino, alla luce del giorno,
è una montagna immane, cupa e grigia,
che si distende fra la terra e il cielo;
ma quando annotta, un caos orrendo
sopra la fioca luce delle stelle allora si diffonde,
e l’Appennino avanza insieme alla tempesta,
ammantando
«O Mary cara, se tu fossi qui»
O Mary cara, se tu fossi qui,
coi tuoi occhi castani luminosi e chiari,
e la tua dolce voce, come un uccello
che canta amore al suo compagno solitario
sconsolato nel pergolato d’edera –
la più dolce voce udita mai,
e la tua fronte più [ ]
che il non ingannevole cielo
di quest’azzurra Italia.
Mary cara, vieni da me presto,
io non sto bene quando sei lontana:
come il tramonto per la sferica luna,
come il crepuscolo per la stella esperia
tu, amata, sei per me.
O Mary cara, se tu fossi qui;
dal Castello sussurra l’eco «qui».
«Sono ebbro del vino di miele»
Sono ebbro del vino di miele
della rosa moschata, dischiusa dalla luna,
che le fate raccolgono in coppe di giacinto.
I pipistrelli, i ghiri e le talpe
dormono nelle mura o sotto le zolle erbose
del desolato cortile del castello,
e quando è versato sulla terra estiva
o i suoi fumi salgon tra la rugiada,
fan sogni allegri, pieni di letizia,
e farfugliano nel sonno la gioia loro – ché poche
delle fate reggon quelle coppe di vino così nuovo
che
“Listen, listen, Mary mine”
Listen, listen, Mary mine –
To the whisper of the Apennine –
It bursts on the roof like the thunder’s roar
Or like the sea on a northern shore,
Heard in its raging ebb and flow
By the captives pent in the cave below,
And raves up their stairs with a long shrill howl.
The Apennine in the light of day
Is a mighty mountain dim and grey
Which between the earth and sky doth lay;
But when night comes, a chaos dread
On the dim starlight then is spread
And the Apennine walks abroad with the storm
Shrouding
“O Mary dear, that you were here”
O Mary dear, that you were here,
With your brown eyes bright and clear,
And your sweet voice, like a bird
Singing love to its lone mate
In the ivy bower disconsolate –
Voice the sweetest ever heard,
And your brow more [ ]
Than the undeceiving sky
Of this azure Italy.
Mary dear, come to me soon,
I am not well whilst thou art far:
As sunset to the spherèd moon,
As twilight to the western star
Thou, beloved, art to me.
O Mary dear, that you were here;
The Castle’s echo whispers “here”.
“I am drunk with the honey-wine”
I am drunk with the honey-wine
Of the moon-unfolded eglantine
Which fairies catch in hyacinth bowls –
The bats, the dormice and the moles
Sleep in the walls, or under the sward
Of the desolate castle yard,
And when ’tis spilt on the summer earth
Or its fumes arise among the dew
Their jocund dreams are full of mirth
And they gibber their joy in sleep, for few
Of the fairies bear those bowls so new
That
*
«E chi sente ora discordia o dolore?»
E chi sente ora discordia o dolore?
L’amore è oggi l’universo;
quelli gli schiavi d’un fosco domani
che sulla labirintica strada della vita
invita, tradito e per tradire.
“And who feels discord now or sorrow?”
And who feels discord now or sorrow?
Love is the universe today;
They are the slaves of dim tomorrow
Which on life’s labyrinthine way
Beckons, betrayed and to betray.
*
«Non svegliare, no, il serpente – potrebbe»
Non svegliare, no, il serpente – potrebbe
non sapere da che parte andare;
lascia che s’insinui, ancora addormentato,
attraverso l’erba folta del prato!
Non un’ape l’oda strisciare,
non un lombrico veda la sua ombra,
non un’efemera si svegli, scossa
nella campanula che la culla
alla luce delle stelle, mentre sguscia
fra l’erba scivolando silenzioso
“Wake the serpent not – lest he”
Wake the serpent not – lest he
Should not know which way to go;
Let him crawl while yet he’s sleeping
Through the deep grass of the meadow
Not a bee shall hear him creeping
Not a worm shall see his shadow
Not a may fly shall awaken
From its cradling bluebell shaken
In the starlight as he’s sliding
Through the grass with silent gliding
*
«Se quando l’estasi della passione è spenta»
Se quando l’estasi della passione è spenta,
tenerezza e verità potessero durare
o vivere – tutti i selvaggi sentimenti stretti
in un mortale assopimento, oscuro e fondo –
io non piangerei, non piangerei!
Sarebbe abbastanza sentire, vedere
i tuoi dolci occhi che mi guardano teneramente,
e sognare il resto – e bruciare ed essere
il segreto alimento di fuochi invisibili,
se solo tu potessi esser com’eri.
