Traduzione inedita di Lucia Cupertino.
***
Gregge mistico (da Le reliquie, Alción, Córdoba, 2013)
I
Innalzo la memoria,
……………..la alzo come un muro.
(Domenico)
Cammino sulla neve come un cieco,
un mollusco che emerge dall’acqua nella luce bianca:
deambulo lungo la via che seguono l’Isonzo,
il Piave, il Tagliamento
(son ora questi i miei fiumi?),
sentieri che costeggiano
tranquilli la corrente, si addentrano
tra macchie di case che quasi potrebbero
di getto sonnecchiare in un sobborgo calmo:
in silenzio, in spenti isolati dove nascono
cortili con basilico, vasi di cemento
con prato mitigato, menta
che cresce nelle fessure dei tetti.
erba che s’addormenta con luce nelle terrazze;
viti i cui acini s’inteneriscono,
si fanno bruni, neri, con il calore di marzo.
*
Lì dove c’è un ponticello o una fila di pietre per facilitare l’attraversamento, è opera dei vicini.
R. Walsh, Operazione massacro.
(Vittorio)
Non è l’Isonzo, no, quello che guardi,
è solo un ruscello dove versano
le fabbriche i loro liquidi,
……………………….detrito,
acqua moribonda su cui passa
un ponte di ferro
che nel pomeriggio attraversano le pecore della Gránix,
il gregge immerso nel suo silenzio luterano:
è acqua che cola nei canali
in un quartiere umano di stranieri,
con i suoi russi, galleghi, italiani,
le sue piccole venezie o salonicche:
popoli portati via come carcasse
dal Paranà o dal Plata, con la loro austera
asprezza, le loro cadenze di terre placide
romaniche, di una pianura mistica e slava;
le loro carbonaie,
il loro legno nelle cappelle pallottine
di apostoli lustrati con mani artigiane:
dispersi oratori di periferia dove Cristo
si contorce di notte come un verme.
*
(Preghiera)
Poi s`ascose nel fuoco che li affina.
Dante, Purgatorio, 148.
Ah, prendimi, Padre,
bevimi fino in fondo, rapido:
sento dissanguarmi tra gli ulivi,
che sto scrivendo senza saperlo una poesia col mio sangue,
con l’acqua di vita che si fa strada nelle mie vene.
Ignoro da dove sgorghi la mia acqua.
Rubrico con una sola lettera questa, morte mia,
che non giunge, che sfuma
come, quando all’imbrunire, si fanno impalpabili i tordi.
Sono un corpo esiliato che si purga,
che va raffinandosi nel mezzo d’una fiamma.
***
Da La pura luce (Cabiria, Buenos Aires, 2015, in stampa)
Ed era pura luce
(Pasolini)
Potrebbero estrarmi la testa
se volessero:
potrebbero cavarla dal tronco, curarla
con un liquido, molto piano.
Pulirla con pazienza, come
ci si occupa di un osso amato,
o si tratta adagio una reliquia:
potrebbero elevarla dal tronco; depurarla
come una pianta dai parassiti, dall’erbaccia,
proteggerla
in un vasetto, come
si mettono da parte in conserva
i feti dei maiali a scuola.
*
Sono di cellofan, sono trasparente,
non ho unghie, non ho
capelli, non ho pelle,
non ho
nulla che mi identifichi.
Non lascio traccia.
*
Voglio sostenere la mano di mia madre,
voglio sfiorarla.
Resta bagnata nella luce di un giorno terso,
un giorno allucinato di provincia.
*
Non è il mio cervello: è un piano
di elettrodi in cui la notte
balla con le stelle,
è una cometa;
Non è un cervello:
è uno straccio attorcigliato,
un insetto schiacciato.
È la tela di un ragno
in rilievo sulla copertina di un quaderno.
*
Non è il mio cervello: è una tela bianca,
un formaggio con i vermi;
non la posso togliere senza strappare
allo stesso tempo
nere manciate di capelli arricciati
pezzetti di capello.
Ho
otto anni. Sono seduto da solo
in una sala bianca
di un qualche ospedale di provincia.
Il giorno è una crosta bianca,
Un chiaro cerchio appeso alle magnolie.
*
Dal vagone vedo come sfilano
le cose lungo il bordo;
forse saranno esse, o le loro immagini.
Non le posso toccare, posso appena
vederle: il prato giallognolo,
le famiglie di cani,
la palla che scalciano le creature,
l’acqua abbandonata, l’albero
piegato, che non so distinguere
con un nome
-(un limone?
Un albero di arance?
Una pianta di lima?)
un tronco
vinto dal peso
dei suoi frutti o della pioggia-
un pullman bruciato,
una chiesa protestante, le prime
mucche della pianura,
-silenziose e quiete, sagge mucche-,
una carretta con il suo carico tirato da cavalli
tra i morti borri.
*
Mi vesto tutta di nero,
sono la pazza croata;
mi muovo come uno zombi nel quartiere.
Posso pregare per ore,
sgranare il rosario in croato,
in greco, in italiano.
Prego davanti ad un Cristo
intagliato con coltelli nel legno:
il mio Cristo rotto coperto da uno straccio.
*
Per ogni nome
mi metto a raccogliere per strada alcune pietre.
I miei nomi croati,
con le loro facce lunari di croati,
con la loro pelle bianchiccia di croati,
I miei croati, come in un’ampia pustola bianca.
I miei morti,
come un’estesa assonanza,
Secchi come la terra, duri come una foglia
in una tela di Kiefer.
