M’offro a ciascuno come ricompensa;
Ve la do prima ancora che l’abbiate meritata.
C’è qualcosa in me,
Al fondo di me, al centro di me,
Qualcosa di infinitamente arido
Come la cima delle montagne più alte;
Qualcosa che somiglia la punto morto della retina,
Privo di eco,
Ma che vede e sente;
Un essere con vita propria, e che, tuttavia,
Vive tutta la mia vita, e ascolta, impassibile,
Ciò che la mia coscienza va ciarlando.
Un essere fatto di niente, se possibile,
Incurante delle mie sofferenze fisiche,
Che non piange quando io piango,
Che non ride quando io rido,
Che non arrossisce se commetto un’infamia,
E che non geme se il mio cuore è ferito;
Se ne sta immobile e non dà consigli,
Ma sembra eternamente dire:
“Son qui, a tutto indifferente”.
E’ forse un vuoto come è il vuoto,
Ma così grande che Bene e Male assieme
Non riescono a colmarlo.
L’odio vi muore d’asfissia,
E il più grande amore non vi penetra mai.
Prendete tutto di me dunque: il senso di questi versi,
Non quanto si legge, ma ciò che s’intravvede mio [malgrado:
Prendete, prendete pure, non avrete nulla.
Ovunque io vada, nell’universo intero,
Incontro sempre,
Fuori di me come in me,
L’incolmabile Vuoto,
L’indomabile Nulla.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).