I tuoi interessi di italianista sono molto vasti, come forse è inevitabile per chi affianca la didattica universitaria alla ricerca: dal 1992 dirigi infatti il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Praga, dopo aver lavorato per molti anni nell’editoria letteraria. Ma hai anche tu le tue predilezioni, che certamente emergono nella tua ricchissima attività di traduzione dall’italiano (e non solo) al ceco: quali sono?
Se mi mettessi un coltello alla gola e mi domandassi – come si fa nelle rubriche giornalistiche – quali sono i tre scrittori che considero i più importanti, probabilmente risponderei: Dante, Leopardi, Svevo. Ma sarebbe una risposta davvero molto riduttiva: come storico della letteratura non posso trascurare ad esempio l’enorme e mai estinta energia delle opere di un Petrarca o di un Boccaccio, anche perché la letteratura italiana ha dialogato con questi capolavori in tutti i secoli successivi. E non oserei affermare che Svevo è scrittore più grande di Pirandello. Da giovane leggevo molta letteratura italiana contemporanea. Accadeva però all’epoca in cui uscivano gli scritti di Sciascia, della Morante, di Primo Levi, della Ortese e di altri autori degni di essere seguiti passo dopo passo. Oggi sono convinto che almeno due nomi di questa stagione appartengano in assoluto alla “prima linea” dei classici italiani: Calvino e Montale. Ma come ogni lettore ho le mie preferenze anche al di là di queste vette. Fin dagli studi universitari mi ha molto interessato l’itinerario del modernismo italiano: dalla scapigliatura attraverso il simbolismo fino ai crepuscolari e alle avanguardie. È infatti un percorso particolare, solo in apparenza è soprattutto una storia di temi e forme derivate; in realtà quei temi e quelle forme furono trapiantati in una terra vergine, e non si può affatto affermare che i risultati siano stati solo opere di epigoni. Su questa linea ho trovato una serie di voci degne di nota: Dossi, Tarchetti, Gozzano, il giovane Govoni. E di tanto in tanto capita di incontrare anche poetiche sorprendentemente originali, come nel caso di Palazzeschi, di Savinio. Negli ultimi anni mi sono dedicato alla letteratura di epoche più lontane. Mi affascina il Quattrocento italiano, quell’istante unico in cui si cerca – e talora si trova – un equilibrio tra natura e idea, tra uomo e Cristo.
Oltre che di letteratura italiana, sei uno studioso affermato di letteratura francese e di letteratura ceca. Qual è stato il punto di partenza di queste tre vie, e come si incrociano? Forse non è casuale che uno dei tuoi libri, quello su Bohumil Hrabal, sia nato dalla riflessione fatta su questo autore per presentarlo al pubblico italiano.
Accanto alla letteratura francese e a quella italiana ho studiato comparatistica. Il mio maestro è stato il grande comparatista ceco Václav Černý. La prospettiva comparatistica mi è sempre stata congeniale, e anche per questo motivo non ho mai inteso rinunciare al mio interesse per la letteratura francese. La letteratura ceca non l’ho mai studiata come settore specialistico, ma la verità è che si tratta di quella che ho letto di più, facendola diventare una sorta di sfondo su cui proiettare le mie riflessioni sulle altre letterature. Ho scritto una serie di studi di carattere “italo-slavistico”: sulle tracce di Dante, Petrarca e Boccaccio nella letteratura ceca, sul manierismo ceco, sull’Italia come topos letterario nel romanzo ceco. Per quanto riguarda il mio saggio su Bohumil Hrabal, non l’avrei scritto se non fosse stato per l’insistenza degli amici italiani. Hrabal per me è sempre stato un grande tema, e senz’altro un tema concretamente “vissuto”: ho seguito il suo percorso un libro dopo l’altro, partecipando alle discussioni che i suoi testi invariabilmente suscitavano. Ma Hrabal aveva i suoi ottimi interpreti tra i boemisti: Susanna Roth, Milan Jankovič. A me non sembrava necessario aggiungere altro. Ma quando ho ricevuto la proposta di scrivere l’introduzione al volume di Opere scelte che si preparava nei Meridiani Mondadori, mi sono reso conto che per il pubblico italiano sarebbe stato proficuo collocare Hrabal nel contesto europeo. E questa era una sfida nuova, un aspetto mancante nella riflessione critica ceca. Ero convinto che la scrittura di Hrabal fosse perfettamente sincronizzata con l’evoluzione della letteratura europea. E quindi ho deciso di cimentarmi con questo compito.