***
Rebaño místico (de Las reliquias, Alción, Córboda, 2013)
I
Levanto la memoria,
……………la alzo como un muro.
(Doménico)
Camino por la nieve como un ciego,
un molusco que se asoma del agua en la luz blanca:
deambulo por los caminos que siguen el Isonzo,
el Piave, el Tagliamento
(¿son ahora éstos mis ríos?),
senderos que bordean
tranquilos la corriente, se internan
entre manchas de casas que podrían
dormitar ahora mismo en un suburbio quieto:
en silencio, en apagadas manzanas donde nacen
patios con albahaca, macetas de cemento
con pasto mitigado, menta
que crece en las hendiduras de los techos,
hierba que se duerme con luz en las terrazas;
parras donde las uvas se enternecen,
se hacen moradas, negras, con el calor de marzo.
*
Donde hay un puentecito o una hilera de piedras para facilitar el cruce, es obra de los vecinos.
R. Walsh, Operación masacre.
(Vittorio)
No es el Isonzo, no, eso que guardi,
Es sólo un arroyo donde vierten
las fábricas su líquido,
……………………detrito,
agua moribunda por sobre la que pasa
un puente de fierro
que por la tarde cruzan las ovejas de la Gránix,
el rebaño sumergido en su silencio luterano:
es agua que se escurre en los canales
en un humano barrio de extranjeros,
con sus rusos, gallegos, italianos,
sus pequeñas venecias o salónicas:
poblaciones traídas en carcasas
por el Paraná o el Plata, con su austera
aspereza, sus hablas de una plácida tierra
románica, de una llanura mística y eslava;
sus carbonerías,
su madera en capillas palotinas
de apóstoles lustrosos con manos carpinteras:
dispersos oratorios de suburbio donde Cristo
se retuerce en la noche como un verme.
*
(Plegaria)
Poi s`ascose nel fuoco che li affina.
Dante, Purgatorio, 148.
Ah, tómame, Padre,
bébeme hasta el fondo, rápido:
siento que me desangro en los olivos,
que escribo sin saberlo un poema con mi sangre,
con el agua de vida que se abre paso por mis venas.
Ignoro desde dónde brota mi agua.
Rubrico con una sola letra esta, mi muerte,
que no llega, que se esfuma
como, cuando atardece, se vuelven impalpables los zorzales.
Soy un cuerpo exiliado que se purga,
que se afina dentro de una llama.
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De La pura luz (Cabiria, Buenos Aires, 2015, en prensa)
Ed era pura luce
(Pasolini)
Podrían extraerme la cabeza
si quisieran:
podrían sacarla de su tronco, curarla
con un líquido, muy lento.
Limpiarla con paciencia, como
se cuida un hueso amado,
o se trata lentamente una reliquia:
Podrían elevarla del tronco; depurarla
como a una planta de los parásitos, de la maleza,
protegerla
en un frasco, como
se guardan en conserva
los fetos de los puercos en la escuela.
*
Yo soy de celofán, soy transparente,
no tengo uñas, no tengo
pelo, no tengo piel,
no tengo
nada que me identifique.
No dejo huella.
*
Quiero sostener la mano de mi madre,
quiero rozarla.
Está bañada en la luz de un día muy claro,
un día alucinado de provincia.
*
No es mi cerebro: es un plano
de electrodos donde la noche
baila con estrellas,
es un cometa;
No es un cerebro:
es un trapo retorcido,
un insecto aplastado.
Es la tela de una araña
en relieve en la tapa de un cuaderno.
*
No es mi cerebro: es una tela blanca,
un queso con gusanos;
no la puedo quitar sin arrancarme
al mismo tiempo
puñados negros de pelo ensortijado,
pedazos de cabello.
Tengo
ocho años. Estoy sentado solo
en una sala blanca
en algún hospital de la provincia.
El día es una costra blanca,
Un círculo claro que se cuelga a las magnolias.
*
Desde el vagón veo cómo pasan
las cosas por el borde;
acaso no sean ellas, o sean sus imágenes.
No las puedo tocar, apenas puedo
verlas: el pasto amarillento,
las familias de perros,
la pelota que patean las criaturas,
el agua abandonada, el árbol
doblado, que no sé distinguir
con un nombre
-(¿un limonero?
¿un árbol de naranjas?
¿una planta de limas?)
un tronco
vencido por el peso
de su fruta o la lluvia-
un ómnibus quemado,
una iglesia evangélica, las primeras
vacas de la llanura,
-silenciosas y quietas, vacas sabias-,
un carro con su carga tirado por caballos
entre las zanjas muertas.
*
Me visto toda de negro,
soy la loca croata;
me muevo como un zombi por el barrio.
Puedo rezar por horas,
desgranar el rosario en croata,
en griego, en italiano.
Rezo ante un Cristo
tallado con cuchillos en madera:
mi Cristo roto cubierto con un trapo.
*
Por cada nombre
voy juntando en la calle alguna piedra.
Mis nombres croatas,
con sus caras lunares de croatas,
con sus pieles blancuzcas de croatas,
Mis croatas, como en una larga pústula blanca.
Mis muertos,
como una extensa asonancia,
Secos como lo tierra, duros como una hoja
en una tela de Kiefer.
Immagine: Anselm Kiefer, Everyone Stands Under His Own Dome of Heaven (Jeder Mensch steht unter seiner Himmelskugel), 1970.
Hugo Mujica, Cuando todo calla – Poeti argentini contemporanei /1
Mercedes Roffé, L’algebra oscura – Poeti argentini contemporanei /2
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).