Sulla poesia spagnola contemporanea. Intervista a Miguel Casado

da | Dic 11, 2018

A cura di Leonardo Vilei.

 

Se dovessi scegliere un momento da cui partire per parlare della poesia spagnola degli ultimi anni, pur trattandosi sempre di una scelta arbitraria, da dove cominciare? Dalla morte di Franco e la transizione democratica?

Il problema è ancora più ampio. Non so bene cosa sia la poesia spagnola. È molto difficile studiare, classificare, delimitare dei gruppi o delle tendenze poetiche. Sempre di più mi interessa studiare individualmente determinati poeti e sempre meno stabilire la loro appartenenza a un gruppo. “Poesia spagnola” è un termine convenzionale, che tutti capiamo certamente, ma in sé non vuol dire molto.

Un altro problema è, culturalmente parlando, che non c’è stata nessuna transizione. Politicamente, certamente, vi è stata, ma nella letteratura, nella poesia, nelle università, nella filosofia, nel pensiero in generale, non c’è stata una vera critica dei valori dominanti. Poesia era prima, poesia è stata dopo, naturalmente, ma nelle forme del pensiero, nelle interpretazioni, è mancata la presa di coscienza di quanto era accaduto altrove. L’isolamento della cultura spagnola è stato feroce durante il franchismo, ma si fatica ancora a prenderne atto con tutte le conseguenze del caso. Per questo è difficile stabilire un momento preciso di rinnovamento.

Tuttavia dei cambiamenti ci sono stati, anche solo per la fine della censura e dei lacci che imbrigliavano la cultura.

È vero che già a partire dalla fine degli anni sessanta, appaiono dei libri importanti che danno l’idea di una conoscenza maggiore di quanto accadeva al di là delle nostre chiusissime frontiere. Sicuramente già all’inizio dei settanta, e la critica lo segnala, possiamo dire che il lungo dopoguerra della poesia va terminando. Ad ogni modo, ritengo che la lettura a ritroso, che vede l’esistenza di gruppi poetici promotori di tale cambiamento, falsifichi la realtà.

Mi potresti citare allora qualche nome che in quegli anni si è distinto?

Ci sono i nomi ufficiali, che in teoria furono i promotori dell’innovazione, i così detti Novísimos ­ – tra cui Pere Gimferrer, Guillermo Carnero o il più interessante e radicale Leopoldo María Panero – e poi ci sono casi isolati, che non rientrano in questa “omologazione ufficiale”, non solo perché non entrarono nell’antologia, ma anche perché restarono ai margini di questo movimento di classificazione critica, come fu il caso di José Miguel Ullán, che era esiliato in Francia, tra il ’66 e il ’76.

C’è un elemento interessante ad ogni modo, che ha a che vedere sia con l’isolamento di cui ti parlavo, sia con le gerarchie poetiche stabilite: se ci riferiamo ai Novísimos, ci sono due concezioni divergenti che animano quel progetto. Da un lato c’è il prologo dell’antologia, di José María Castellet, che è una proposta neoavanguardista piuttosto interessante,  di forte rottura linguistica; tuttavia, dall’altro lato, ci sono diversi poeti che si fregiarono dell’etichetta di Novísimos, come Luís Antonio de Villena, Luís Alberto de Cuenca, Antonio Colinas,  ecc, la cui proposta è enormemente tradizionale, senza molto in comune con quello che in teoria era il programma poetico dichiarato. Non voglio spingermi ad affermare che ci sia stata una doppia morale, ma certamente un meccanismo di impostura sì, tra un programma di modernizzazione radicale e una poesia sempre più convenzionale, via via che avanzavano gli anni settanta.

Quanto è stato forte il legame, almeno a livello di intenzioni programmatiche, tra i Novísimos e i Novissimi?

Direi che quasi solo nominale, sebbene in Catalogna ci sia stata sempre una maggiore relazione con l’Italia. È vero che il nucleo in cui si gesta l’antologia è Barcellona, la città meno isolata durante il franchismo, tanto che nel prologo appare anche il nome di Umberto Eco, tuttavia credo chi si tratti di una relazione appena epidermica.

