Sette poesie da “Il libro dei liquidi” di Irene Santori uscito con postfazione di Martin Rueff e traduzione inglese di Elena Buia Rutt e Irene Santori per la collana ‘Parallela’ di Aragno.
COLTI NEL SONNO
la condensa all’imbocco,
la spalla
spaiata
anche l’anca,
una gamba
sparita
l’altra messa per così
come uno sparo.
Io,
là finisco, tu
di me tanto più alto
continua
*
VULCANELLO (1)
Nel week-end se li riprese
la terra dal cuore fuso e dolce
col nome di un tortino
per i compleanni
– Soffia! –
e cauterizzalo questo
Iddio detto male – male detto Iddu.
E noi? a scavare a scavare e scaviamo scaviamo
noi che vivi non sopravviviamo
e morti non moriamo
*
BIFORA
Rinaldo si sparò una fucilata in bocca.
Mio padre sentì il colpo e corse per primo.
Io partorivo mia figlia.
…era il mucchio in gola, vero?
Dentro la testa il toro intero
rosso occhio planetario, tutto schiuma, zoccoli e
monta,
tonnellate e tonnellate di cranio
da far uscire a pezzi
come uno ad uno gli ostaggi.
Era la beatitudine il boato
tu che spalanchi il retro e s’intravede
fuoco, cerchio, tigre, balzo
mio padre.
Esci,
cartuccia, cosuccia, risatina
corri scalzo in corridoio
sudato in canottiera, ragazzino,
fuori, che è luglio!
*
E QUESTA SONO IO DOPO IL RITROVAMENTO
il gioco era svenire e non per gioco
trattenni il respiro e svenni per davvero
di quel che vidi dissi – vedessi –
e del cielo solo
– una manta –
*
Non avevano forma di nuvole le nuvole
quando anch’io sai
sdraiata su uno stelo
guardavo l’orpello in cielo
del gioco sovracqueo
– lì c’è il marchese in lotta col girino,
lì c’è il cervo che ingoia la cerva,
di là un cane in fasce –
Poi le madri e i padri stondano i figli
tornendo, stondando, torcendo
la nuvola in forma di nuvola
nel modo gerundio del nerbo
*
PRAXIS III
(della deriva dei continenti)
è buio a mezzogiorno
e noi doverav’amo?
al furto con spasso e ancora
mi metti in riga e in rima
laccata, baciata una ad una
ogni nostra desinenza
perché non s’allontani
dalla dorsale densa
che poi nella deriva ci rivogliono
milioni d’anni per saldarci
le coste rosse e dagli stessi climi.
Fa spavento il tuttomare
e Laurasia s’apre e chiama
il rientro di Gondwana
*
A UN RAGAZZO ABBANDONATO DAL PADRE
(A A.)
a me puoi dirlo
non va più su di così il sole,
ché non le ho le dieci parole
e vedo bene il bene
di dirsi l’universo
per come lo si è perso
tremendo e fatto padre
e fatto pianta
tagliata pianta
scalza del tuo piede.
Non va più su di così il sole,
lui no,
ma tu va’ fuori tema e prendi quattro
– quarto è il raccomandamento? quello dell’onore,
ma tu va’ fuori tema –
che ciocca a ciocca
volevi solo essere stato,
col capo in grembo e il grembo in capo,
lendine sul suo dito.
A me puoi dirlo
non va più su di così il sole,
perché noi due si muore
per tutto il romanzo non solo nel finale
io non so come stare
seduta a tavola coi morti
viventi e da che parte
guardare e se guardarli
dritto nella canna
in faccia al cane del fucile.
Questo è il nostro puntamento
e io non lo volevo anime lisce…
la mia mira è formidabile, ma mi tremano le mani
e comunque non so dire
fuoco! semmai acqua
e scompaio come un arcipelago
NOTE:
(1) Un papà ha portato i suoi due bambini in gita, nei pressi di non ricordo dove, in Sicilia. Un vulcanello che dormiva da millenni, al loro passaggio è esploso e glieli ha inghiottiti. I siciliani chiamano il vulcano Iddu, Lui.