Dopo il sonno dell’anno le viole
riappaiono nei boschi; nei campi e le foreste
e in cielo e in mare tutto torna a vivere,
tranne due sole cose, che muovono
e danno forma a tutte le altre – la vita e l’amore.
“When passion’s trance is overpast”
When passion’s trance is overpast,
If tenderness and truth could last
Or live, whilst all wild feelings keep
Some mortal slumber, dark and deep,
I should not weep, I should not weep!
It were enough to feel, to see
Thy soft eyes gazing tenderly,
And dream the rest – and burn and be
The secret food of fires unseen,
Could thou but be what thou hast been.
After the slumber of the year
The woodland violets reappear;
All things revive in field or grove
And sky and sea, but two, which move
And form all others – life and love.
*
LA DOMANDA
Sognai che, mentre andavo per la via,
d’un tratto il nudo inverno si volse in primavera,
e gentili aromi sviarono i miei passi,
misti a un suono d’acque mormoranti,
lungo una degradante sponda erbosa, che, adagiata
sotto un boschetto, quasi non osava gettar
le sue verdi braccia attorno al grembo del ruscello,
ma lo baciava e via fuggiva, come in sogno.
Anemoni screziati vi crescevano e violette,
e margherite, quegl’imperlati Arcturi della terra,
i costellati fiori che mai non tramontano;
flebili primule; tenere campanule, al cui spuntar la zolla
si sollevava appena; e quell’alto fiore che bagna –
come un bambino, fra tenerezza e gioia –
il viso di sua madre con tutte le lacrime del Cielo,
quand’ode il vento, sommessa voce del suo compagno di giochi.
E nella calda siepe cresceva rigogliosa la rosa moschata,
verdi bryonie e biancospini del color del chiar di luna,
e fiori di ciliegio, e bianchi calici, il cui vino
era rugiada luccicante, dal giorno ancor non asciugata;
e rose selvatiche e serpeggiante edera,
con le sue scure gemme e foglie, errabonda.
E fiori azzurri, neri, striati d’oro,
leggiadri più che occhio desto abbia mai visto.
E più vicino al tremolante bordo del ruscello
crescevan larghe iris viola, spruzzate di bianco,
e stellate gemme di fiume fra le carici,
e ninfee galleggianti, larghe e luminose,
che accendevano la quercia sovrastante la siepe
coi raggi lunari della loro stessa equorea luce;
e canne e giunchi d’un verde così intenso
che con sobria lucentezza mitigava il barbaglio.
Di questi fiori visti in sogno, mi sembrava,
feci un bouquet, legandolo in tal modo
che questi figli imprigionati delle Ore
la stessa varietà di tinte che nei loro ombracoli naturali
eran commiste o opposte mantenessero
nella mia mano – e poi, allegro e gaio,
m’affrettai a tornar da dove ero venuto,
per presentarlo in dono… oh! a chi?
THE QUESTION
I dreamed that as I wandered by the way
Bare winter suddenly was changed to spring,
And gentle odours led my steps astray,
Mixed with a sound of waters murmuring,
Along a shelving bank of turf, which lay
Under a copse, and hardly dared to fling
Its green arms round the bosom of the stream,
But kissed it and then fled – as thou mightest in dream.
There grew pied wind-flowers and violets,
Daisies, those pearled Arcturi of the earth,
The constellated flower that never sets;
Faint oxlips; tender bluebells at whose birth
The sod scarce heaved; and that tall flower that wets
(Like a child, half in tenderness and mirth)
Its mother’s face with Heaven’s collected tears,
When the low wind, its playmate’s voice, it hears.
And in the warm hedge grew lush eglantine,
Green cowbind and the moonlight-coloured May
And cherry-blossoms, and white cups, whose wine
Was the bright dew yet drained not by the day;
And wild roses, and ivy serpentine,
With its dark buds and leaves, wandering astray:
And flowers azure, black and streaked with gold,
Fairer than any wakened eyes behold.
And nearer to the river’s trembling edge
There grew broad flag-flowers, purple pranked with white,
And starry river-buds among the sedge,
And floating water-lilies broad and bright
Which lit the oak that overhung the hedge
With moonlight beams of their own watery light;
And bulrushes and reeds, of such deep green
As soothed the dazzled eye with sober sheen.
Methought that of these visionary flowers
I made a nosegay, bound in such a way
That the same hues which in their natural bowers
Were mingled or opposed, the like array
Kept these imprisoned children of the Hours
Within my hand… and then, elate and gay
I hastened to the spot whence I had come,
That I might there present it — O, to whom?
