Da poco uscito per Marcos y Marcos, Il conoscente di Umberto Fiori è un racconto in versi falsamente autobiografico, dove il protagonostia e il suo ambiguo antagonista, il Conoscente, tra la realtà e il sogno attraversano una storia nell’Italia degli ultimi decenni, una storia di cui il Conoscente pretende di avere in pugno la verità. Pubblichiamo sei passi.
1.
E’ vero: ci sono giorni
che le vostre parole più care e buone
mi suonano come insulti,
giorni che dal mattino alla sera il sole
splende contro di me
come contro un ritaglio di lamiera:
non mi si parla senza avere
diritto in faccia
il suo abbaglio tremendo. Ci sono volte
che mi trovate là,
fermo, freddo
come l’avanzo nel piatto.
Non vi ascolto, non alzo nemmeno gli occhi.
E’ che ho la testa piena
di una scena che ho visto
tanti anni fa.
5.
Quante volte per strada,
oppure a letto, in piena notte,
da sotto il mondo
risale a visitarmi
la collezione,
il tesoro.
Risento l’odore di funghi
salire dai cartoni,
il mare di unghie crocchiare
tra le dita. (Risate, ammiccamenti.
E poi le spiegazioni
viscide, sorridenti,
che danno e tolgono il segreto).
E come fosse adesso rivedo
le occhiate astute di quello
che mi guidava lì dentro.
Non un amico, no: uno così
è già tanto se è amico di se stesso.
Diciamo un conoscente, nel senso
che lui mi conosceva (io
solo più tardi l’ho riconosciuto.
O forse mai).
Il suo primo saluto
l’ho ancora in mente.
18.
C’era qualcosa che il Conoscente,
con tutte le sue arie da padrone,
non riusciva a nascondere.
Ogni parola in lui, ogni gesto,
erano un manifesto, una bandierina
sulla mappa del mondo, la sanzione
del suo dominio su cose e persone. Eppure
aveva un’aria ansiosa, irrequieta.
Non l’ho visto una volta
veramente contento: se rideva,
era sempre alle spalle di qualcuno,
di qualcosa.
Nella piega perenne della sua bocca
non c’era solo disincanto:
c’era amarezza, risentimento.
A volte –avresti detto- paura.
I suoi occhietti di sasso
(sembrava non battesse mai le palpebre),
le narici pulsanti come branchie, la faccia
rigida e smorta sotto l’abbronzatura,
portavano la traccia
di un torto,
di un’offesa subìta. Una ferita
antichissima,
viva, presente. Il Conoscente
aveva la smorfia dura
di chi sia stato preso a schiaffi in pubblico
per punizione, o per vendetta, di chi
abbia dovuto ingoiare un boccone amaro
pesante quanto il mondo,
piegarsi a lungo, servire.
Di più non posso dire: su questo sguardo
astuto, sottomesso, disperato,
non gli ho chiesto mai niente. Non osavo.
Mi sembrava indiscreto.
………………………………E poi
il problema non era il Conoscente:
ero io, era il Conosciuto.
70.
Per strada, fiutavo l’aria
di qua, di là, come un cane in allarme.
C’era sempre un rumore che all’improvviso
veniva ad accusarmi: un tremito
di vetrate, uno schianto sordo, lontano,
un cigolìo…
……………………Una volta, sul marciapiede,
un furgone di colpo si è messo a gemere:
“ìh-ò!… ìh-ò!”. Lo avevamo
appena oltrepassato
che dal muro di fronte parte un fischio,
occupa tutta la scena. Prima che riesca
a vedere da dove viene,
due sirene volteggiano dentro quel sibilo,
s’incrociano, si attraversano. Dopo una svolta
altri barriti si aggiungono. Ciascun segnale
conserva ancora il suo timbro,
le sue note – fa, sol – (qua un punteruolo,
là un rasoio, più avanti
cartavetrata sulla lavagna), ma
a un certo punto non riesci più a distinguerle.
Fanno un solo, compatto, incandescente,
duro rumore rosa.