La tua visione fin qui appare pessimistica, eppure, due anni fa, la rivista francese «Europe» ha presentato, proprio per mano tua, un panorama della poesia spagnola giudicato assai postivamente. Si trattava di un gruppo di poeti che ha come denominatore comune quello di essersi dato a conoscere nel post franchismo.

Bisogna dire che la fine del franchismo e gli anni recenti coincidono anche con una crisi generale della poesia, riscontrabile in molti paesi, per cui è difficile rintracciare delle voci capaci di farsi ascoltare. Tuttavia, voci individuali di un certo peso sono sorte in questo panorama, che danno la certezza di scritture in marcia di un interesse enorme. Detto ciò, sia in Europa che negli Stati Uniti, e forse anche in Latinoamerica, il livello di frammentazione è altissimo. Ci sono pochissimi poeti contemporanei capaci di intercettare tutti i lettori di poesia, per ragioni di diffusione o di assenza di proposte unificanti. Penso che la Francia in questo senso sia ancora più frammentata attualmente. Le grandi collezioni sono pochissime; tutto si gesta in piccole collezioni di cui si accorge a mala pena il circolo prossimo al poeta.

Forse ti sorprenderà la mia osservazione o ti sembrerà ingenua, però, vivendo in Spagna, ho la sensazione che alcuni nomi di poeti contemporanei siano assai conosciuti. Ricordo persino che, quando era presidente del governo, Zapatero citava Antonio Gamoneda come il suo poeta di riferimento, mentre il suo predecessore, Aznar, si dichiarava appassionato di Luís Alberto de Cuenca. Ebbene, non mi sembra ovvio che ciò accada in altri paesi. Anche l’esistenza del «Premio Nazionale di poesia», o di un premio ancora più importante come il «Cervantes», proietta ogni anno l’attenzione dei media maggiori su alcuni poeti. Insomma, ho percepito un livello di attenzione pubblica più elevato che altrove.

Hai ancora questa impressione?

Sí. Credo ci siano almeno tre o quattro nomi che in Spagna siano realmente conosciuti. In questo momento, per esempio, Olvido García Valdés e Luís García Montero, ricoprono incarichi importanti nelle attività culturali del Governo e sono lì per i loro meriti poetici, oltre ad aver entrambi vinto in passato il Premio Nazionale di poesia. I loro libri sono pubblicati da case editrici importanti, con ampia diffusione. Molti lettori non solo li conoscono, ma percepiscono anche una forte differenza nella loro proposta poetica. Ripeto, non sono circostanze ovvie.

Può essere. Funziona in effetti una specie di prestigio di alcuni poeti, che non so quanto vada accompagnato da una reale conoscenza della loro opera. Però sì, la gente mediamente colta conosce questi nomi. Molte biblioteche, strade o scuole hanno nomi di poeti anche recenti ma ripeto, non sono sicuro che ciò contribuisca a una vera diffusione della poesia in quanto tale.

Mi potresti indicare altri nomi, oltre a quelli già citati, la cui opera ti sembra rilevante.

Oltre a Leopoldo María Panero, i cui grandi libri sono a cavallo tra i settanta e gli ottanta, e José Miguel Ullán – entrambi non sono più con noi, sebbene faccio sempre fatica a crederci – e oltre  all’opera importantissima di Antonio Gamoneda, segnalerei María Victoria Atencia, Julia Uceda, la prima donna a vincere il Premio Nazionale di poesia. Tra i poeti a me prossimi come età, Olvido García Valdés, sebbene sia per me difficile parlarne[1], Ildefonso Rodriguez, Pedro Provencio e Julia Castillo. Una poeta diciamo intermedia, anagraficamente parlando, ma interessantissima, è la basca Eli Tolaretxipi, tuttavia davvero poco conosciuta. Tra i più giovani, nati dagli anni settanta in poi, e direi già con un’opera importante, Mariano Peyrou, Esther Ramón, Julieta Valero, e gente nata negli anni ottanta, che promette bene, come Ángela Segovia, Lola Nieto, Pablo López Carballo.

