Isolatria

da | Ago 26, 2013

di Franca Mancinelli

L’isola della Maddalena e il suo arcipelago sono più di un luogo caro alla scrittura di Antonella Anedda, sono una coordinata del pensiero, uno spazio in cui i suoi versi e le sue prose si sono immersi divenendo quasi un suo prolungamento, portandone i caratteri, gli aspetti, come per una sorta di mimetismo o di insegnamento appreso negli anni, attraverso lo sguardo. La Maddalena è il luogo della storia familiare, dei racconti della nonna paterna, delle estati felici dell’infanzia, e poi delle “residenze invernali” protratte in un atto di fedeltà, di obbedienza al richiamo dell’isola quasi nonostante se stessi, nella morsa d’ansia che le imponeva di ripartire e che subito, nella distanza, le faceva risentire, sordo come un vizio, quel bisogno d’acqua fredda e di vento solo tornando poteva placare. Di questo particolare viaggio che è insieme ritorno della memoria e cammino senza pace, racconta Anedda nel suo ultimo libro di prose di recente edito da Laterza, nella collana Contromano, Isolatria.

Un titolo che sembra riconoscere nell’attaccamento-repulsione per l’isola i sintomi di una malattia, o di una forma di devozione assoluta. Le nuotate e le immersioni nel silenzio dell’acqua che si ripetono di cala in cala, sono altrettanti riti di purificazione, di allontanamento dall’io, di ritrovata appartenenza al corpo del paesaggio, «estasi acquatiche». In questi momenti l’esistenza può liberarsi e coincidere con l’esercizio del puro sguardo, come da bambina, osservando con il binocolo dal balcone, con l’immaginazione che ingigantisce i dettagli, cuce volti e figure a voci e storie, o nei tanti viaggi in traghetto, nella tregua del transito, in ascolto delle vite degli altri. In una distanza anestetica dalla vita, queste esperienze sospese dal tempo,  «sono isole del pensiero» da cui s’avvia e a cui fa ritorno la scrittura. Sono anche i momenti della gioia. Dalle cinque lettere che formano la parola isola prende avvio infatti Il catalogo della gioia (Donzelli, 2003). Perché è nell’isola la precarietà, la prossimità al respiro dell’universo; forze e propositi vanno ridimensionati, commisurati al grande «lavoro del vento e del mare» che bisogna sostenere, a cui bisogna far fronte ogni giorno.

Ciò che l’isola insegna è ciò che la scrittura di Anedda persegue: allontanarsi dall’io, dalle sue pretese di centralità e di dominio e riconquistare lo sguardo, aprendosi alla luce nitida che viene dalle cose. Così, anche per iniziare questo viaggio, è necessario che la Maddalena appaia, liberata dalle scorie che emozioni, ricordi, hanno sedimentato negli anni. Il movimento iniziale del libro è infatti quello di un Avvicinamento, di una messa a fuoco. È poi il disegno di una mappa a scandire le tappe: giorno per giorno, a seconda del vento, tra nuotate, sonni, letture, camminate con il cane e visite alla casa di Garibaldi, alla tomba di Volonté, alle piccole cale e alle isole dell’arcipelago. Nella determinazione di un patto stretto con se stessa e nell’obbedienza a quella sorta di ipnotico vagabondare che l’isola impone, con la stanchezza lieve, frastornata, che si confonde nel sonno, Anedda ora ci guida, annotando informazioni e storie, ora si perde e si lascia guidare, registrando quello che accade, gli incontri, i libri a cui si affida, e soprattutto il bisogno d’acqua che la richiama alla cura, al rito di gioia, di riconoscimento nel paesaggio.

Scritto intrecciando i ricordi alle foto scattate, agli appunti presi negli ultimi tre anni, Isolatria è la ricerca di un luogo che sfugge tanto più quanto sembra conosciuto. Il viaggio infatti ci riporta al punto da cui era partito, ad una mappa: l’immagine dell’isola vista dal satellite. Soltanto da quella distanza siderale in cui la realtà appare in sé stessa e come trascesa, si apre la possibilità di un riconoscimento. «Per la prima volta mi sono orientata davvero», scrive Anedda, in una di quelle tregue in cui il mondo si rivela, illuminato nella sua esistenza, in un miracolo che va ripetuto, che va protetto e accudito con il calore di un gesto, con la fiamma tremante della nostra attenzione: «per quasi un’ora ho guardato e guardato, facendo scorrere le foto sullo schermo come icone sull’iconostasi».

Immagine: Isola della Maddalena