…………………………..“Ma lo senti?”
urlo io al Conoscente. Lui: “Che cosa?”
“Come, che cosa?” Ci fermiamo a un incrocio.
“Non senti come gridano?”
“Gridano? E chi? No, io non sento niente”,
ride lui. “Tu, piuttosto, abbassa la voce…
Non vedi come si volta la gente?”
86.
La grande luce
stentava a disegnare,
sotto il velo di fango, le poche forme
pallide, logore, inquadrate
dal calcare lebbroso della cornice; ma
in quel breve rettangolo
vedevi presentarsi
il Mondo: qua una finestra
sola nel piano levigato, là
un cane, un tetto; una colonna, un albero.
Il Mondo.
………………….E come brevi sbalzi di schiuma
cresciuti dalla schiuma di una nuvola,
ombre su un fondo pallido – le Figure:
una donna col suo bambino in braccio,
un uomo che con la mano copre la faccia
di un altro.
………………….Dalla pietra – flebili, nudi –
palpebre e foglie, labbra e pepli affioravano
come bolle di gas da una palude.
I pochi gesti – la mano destra sul petto,
l’altra a reggere un lembo della veste –
sembravano sbozzati con uno stecco
in un letto di neve,
in una mattonella di sapone.
Ai piedi di ogni lapide
le iscrizioni devote, le sante dediche,
lettera dopo lettera, grige, tacevano.
112.
Sono stati i polmoni,
più degli occhi, a guidarmi
nel fitto dell’acqua buia. A testa bassa
ho lasciato il mio peso
precipitare indietro, sgambando
giù giù per il sabbione,
in cerca del fiato.
La frana di lapilli ha scricchiolato
di nuovo sotto i piedi. Ad ogni passo
scivolavo più in basso, per metri e metri,
insieme a pomici e pietre. Soltanto
il maestrale, con la sua frusta fanatica,
mi sosteneva.
………………….Ma ecco che nel buio
il mio ginocchio
ha trovato un ostacolo. Un arbusto
secco, ma saldo; forse la sola cosa
ferma, in mezzo a quel crollo universale.
Aggrappato con due, cinque, sei mani
a quel po’ di miracolo,
ho allungato le gambe, mi sono steso
sotto la pioggia tiepida
a respirare. Ma dormire, no. Niente
c’era di piano, lì, di orizzontale.
Tutto slittava, tutto
precipitava, tutto
era discesa, crollo, dirupo. Anch’io,
tra scosse e tuoni, grondante,
pendevo dalla montagna
come un suo frutto.
Immagine: Gianni Berengo Gardin.
Umberto Fiori è nato a Sarzana nel 1949. Dal 1954 vive a Milano, dove si è laureato in filosofia. Negli anni ’70 ha fatto parte, come cantante e autore di canzoni, degli Stormy Six, gruppo storico del rock italiano. In seguito ha collaborato con il compositore Luca Francesconi (per il quale ha scritto due libretti d’opera, Scene e Ballata, e numerosi altri testi), con il fotografo Giovanni Chiaramonte e con i videoartisti di Studio Azzurro. E’ autore di saggi e interventi critici sulla musica (Scrivere con la voce, 2003) e sulla letteratura (La poesia è un fischio, 2007), di un romanzo, La vera storia di Boy Bantàm (2007) e del Dialogo della creanza (2007). Del 2009 è Sotto gli occhi di tutti, un cd di canzoni tratte dalle sue poesie, in collaborazione con il chitarrista Luciano Margorani; del 2013 il cd-dvd Benvenuti nel ghetto, con gli Stormy Six e Moni Ovadia. Il suo primo libro di poesia, Case, è uscito nel 1986 per San Marco dei Giustiniani. Sono seguiti, per Marcos y Marcos, Esempi (1992), Chiarimenti (1995), Parlare al muro (con immagini del pittore Marco Petrus, 1996), Tutti (1998) e La bella vista (2002), Voi (2009) e fra gli ultimi Il conoscente (2019) e Autoritratto automatico (2023).