*
A SIDMOUTH E CASTLEREAGH
Come dalla loro avita quercia
due famelici corvi dan fiato alla squilla,
stridendo e gracidando, stridendo e gracidando,
quando fiutano una fresca
carcassa umana che esala al sole;
come due barbuglianti gufi svolazzano
dalla lor siepe di tasso letale
attraverso la notte a terrorizzarla –
quando convulsa è la luna e le stelle
o non ci sono o son rare;
come uno squalo e un pescecane attendono
sotto un isolotto atlantico
la nave il cui carico di Negri
è il tema del loro dibattito,
corrugando le rosse branchie nel frattempo;
così voi – due avvoltoi smaniosi di battaglia,
due scorpioni sotto un unico sasso bagnato,
due lupi emaciati, che raschian le secche gole,
due cornacchie appollaiate su una vacca appestata,
due vipere in una sola attorte.
A —
Freddi i corpi nella tomba;
mute le pietre sul selciato;
gli aborti sono rigidi nel grembo,
pallide le loro madri – come le cadaveriche coste
di Albione, non più libera.
I suoi figli son pietre nella strada,
masse d’argille inanimate,
son calpestati e non si muovono –
l’aborto da lei partorito fra le doglie
è Libertà, colpita a morte.
Allora pesta e danza, tu Oppressore!
ché la tua Vittima nulla ti chiede;
tu sei il solo padrone e signore
dei suoi cadaveri, zolle ed aborti, che lastricano
il tuo cammino alla tomba.
Non senti la gazzarra
di Morte, Distruzione, Peccato
e Ricchezza, che da dentro disastro! gridano?
È il baccanale di trionfo, che tacita il vero,
il tuo Epitalamio.
Sì, sposa la tua orrenda moglie!
Che Paura, Inquietudine e Contesa
stendano il tuo giaciglio nella stanza della Vita!
Sposa Rovina, tu Tiranno! e Inferno sia tua guida
al letto della sposa!
TO SIDMOUTH AND CASTLEREAGH
As from their ancestral oak
Two empty ravens wind their clarion,
Yell by yell, and croak by croak,
When they scent the noonday smoke
Of fresh human carrion:—
As two gibbering night-birds flit
From their bower of deadly yew
Through the night to frighten it –
When the moon is in a fit,
And the stars are none or few:—
As a shark and dogfish wait
Under an Atlantic isle
For the Negro ship whose freight
Is the theme of their debate,
Wrinkling their red gills the while: –
Are ye – two vultures sick for battle,
Two scorpions under one wet stone,
Two bloodless wolves whose dry throats rattle,
Two crows perched on the murrained cattle,
Two vipers tangled into one.
TO —
Corpses are cold in the tomb –
Stones on the pavement are dumb –
Abortions are dead in the womb
And their mothers look pale, like the death-white shore
Of Albion, free no more.
Her sons are as stones in the way—
They are masses of senseless clay—
They are trodden and move not away—
The abortion with which she travaileth
Is Liberty, smitten to death.
Then trample and dance, thou Oppressor!
For thy Victim is no redressor;
Thou art sole lord and possessor
Of her corpses and clods and abortions—they pave
Thy path to the grave.
Hearest thou the festival din
Of Death and Destruction and Sin,
And Wealth crying havoc! within?
’Tis the Bacchanal triumph that makes truth dumb –
Thine Epithalamium –
Aye, marry thy ghastly wife!
Let Fear and Disquiet and Strife
Spread thy couch in the chamber of Life:
Marry Ruin, thou Tyrant, and Hell be thy guide
To the bed of the bride.
*
«Il fiore che sorride oggi»
Il fiore che sorride oggi
domani muore;
tutto ciò che vorremmo restasse
ci tenta e vola via;
cos’è il diletto a questo mondo?
Un lampo, che irride la notte,
breve quanto è bello.
La virtù, com’è fragile!
L’amicizia, com’è rara!
L’amore, che misero piacere vende
per orgogliosa disperazione!
Ma, per quanto subito decadano, questi
sopravvivono alla loro gioia, e a tutto ciò
che noi chiamiamo nostro.
Finché i cieli sono azzurri e splendono,
e i fiori sono gai,
e finché gli occhi che prima di sera mutano
rallegrano il giorno;
finché le calme ore ancora strisciano,
tu sogna – e dal tuo sonno
svegliati poi per piangere.
“The flower that smiles today”
The flower that smiles today
Tomorrow dies;
All that we wish to stay
Tempts and then flies;
What is this world’s delight?
Lightning, that mocks the night,
Brief even as bright. –
Virtue, how frail it is! –
Friendship, how rare! –
Love, how it sells poor bliss
For proud despair!
But these though soon they fall,
Survive their joy, and all
Which ours we call. –
Whilst skies are blue and bright,
Whilst flowers are gay,
Whilst eyes that change ere night
Make glad the day;
Whilst yet the calm hours creep,
Dream thou—and from thy sleep
Then wake to weep.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).