Quattro poesie di Francesco Accattoli.
D’inverno i granchi dormono
tra gli scogli, per le ossa è un inferno.
Scendo, a volto scoperto,
nel nord che ci fa il mare grande.
Lo guardo farsi trama, ascolto
i cambi d’intonazione. Le parole
hanno il passo delle maree.
D’improvviso il silenzio sul bianco,
come un tappeto d’organza.
παννυχίη μέν ῥ’ ἥ γε καὶ ἠῶ πεῖρε κέλευθον.
Omero, Od., II, 434
Dalla parte della chiglia c’è nebbia
e il mare è una brughiera,
nubi s’addensano ad est, spariscono
le rocce, è difficile prevedere
lo schianto. Dicono che non si muoia.
…………………………………Ma poi accade
che qualcuno abbia paura, il verde
dei lecci, stretti fino ai salti dell’argilla,
ha il verso dei cinghiali.
Ti sei messo per l’alto mare, oggi
nessuno si nasconde per l’agguato,
sei figlio che ha cercato il padre,
l’acqua queste carni le ha vestite,
la rotta ti ha fatto le ossa.
……………………………….Ma poi accade
che nell’altra sponda nessuno ti conosca.
Gli dei hanno altri nomi, il venerdì
si mangiano a pranzo pesci arrostiti.
Tuo padre chi fosse è sparso
per il mare, è alga posidonia e tana,
è furbo vociare delle scogliere.
D’improvviso un maestrale
impaziente di affogarmi;
con le mareggiate
che ci lasciano desiderare ancora
il dolore del costato, l’impatto
col gelo delle onde.
Eri nell’acqua vicino alla riva:
ti ho portata a largo, ti ho affidata
al mare da cui siamo nati, nel freddo
Adriatico e sentimentale.
Era tutto dentro una forma ovale, si muovevano le onde tirate dal vento, a tempo, coi respiri duri dei lecci e delle querce. Ho visto te, mi sei venuta in mente, eri scura nuvolaglia nera, polvere e foglie, odore di terra. Cominciavano le case ad accendersi di voci. Allora s’impaurirono le bestie notturne, tu eri nelle radici strappate dalla mareggiata, un corpo cavo, divenuto tana. Gli ossi delle seppie gettati a riva, lunari, dai bordi taglienti e neri accumuli di masse morte, alghe, pasto di mosche. Venivo distratto dal sibilo cupo della corrente, in mezzo, dove rompono le onde e franano colonne giù, dal bosco. Si scopre la baia dai sassi del monte, tra rami, tra rovi, un’ombra lunga che sembra notte, un coro di madri laggiù richiama dai moli le barche.
E tu che mi dicevi di arrivare
e non arrivi, e l’acqua che ritorna.
Immagine: Olivo Barbieri.