Sette traduzioni inedite dall’opera di Jean-Michel Maulpoix a cura di Alessandro Anil.
«Si potrebbe pensare» scrive Rilke in una lettera a Clara Westhoff dell’8 ottobre 1907, osservando le variazioni del cielo presenti nel quadro di Cézanne «che qualcuno stesse scrivendo una monografia del blu». Nella lettera Rilke spiega come, dopo aver già trascorso due giorni al Salon d’Automne, è andato al Louvre ed è stato in grado di stabilire una relazione tra il blu della pittura del XVII ° secolo e il blu della pittura di Cézanne, motivo per cui, dopo aver parlato di una “monografia”, corregge e parla di una “biografia” (Lebensgeschichte): si dovrebbe dalla pittura romana passare alla “pittura pompeiana”, per arrivare fino al blu di Cézanne, ripercorrendo tutto la storia del blu, come se fosse una persona.
L’associazione tra il blu e la poesia ha un altro riferimento preciso. Già nel titolo L’instinct de ciel, uno degli ultimi libri pubblicati da Jean-Michel Maulpoix il riferimento all’azzurro di Mallarmé è esplicito. L’omaggio continua nei versi “Non puoi più dire una sola parola. Improvvisamente la faccia è blu. // Dormi sotto una maschera di cera “, dove la combinazione fra il primo e l’ultimo verso rende chiaro il secondo: il volto raggiunge l’azzurro, ma non nella vita. Tesi che torna a fare eco a quella separazione fra vita e stato di morte condensata nel «Orfeo. Euridice. Ermes» di Rilke: quando Ermes le confida che Orfeo si è voltato, lei risponde «Chi?».
Se si vuole comprendere ciò che Maulpoix, insieme ad Antoine Emaz, teorizza come lirismo critico, naturalmente in lui c’è più lirismo che critica, bisogna soppesare da una parte quella costante ascensione della parola che faceva scrivere a Valery «Il lirismo è lo sviluppo di un’esclamazione», e dall’altra, la ormai fin troppo nota autocoscienza dell’incapacità di un tale atto poetico.
La poesia intitolata «Le grand pavois» suonerà su questa polisemia pronominale. Dai primi due versi, si introduce una relazione tra la scrittura e il mare: «La maturità del mare è illusoria. // Sappiamo che nella pagina il mare è tenuto da corde». La metafora che segue: «il rumore blu della lingua», permette di esplicitare l’associazione tra il mare e la parola. La ragione dell’illusione introduce il dubbio che incombe sul potere evocativo della parola. Ancor prima di scrivere la poesia il poeta sa che creerà solo un’illusione dell’infinito. È già disincanto, l’azzurro non sarà accessibile nella scrittura. In linea con il contemporaneo la disillusione fa da sfondo, ma l’incanto è presente fin dalla prima associazione fra la scrittura e il blu, l’istinto verso il cielo è una questione naturale.
Tensione verticale e scrittura in prosa, dunque. È d’altronde, una strada battuta da poeti, come Mark Strand e Anne Carson, che vogliono essere lirici senza voler aderire completamente al lirismo. Nel caso di Maulpoix, il passaggio fra narrativa e poesia viene preservato attraverso il genere del frammento. Ogni frammento è legato all’altro attraverso ripetizioni interne, spesso dall’andamento ondivago di un ciclo di metafore, oppure, più tradizionalmente, dalla progressione di un tema. L’immagini del blu si susseguono come in una pellicola. «Vedremo l’azzurro nel cinema» oppure, «Il mare non rilascia l’azzurro, è legato all’ansia: abbiamo tanta paura di morire che siamo grati al mare per aver trasmesso la nostra ansia sull’enorme statura del suo blu.» Se ci si chiede da dove nasce la natura verticale dell’illusione, si potrebbe rispondere dalle immagini, o dovrei dire attraverso l’icona che all’interno di ogni frammento fissa il blu nelle sue varie pose naturali. Se la parola non ha più la capacità d’incanto, è la icona del mare, ad esempio, con la sua bidimensionalità a rimandare a uno spazio d’infinito ancora possibile. Il recupero del lirismo in questo caso è attraverso l’evocazione delle immagini prodotte dall’associazione libera della mente. A questo va associato un gusto per l’aforisma, un aforisma che spesso, dopo l’illusione, ponendosi alla fine del paragrafo arriva a creare un effetto di rottura rispetto al lirismo, costringendolo a una caduta. Un uso dell’aforisma che nella poesia francese si può far risalire a René Char.
