Nel Settecento, la complessità sintattica e l’alterazione dell’ordine dei costituenti della frase compensano l’abbandono della rima a favore del verso sciolto. Durante quel secolo la lingua della poesia italiana opera una duplice presa di distanza: dalla stucchevole facilità della poesia di massa dell’Arcadia, da un lato; e dall’altro, dalla lingua della prosa, che andava avviandosi a una progressiva semplificazione, figlia di un’idea funzionale del linguaggio.
L’iperbato, più di tutte le altre figure di sintassi, marca la differenza tra lingua della poesia e lingua parlata, rendendo controintuitivo e di difficile scioglimento il significato dei versi. Non si tratta di una banale forma snobismo linguistico, perché la torsione sintattica porta con sé anche una forte funzione conoscitiva: l’allontanamento nel testo di parole che si dovrebbero accompagnare mette in cortocircuito parti del discorso altrimenti separate, conferendo alla poesia e al suo periodare un’impressione di simultaneità che stimola l’immaginazione e il pensiero del lettore.
Noi viviamo in tempi in cui la lingua che usiamo per comunicare (a voce come per iscritto) si è orrendamente semplificata. Chi fa poesia oggi ha allora il dovere di sottolineare la propria differenza: e se è chiaro che questo non può avvenire tramite il recupero antiquario di forme ormai cadute in disuso (come è avvenuto nell’ermetismo vulgato), rimane però importante riflettere sui modi in cui questa presa di distanza è avvenuta in passato. La diversità della poesia non può ridursi alla mimesi critica del reale, che è sempre pronta a sfociare nella parodia, dunque nell’impotenza, né può passare solo attraverso l’immaginazione metaforica, o, peggio, i buoni sentimenti: può essere perseguita invece solo dando di nuovo una dimensione fondante, strutturale e non ornamentale, alla complessità.
Immagine: Art & Language, Portrait and a Dream IX, 1966-2011.
Umberto Fiori, Quattro righe sulla similitudine – Le forme della poesia /1
Fabio Pusterla, «Avrei voluto parlare senza immagini» – Le forme della poesia /2
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).