Venendo invece alla tua poesia, noto una cifra generale in un tono austero che ti appartiene, una sorta di pudore antiretorico. Ti riconosci in questa impressione e ti senti accompagnato da altri in tal senso?

Certamente io e altri ci siamo formati in anni in cui abbiamo scoperto di colpo autori europei importantissimi, sia leggendoli, sia traducendoli. Questo ci unisce nell’esperienza e unisce alcuni di noi nel rifiuto netto della tradizione retorica, nella predilezione per l’aggettivazione sobria, nell’aggiramento delle metafore, insomma, nella distanza dalle scelte stilistiche che caratterizzano tanti poeti della generazione del 27. Certamente è una tendenza anche di Ullán, di Olvido, di Pedro Provencio.

Quanto è stata importante per te e altri poeti l’esperienza delle riviste nella vostra formazione?

Determinante. Qui in Spagna negli anni settanta si trattava di scoprire, conoscere e tradurre autori che nel resto d’Europa erano ovvi e quasi banali. Penso alla barcellonese «Camp de l’Arpa», un mensile consistente che aveva come principale compito quello di rompere l’isolamento. Direi anzi che gli unici gruppi poetici che esistono, secondo la mia esperienza almeno, sono questi. Gruppi di amici o sodali che imparano insieme attraverso un progetto comune. Per me e altri questo progetto è coinciso con le riviste «Un ángel más», poi «El signo del gorrión», una rivista assemblearia, e infine, per vent’anni, insieme a Olvido, con «Los infolios»

Forse le riviste oggi non occupano più questo spazio, mentre proliferano festival, letture pubbliche, performance e iniziative legate alla poesia. Non sembra in contraddizione con una, in teoria, crisi del genere?

Certamente la crisi economica ha provocato il declino di luoghi e istituzioni dedicate alla cultura e vi è stata una riconversione in mille piccoli centri, librerie e bar soprattutto, che ha mantenutoalta  l’attenzione ma ha accentuato la frammentazione. Oggi vi sono mille piccoli eventi; in una città come Madrid si può andare ogni giorno a uno o più incontri poetici. Ma i grandi luoghi, come il Círculo de Bellas Artes[2], si sono visti obbligati a ridurre il proprio programma culturale a causa dei tagli economici e dare priorità, per finanziarsi, a un criterio commerciale. Gli stessi interolcutori del Círculo non ci sono più e ci si confronta con il dipartimento finanziario. Un’altra grande istituzione come la Residencia de Estudiantes[3], è oggi più inclinata verso il dibattito scientifico, che è eccellente, ma risponde al finanziamento privato che è intervenuto negli ultimi anni. Oggi a Madrid, di istituzionale per la poesia, resta solo la Casa de América[4] e alcuni ritagli al Círculo. Gli altri soggetti che ti dicevo hanno disperso il loro pubblico nella miriade di atti, magnifici molti di essi, che vivono ed esistono grazie ai social network, all’impegno di piccoli gruppi o individui, di librai o persino baristi.

I luoghi della poesia, ho la sensazione, per lo meno in una città come Madrid, sembrano aver preso il posto delle riviste, in quanto a capacità di incontro e dibattito. Cosa ne pensi?

Certamente, pur essendoci buone riviste, il loro peso è quasi nullo. Tra quelle che apprezzo c’è «Nayagua», perché dà molto spazio alle voci giovani e alle recensioni. Altre hanno chiuso, come «Años 10», che era ottima.

Oltre a quelle spagnole, quali sono le riviste importanti nel panorama latinoamericano che circolano anche da noi?

Certamente «Periódico de Poesía» (https://periodicodepoesia.unam.mx/), dell’Unam, l’Università del Messico, ma anche «Luvina», la rivista letteraria dell’Università di Guadalajara, sempre in Messico, sebbene quest’ultima abbia una diffusione limitata. Credo che le riviste oggi durino poco su carta e transitano dalla carta a internet; alcune sono ottime, come «El cuaderno» (https://elcuadernodigital.com/), che si edita a Gijón, nelle Asturie, o «Vallejo & co» (http://www.vallejoandcompany.com/), che si pubblica in Perù. Tuttavia non vedo nessuna rivista che davvero incida complessivamente; l’ultima che ricordo è la messicana «El poeta y su trabajo», che era straordinaria.

