(“Guardare” è una rubrica che propone poesie scritte da ventenni e trentenni e che prova a raccontare il nostro momento storico dal punto di vista del loro immaginario. Questo percorso ci accompagnerà nei prossimi mesi con un’uscita ogni due settimane. Tessera dopo tessera si configurerà un mosaico in cui speriamo emergano interrogativi, chiavi di volta e genealogie di un tempo che muta velocemente, lascia disorientati, ma chiede anche nuove e autentiche forme del guardare. Nella diciassettesima uscita quattro poesie di Matteo Tasca, nato ad Anagni nel 1993.)
Quando ci rivediamo
dopo che è passato del tempo
abbiamo qualcosa che tira dietro la schiena,
io mi annoio e ho voglia di andare a dormire.
Poi però qualcuno parla
della ricetta che ha appena scoperto
o dell’ultima serie che ha visto
e allora uno alla volta cominciamo a brillare,
ci completiamo le frasi a vicenda
come gli innamorati.
Se poi qualcuno ti chiede
com’è stato rivedersi
ti mancano le parole
e quasi ti vergogni di dire
che è stato bello perché non è stato niente
essere stato insieme con voi
e ti senti come uno che ha visto
i bambini giocare nel parco,
è stato allegro con loro,
e a un tratto si accorge
che non sa dov’è finito suo figlio.
*
Si capiva che era morto perché era steso in un modo diverso
aderiva alla strada con un abbandono di cui i vivi non sono capaci.
Aveva queste spalle così rilassate
era per forza una cosa che aveva fatto l’uomo
(in questo caso l’autista di un bus che si tiene la faccia e piange)
una cosa artificiale come le rotatorie o le corsie preferenziali
che i vivi attraversano senza chiedere permesso,
il traffico gli germoglia da un orecchio e si dirama verso casa
o nei parcheggi dei locali, sopra lui c’è Roma
che cresce e si moltiplica ed è tutta una festa
dove ognuno si diverte come può.
Faceva il rider
la fatica del movimento
gli altri che ti cercano
ti chiamano a qualunque ora.
*
DIVENTARE GRANDI
Immaginare una ragazza bionda che ti abbraccia da dietro,
farsi grande nei suoi pensieri più minuziosi
una cornice d’oro con dentro noi due, i denti nell’aria,
sulla spalla di qualcuno il braccio, qualcun altro
aveva giurato che non c’era niente di meglio
e ha avuto ragione, la faccia mossa per la gioia di un lavoro ben fatto
una roba che puoi posare sulla mensola e continuerà per anni
a essere gioia, non era la fine l’inizio soltanto un inizio
mentre sotto i vestiti delle donne si gonfiano i bambini,
corrono a perdifiato per venire a toglierci tutto quello che abbiamo
adesso che hai costruito qualcosa e hai davvero qualcosa
ti puoi distrarre ora che stai così bene con la giacca
buona e sopra la giacca il sorriso, chi l’avrebbe detto ti sei sistemato
finalmente sei diventato tuo padre, le giornate intere davanti al televisore
essere altrove, sognare.
*
Quando penso alla politica penso al mondo liberato dal male
la mia mano che si stende minacciosa sulla terra
per cancellare quello che è sbagliato.
Non penso mai alle cose da salvare, ho immagini contraddittorie
mi sento subito in colpa.
Certe volte ho l’impressione che un uomo immenso
si è seduto sul cielo e ha posato le sue palle enormi
sulle nostre teste. L’uomo non fa altro che sognare di noi
il suo sogno è così grande che gli esce dal culo
e ci avvolge come neve. Io cammino nel suo sonno
e vorrei distruggerlo farlo esplodere da dentro
ma non posso toccarlo non capisco come fare.
Certe volte mi confondo e mi cresce una rabbia così grande
vorrei che tutti stessero zitti e ascoltassero me
che parlo in un talk show e ho più ragione degli altri.
Avere ragione è un modo per essere salvi.
Quando la mia mente è forte mi stupisco
di tutte le cose che ci sottomettono.
In un libro di fiabe gli gnomi catturano il gigante
e lo legano a una fune, è una scena che mi dà piacere
come un dito che ti solletica il culo essere forte
e non avere potere. Anche provare a capire il mondo
è un modo di essere sottomesso a qualcosa.
Se chiudo gli occhi e mi metto a sognare
divento immenso, sono seduto su un prato in montagna
e guardo gli alberi, il mondo è bello.
Tutto questo non ha valore perché non c’è nessuno a vederlo,
è una solitudine come non avere più una madre
il dolore aumenta al prolungarsi del sonno
l’uomo seduto ha sofferto ogni oltre immaginazione
ora nessuno può toccarlo.
Il mio primo sentimento politico l’ho avuto da piccolo
immaginavo che le donne si infilavano nei reggiseni
degli omini minuscoli e li stritolavano per gioco.
Ero sempre arrabbiato il mondo mi sembrava un posto ingiusto
anche la delusione va imparata, e odiare quello che desideri.
Come sarebbe non avere niente dentro, rovesciarsi la pelle
essere visto sempre, vivere attraverso lo sguardo
di uno che vede e che giudica, essere giudicati
e avere paura, sentire che tutte le cose hanno un peso,
finalmente hanno un peso, abitare la fantasia dell’uomo che guarda.
Pensare alla politica mi fa venire sonno.