Ma il movimento di ascensione e caduta non è forse già presente nella continuazione della storia del blu, dopo quella narrata di Rilke? Il blu, come Antoine Émaz ha ben esposto nella prefazione all’edizione francese di «Une Histoire de bleu» è esso stesso polisemico. Può assumere un altro significato, quello di una percossa, un ematoma o quello della sostanza che consente di tingere il lino. Il blu, se è il colore dell’infinito, è anche il colore del dolore, della bile, della malinconia. Fin dall’antichità, presente nel genere del Nostoi, ciò che separa gli eroi dal loro ritorno non è d’altronde il mare? Ed è questo tono malinconico, di nostalgia a caratterizzare la «Une Histoire de bleu». Il blu nella cultura del secolo venti è anche il blues, una musica che esprime dolore e liberazione. La storia del colore blu non porta solo al blu dell’assoluto. Il blu è un colore primario, una miscela per altri colori, significa che puoi cantarlo solo in modalità minore, come un Lied di Schubert. Porta dentro di sé sia la nostalgia dell’azzurro, sia la negazione della possibilità di raggiungerlo. Eppure, questo blu conforta. Puoi tirarlo fuori dal calamaio, estrarlo da una penna e ritrovarlo sulla tua tavolozza, sulla pagina. È il colore che la parola lascia sul bianco, un breve riassunto di quel tentativo di ascensione della milza verso l’ideale.
Alessandro Anil
«La sostanza del cielo è di una strana tenerezza».
L’azzurro, alcune sere, ha la delicatezza dell’oro antico. Il paesaggio è un’icona. Il cielo che si sgretola nel tramonto sembra riprendere, per un attimo, a credere nel suo blu. Un giorno insperato sorge mentre sul mare la notte ha preso il suo sostegno.
Lentamente il mistero si sposta da un angolo dell’orizzonte all’altro.
Non si potrebbe descrivere la materia di questo attimo, né il suo colore; sarebbe come una conversazione sussurrata fra luce e oscurità, un gesto, una buona intenzione: l’ignoto curerebbe tutto, e ciascuno saprebbe che su questa terra è al suo posto, che è stata fatta per lui, che l’infelicità stessa è solo un errore, una svista presto riparata, o lo stato grezzo della felicità che sta emergendo e la cui promessa il cielo serale non scioglierà.
*
Il mare cerca frasi in noi.
Per secoli, la stessa voce sillaba lo stesso alfabeto nello stesso cervello del bambino. Aggrappandosi all’erba delle spiagge, alla pelle scura dei bagnanti, alla prua delle barche, agli alberi, balbetta parole che velocemente decollano. Parole qualunque, per niente e per nessuno. Si tratta solo dell’amore. Questo è il motivo per cui non sappiamo cosa dire e soffriamo lo sguardo di altri che indugia sul nostro viso quando vorremmo che atterri sul cuore. Le nostre labbra sono così incerte, il nostro corpo invisibile nel buio opaco, e le nostre mani goffe, fulmini o ali ancora a portata di mano.
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Il mare è un libro illustrato.
Chiunque lo sfogli ama i suoi disegni ingenui. Mette le sue dita sul colore e sillaba parole come un bambino a cui sfugge il significato. Dice il blu che tiene nella mente. Il cuore gli gira un po’: lanciato da un’idea del cielo a un’altra, urta di traverso e passa di mano in mano. Rotola, affonda o galleggia tra due acque con il suo carico di sangue e malinconia. Avvicinandoti, vedrai passare una specie di nave, gondole o gabbiani; isole e bagliori, una folla di avventurieri di ogni genere che circola con i loro pacchi e le galosce, vedrai isole sorgere nel mezzo delle onde… Dio solo sa su quale roccia lo ritroveremo, fremente nei suoi stracci, arenato come un fascio di alghe, carbonizzato, nero e secco, spogliato del poco che aveva lasciato l’amore.