Qual è, o quali sono i poeti italiani che hai tradotto con maggiore piacere e quali quelli che hanno incontrato migliore comprensione presso il lettore ceco? Va ricordato che il lettore ceco è un lettore forte”.
È difficile dirlo. I lettori di poesia sono ovunque “a happy few”, e anche in presenza di un feedback è quasi impossibile trarne conseguenze univoche. Ma in base ai pochi segnali di cui dispongo, di cui i lettori mi hanno dotato, ho l’impressione che la mia traduzione di Ungaretti sia stata notata; è un poeta che in Boemia ha lettori sorprendentemente attenti (la prima antologia ceca dei versi di Ungaretti, del 1933, ebbe una grande importanza anche per Hrabal). Un libro che mi ha gratificato molto è la mia antologia dei poeti crepuscolari. Non immaginavo affatto che qualcuno avrebbe notato nomi di poeti che fino a quel momento in Boemia nessuno aveva pronunciato, ma oggi sono certo di essere riuscito a introdurli nella coscienza culturale. Qualche anno fa per mio piacere ho tradotti i Sonetti della semana e i Sonetti dei mesi di Folgore da San Gimignano, versi unici dove, in modo estremamente affascinante, la linea della poesia comico-realistica interseca quella della poesia stilnovistica. E stranamente – me ne sono meravigliato io stesso – il mio entusiasmo per questi versi si è trasferito su molti lettori.
C’è uno scrittore italiano che hai amato più di altri?
Non sarò originale: naturalmente Dante. La Divina Commedia non ha paralleli nella letteratura mondiale. È un universo chiuso, un’immagine completa del mondo, in una prospettiva passata, presente e futura (ho in mente i momenti profetici del poema, non del tutto decifrabili). Un poema come questo poteva essere scritto soltanto in un preciso momento: alla conclusione del Medioevo, subito prima che l’uomo – con Petrarca! – si rivolgesse al microcosmo della propria individualità. Dopo Dante nessuno ha più scritto versi semanticamente così densi. È inesauribile. Ernst Robert Curtius rileggeva la Divina Commedia ogni anno, e io tento di fare come lui.
Potresti descrivere qual è l’immagine, l’idea della letteratura italiana invalsa nel contesto culturale ceco?
Mi sembra importante premettere che un lettore ceco seriamente interessato a conoscere la letteratura italiana non ha la necessità di conoscere l’italiano. In Boemia la tradizione delle traduzioni di letteratura italiana è straordinaria, più ricca ad esempio rispetto a quella delle traduzioni di letteratura spagnola. Il lettore ceco ha a disposizione quattro traduzioni complete in versi della Divina Commedia (una delle quali recente), mentre per leggere Calderón deve arrangiarsi con poche versioni, per di più di vecchia data. Negli anni Sessanta e Settanta, quando uscivano i testi migliori della generazione “calviniana”, la letteratura italiana e il cinema italiano erano seguiti con grande attenzione. Oggi la scena letteraria italiana è difficile da scandagliare, tuttavia di solito i testi tradotti in ceco trovano i loro lettori. Penso che nella prosa italiana il lettore ceco abbia sempre apprezzato il fatto che non si è mai troppo lasciata andare a esperimenti avanguardistici, conservando invece l’interesse per la vita reale e le emozioni. Non tutti i bestseller italiani sono bestseller anche da noi: proporre nuovi nomi è oggi un’operazione rischiosa. Stranamente Camilleri non ha avuto successo, a differenza ad esempio di Ammaniti e Paolo Giordano.