Torniamo alla Casa de América, un caso notevole a Madrid,  in quanto luogo di incontro della cultura in spagnolo, che accoglie intellettuali provenienti da vari paesi latinoamericani. La storia poetica degli ultimi anni in Spagna è anche l’incontro con gli altri poeti in lingua spagnola, dato che molti scrittori dell’altra sponda dell’Atlantico hanno trovato qui rifugio o un progetto di vita, magari in concomitanza con le crisi democratiche o economiche dei loro paesi di provenienza, o semplicemente per un progetto personale di cambiamento. È una ricchezza, non credi? Insomma, l’isolamento si è rotto anche grazie a questo scambio.

Certamente, negli anni settanta arrivarono qui moltissimi intellettuali soprattutto argentini, che portarono un rinnovamento editoriale, culturale e linguistico. La Casa de América è un ente importantissimo in questo senso e si è salvato perché dipende dal Ministero degli Esteri e ha subito meno tagli di quelli inflitti alla cultura o alle regioni.

Oggi c’è un settore importante di lettori di poesia, soprattutto a Madrid e Barcellona, per ragioni di distribuzione, che conosce la poesia latinoamericana. Tra i poeti e i lettori con meno di 45 anni la tradizione poetica in spagnolo è già una sola.

Mi potresti indicare alcuni nomi riconosciuti?

Per esempio, e alcuni di loro già non ci sono più, e i cui nomi sono ormai illustri, la argentina Olga Orozco, i cileni Nicanor Parra e Raúl Zurita, i messicani José Emilio Pacheco e Gerardo Deniz, i peruviani Emilio Adolfo Westphalen e Blanca Varela, il cubano Lorenzo García Vega, il venezuelano Rafael Cadenas. E poi ci sono nomi meno ufficiali, ma letti e ammirati, come l’uruguayano Eduardo Milán, che vive in Messico, il poeta peruviano Mario Montalbetti e la venezuelana María Auxiliadora Álvarez. Va riconosciuto in tal senso il ruolo di alcune librerie, come la Iberoamericana, vicina al Parlamento, o il Centro de Arte Moderno, nel quartiere di Chamberí, i cui proprietari sono argentini. Entrambe sono luoghi di accoglienza e diffusione delle voci latinoamericane a Madrid, che in questo senso è diventato uno dei centri in cui si incontrano le tante voci della poesia in spagnolo.

 


[1] Olvido García Valdés, poeta, scrittrice e attuale direttrice del “Programma Nazionale per i libri e la diffusione della lettura”,  è sposata con Miguel Casado.

[2] Il Círculo de Bellas Artes è un entità privata, fondata nel 1880, che promuove la creazione artistica e la diffusione della cultura in ambiti differenti, dalle arti plastiche alla scienza. I suoi meriti sono riconosciuti dallo Stato spagnolo, che ne protegge la missione e le attività.

[3] La Residencia de Estudiantes, fondata nel 1910, è il maggiore esempio del rinnovamento culturale della Spagna di inizio secolo. La sua missione principale era quella di affiancare e completare la formazione superiore e universitaria della nuova classe dirigente, laica e moderna, che fu poi spazzata via dal franchismo. Federico García Lorca, Luís Buñuel e Salvador Dalí, tra gli altri, furono suoi ospiti, mentre tra i conferenzieri celebri si ricordano Albert Einstein, Henri Bergson, Maie Curie, Igor Stravinsky.

[4] Consorzio pubblico, dipendente dal Ministero degli Esteri, che ha come obiettivo la cooperazione culturale tra Spagna e America, e in particolare con l’America Latina. Organizza seminari, conferenze, concerti, mostre e convegni.

Immagine: Darío Villalba.