Il quaderno di Nerina

da | Giu 15, 2021

 

“Il quaderno di Nerina” è il primo libro di poesie italiano di Jhumpa Lahiri, appena uscito per Guanda. Pubblichiamo una scelta di sei poesie.

 

Sparizioni

II.

Ma torniamo alle prime perdite,
entrambe vicende
al di là della memoria,
due scene che riguardano
la mia infanzia.

La prima in treno:
bambola inglese con cui giocavo contenta
attraversando l’India da Bombay a Calcutta
in luglio a due anni, accaldata, mezza nuda.
Ero andata con mia madre che stava tornando
euforica alla sua città per la prima volta.
Fermate in qualche stazione, secondo lei,
ho visto una bambina sul binario – chi era? c’era?
e all’improvviso ho allungato la bambola tra le sbarre
del finestrino verso quell’amica estranea.
E lei, felicissima, l’ha tenuta.
Qui mi soffermo. Ero tranquilla, decisa come Lila?
Oppure sconsolata quando il treno è ripartito?
Che cosa mi fa inceppare ancora?
La bambola regalata inconsciamente,
o il mio rifiuto di possederla?

La seconda vicenda sempre in viaggio,
in partenza, in arrivo per Calcutta.
Altro anello d’oro sfilato dal dito
all’aeroporto di Boston, 1972.
Anno annerito, scena raccontata
migliaia di volte da mia madre

innestata nella memoria,
episodio palinsesto inciso dall’ascolto:
la ricerca accanita dello sventurato
adornamento, amici che guardavano
in vano sotto le poltrone e fra
le valige in quell’ambiente apolide.
Com’era la mia mano a cinque anni?
L’episodio è diventato il prologo
alla perdita inaspettata
del mio nonno materno
che ci aspettava incorniciato
e appeso alla parete.

Non ricordo di aver seguito
mia madre che non stava nella pelle,
che correva fino al terzo piano
sentendosi di nuovo figlia,
ancora ignara, si è fermata un secondo
per togliersi le scarpe.
L’aspettavano i tre fratelli calvi
già dieci giorni dopo i funerali,
mia nonna ancora donna, sui quaranta,
vestita di bianco.
Scena madre silenziosa.
Nella sua interpretazione

è stata la scomparsa dell’oro
all’aeroporto
a pronosticare la tragedia,
scomparsa che (com)porta sfortuna nella sua testa.
In ogni versione quindi sono rimasta
il punto focale della sciagura
benché mio nonno in quel momento
disgraziato se n’era già andato.

*

«Ambito»

Compaiano uno
dopo l’altro
nel vocabolario.
Solo l’accento cambia il senso,
separa lo spazio
dal desiderio.

*

«Anafora»

Chiamo chi amo
con nome inventato
anziché anagrafico.
Codice segreto
tenuto stretto
per rendere mio
quel rapporto.

*

«Obiettivo»

Di raggiungere quel dopo
in calce a tutti gli sforzi,
di riprendersi perfino dalla goduria.

Di andare a letto e non pensare
a tutto ciò da ritirare
consegnare imparare tollerare.

Passiamo al participio,
la pace prolungata,
la scrivania ignorata.

L’ossatura della vita una serie
di infiniti, compreso morire,
da cancellare.

*

«Obrizo»

Detto dell’oro
senza lega.
A me però evoca
la prosa pura
d’un chimico che sapeva
l’angoscia del domani.

*

«Perchè ‘P’iace»

Per poter(e)
pensare e parlare,
pendolare,
persino poetare.
Propria a Pessoa,
Lettera che punteggia
il titolo trittico di
Pier Paolo Pasolini.
Per purgatorio giunto
e le sette P ne la fronte
di Dante;
Paradiso che proviene
dal pairidaeza persiano.
Purtroppo perturba e piange.
Patria mi pesa,
preferisco piazza, Porta
Portese e portagioie:
parola preferita.
Peccato perdita.
Mentre la parola peripezia
(preferibilmente al plurale)

che vuol dire mutare radicalmente
le cose
è sbarcata in italiano
nel Cinquecento
nonostante le proteste
dei puristi.
Ah però.

Jhumpa Lahiri è nata a Londra nel 1967. Ha pubblicato L’interprete dei malanni (Marcos y Marcos, 2000 – Premio Pulitzer), L’omonimo (Marcos y Marcos, 2003), Una nuova terra (Guanda, 2008), La moglie (Guanda, 2013 – finalista al Man Booker Prize e al National Book Award for Fiction). Ha vissuto a Roma per quattro anni; durante a questa esperienza ha iniziato a scrivere in italiano, pubblicando In altre parole (Guanda, 2015), Il vestito dei libri (Guanda, 2016) e Dove mi trovo (Guanda, 2018). Traduttrice di due romanzi di Starnone, ha curato l’antologia Racconti Italiani (Guanda, 2019). È direttrice del programma di Creative Writing all’Università di Princeton.