Proviamo a dialogare, anche se a distanza, con gli interlocutori che su queste pagine hanno risposto a domande analoghe. In un intervento recente si è parlato della traduzione in inglese dello “Zibaldone” di Leopardi. Qual è in ceco la situazione di imprese simili, di traduzioni di opere italiane impegnative, di “classici”? Esistono in ceco antologie importanti di poesia italiana? Perché hai curato proprio un’antologia dei cosiddetti crepuscolari?
Mi è stato chiesto di tradurre lo Zibaldone; da parte degli editori l’interesse c’è. Ma dove potrei trovare il tempo per farlo? Abbiamo comunque una nuova traduzione dei Canti (la terza) e un’edizione completa delle Operette morali (dopo le precedenti antologie). In generale si può dire che i grandi classici italiani hanno in Boemia una buona reputazione, sono stati di regola tradotti ripetutamente e vengono costantemente ripubblicati. A illustrazione del fatto che gli editori illuminati non mancano, posso dire che ho ad esempio un contratto per la traduzione della Hypnerotomachia Poliphili. Per quanto riguarda le antologie, direi che in questo momento non sono molto gradite le antologie “personali”, le selezioni in cui il traduttore presenta le sue preferenze. Ciò ha forse motivazioni profonde: nel periodo comunista uscivano molte antologie, ma poi si scopriva regolarmente che la selezione non era del tutto innocente, e che il genere serviva a mascherare l’eliminazione di poesie “politicamente problematiche”. È evidentemente una reazione a questa prassi il fatto che dopo la “rivoluzione di velluto” hanno cominciato a uscire piuttosto le versioni integrali di singole raccolte. Direi tuttavia che questa sfiducia non ha colpito le antologie collocate in un chiaro contesto storico-letterario che ambiscono a presentare un’epoca, una corrente o una tendenza. Anch’io preferisco decisamente questo tipo di antologie, e così era impostata la mia antologia dei poeti crepuscolari.
Queste pagine elettroniche ospitano soprattutto poesie, spesso tradotte. Abbiamo presentato un poeta ceco, Petr Borkovec, per ora solamente lasciando parlare i suoi versi (http://www.nuoviargomenti.net/poesie/due-corifene-1773-poeti-cechi-contemporanei-1/). Ci daresti qualche spunto critico per interpretarli?
Mi piace la poesia di Borkovec. Borkovec è un lirico autentico, per lui la poesia è una cosa seria, e non un gioco ironico con le forme, come spesso succede dai tempi del modernismo poetico. Borkovec non si limita a creare configurazioni semantiche, rimane bensì in un contatto lirico, e dunque nel contatto più stretto, con il mondo oggettuale.
Oltre che poeta, Borkovec è traduttore. Tu hai tradotto migliaia di pagine, tra le quali molte di versi. Che definizione daresti della traduzione letteraria?
Esistono decine di definizioni della traduzione letteraria, e non voglio aggiungerne un’altra ancora. Ma poco tempo fa ho scritto un ricordo di un traduttore recentemente scomparso, Jaroslav Kabíček (russista, ha tradotto ad esempio Fet, Blok e Gumilev), e mi sono chiesto cos’è che fa un buon traduttore. Secondo me quattro cose: da un lato la passione e il coraggio, e dall’altro l’onesta e l’umiltà. Il che significa che non è affatto facile.
A che cosa stai lavorando?
A un’altra antologia. Sto completando un ampio volume di letteratura italiana rinascimentale. È un progetto cominciato da Václav Černý, che non riuscì purtroppo a portarlo a termine.
Evgenij Solonovich – Come è letta la poesia italiana all’estero? /1
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Lo Zibaldone di Leopardi, intervista con Richard Dixon – Come è letta la poesia italiana all’estero /4
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Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).