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Guardano il blu, ma non lo sapranno mai dire.
Il mondo è un vasto paese sconosciuto che si contempla dalle terrazze. Si scelgono le camere con vista, quelle che danno sul mare, anche se sia sa che il mare non si darà mai. Lo si sente gridare dietro le persiane: la gola della notte, la voce di ciò che non parla, è la recitazione muta delle lontananze, la conversazione soffocata dal silenzio, una bella alleanza di parole disposta come un cerotto sul vuoto della lingua… Lei non dice niente, non spiega niente, non impartisce nessuna lezione. Eppure, conviene prestare l’orecchio. Ascoltare questo rumore vuoto è solo vivere e trattenersi in se stesso: vivere il proprio pallore, con quel curioso desiderio di colori che prude, che infastidisce, questo sapore dello zucchero che certe parole lasciano in bocca. L’infinito si incolla alle nostre palpebre e fa del nostro viso, un viso infarinato da pagliaccio.
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Non pensare che tutto questo blu sia indolore.
Il mare non è un’immagine ingenua appuntata nella stanza sopra il letto tra i pupazzi e i gioielli da un soldo.
Quando il cuore non ci batte più, cerchiamo il mare aperto nelle pozzanghere della strada al fine di berci la nostra miseria e di offrire al nostro desiderio una sembianza di cielo. A volte guardiamo intensamente gli occhi dei nostri simili, sperando di trovare il mare e affondarci brevemente.
Strofiniamo la nostra pelle nella camera da letto contro la pelle altrui, alla ricerca di un’elettricità blu e del suo bellissimo arco di fulmini.
Di tanto in tanto scambiamo segnali di fumo con i nostri simili. Con le braccia penzolanti, restiamo soli in pista e mastichiamo la sua polvere bagnata da lacrime invisibili. Siamo qui per un breve periodo: qualche parola, qualche frase, così poco sotto le stelle, solo quello, in mezzo a tutto il resto. Blu in bocca fino all’ultima ora. Voce bianca, voce macchiata, scongiurando la morte, sposando il morire, ascoltando senza paura lo scricchiolio delle ossa, del cielo e del mare.
*
Qui dell’anima si batte il ferro
Si tagliano i cappotti a misura del sogno
Si proviamo idee più grandi, filosofie più spensierate, rifugi dove alloggiare ciò che non esiste
Si presiede le cerimonie mozzafiato dell’immaginazione
SI studia il flusso e riflusso periodico del cuore
Si scarabocchia ogni tipo di frase per riempire di cartoline e telegrammi la cassetta postale senza fondo dell’amore.
Da sempre sta qui la fabbrica dell’uomo e l’inizio dei pensieri
La fonte occulta delle chimere
L’immenso laboratorio della carne, del desiderio e della credenza grezza
Il dio dai capelli bagnati ride nelle vetrate di piombo e di corallo
Qui ci si occupa dell’incertezza del commercio dei cuori e dell’appetito dei corpi
Ci si preoccupa dell’impossibile
Si guarda l’azzurro nelle retine del cielo e del mare.
*
Narrazione senza fine dell’alto mare
Il rumore blu della lingua, le ore lente della stanza
Questo bel lago incolore dove s’abbeverano bestie lunatiche
Corpi senza peso ondulano e si spiegano.
Flocculazioni di inchiostro, forse floreali, efflorescenze
La scrittura è una spogliarellista: l’azzurro dei suoi occhi scorre nel mattino presto
Cuore di zinco e pelle a rete
Unghie ingiallite dal tabacco, voce rotta intrappolata sotto l’epiglottide
Esce solo di notte per vendersi ai vagabondi
Barcolla sotto i lampioni
Dice alla luna parole vane: frasi-libelli, quando la libellula è così bella
Volata via sul mare con la febbre e il polline, paglia e sospiri di concupiscenza
L’effimera neuroptera con polmoni grandi come uno spillo, preparando le sue mascelle e le sue ali membranose, impaziente di metamorfosi
Sui suoi tacchi a spillo, il corpo inanellato di blu.