Guardare /14 – Noi siamo dove non ci vedete

da | Mag 29, 2024

“Guardare” è una rubrica che propone poesie scritte da ventenni e trentenni e che prova a raccontare il nostro momento storico dal punto di vista del loro immaginario. Questo percorso ci accompagnerà nei prossimi mesi con un’uscita ogni due settimane. Tessera dopo tessera si configurerà un mosaico in cui speriamo emergano interrogativi, chiavi di volta e genealogie di un tempo che muta velocemente, lascia disorientati, ma chiede anche nuove e autentiche forme del guardare. Nella quattordicesima uscita sei poesie di Stefano Modeo, nato a Taranto nel 1990.

 

IL BAMBINO SULL’ALBERO

«Non mi vedono non possono
anche se vorrei farmi trovare.
Padre che voce hai, non lo so
non ti chiamo da quassù e tu
anche non lo fare, non saprei
in quale mare pescare stavolta
che mi sono così disabituato
alle profondità, ai ponti a metà
che forse il silenzio l’hai voluto
per proteggerci mi dico, chissà.
Al tronco ho fatto un taglio
sulla pancia, come a mia madre,
affinché possa restare, affinché
tu non mi veda e non scopra
che ho casa su un albero di ulivo.»

 

NOI SIAMO DOVE NON CI VEDETE

Dalle torri sulle scogliere, dalle fessure
i nomadi turchi in punta sulle prue
venivano per il pesce.
Gli ulivi spianati dai caterpillar
allungarono l’orizzonte e le capre
per prime si persero nelle gravine.

Ora, mentre fuori la tramontana
spinge i remi di una galea,
la città vuole rifare le sue strade
ma nessuno sembra capire né avvertire
sotto i colpi alle ginocchia, alle caviglie
che è già ridotta in polvere di conchiglie.

 

NOMADI

E se torneranno dalle dolci distese
dell’ovest, dalle montagne rocciose
o dai confini del Messico, sui mustang
nervosi di attraversare un torrente
o dalle steppe desolate dell’est,
dagli Urali innevati, con i piedi fasciati
di carta e le dita seccate diranno:
«Siamo tornati per piantare una tenda».
I barcaioli faranno sempre da spola
tra noi e l’Epiro, suoneranno ballate
sulle pinne e trasporteranno sigarette.
Tutti continueranno a sentire
l’eco del mare salire all’uscita
delle portinerie e alcuni chiederanno:
«Siete venuti a morire?» come fosse
l’ultimo sospetto rimasto da nutrire.

 

NAUFRAGIO DI THARSYS

Costruì un timone per guidare la zattera
e quando fu favorevole un soffio di vento
volse lo sguardo alle stelle.
Si raccolsero le nubi, si sconvolse il mare,
il vento squassò i tronchi, si schiuse la terra
si srotolarono i flutti. Fece un salto lontano,
con le mani legate al legno di nodi scivolosi.
Mari e venti lo trascinarono insieme alla zattera
quando lo inghiottì il pescecane: «Datemi
ancoraggio, ho remi carichi di alghe.
Che una parte di me possa restare, l’altra
metà andò perduta tra le onde del mare.»

 

SU UNA VECCHIA FOTOGRAFIA DI UNA PARTITA DI CALCIO

Mentre la luce li svela adattarsi
al colore del deserto, nella foto
i ragazzi frustano la lingua nel vuoto
per avere la meglio sugli insetti.
Alcuni corrono scalzi nel campo
mentre fango e pietre rotolano giù
per il pendio, sotto i grattacieli.
Desiderano scontrarsi come soldati,
i ragazzi, nient’altro hanno in mente.
Sono già spettri per il campo quando
in un attimo di tregua chiamano
con i loro nomi i figli di Alfredo
senza trovare altre parole in comune.
Poi in silenzio scrutano i padri,
ma nulla accade da tempo.
Così riprendono la guerra, facendo fuoco
come in un poligono di tiro
sui loro corpi folgorati dalle attese.
Somiglio a loro in questa foto
nella vitalità di chi ancora non ha
mentre ora prova a trovare una reliquia,
un cimelio da portare nella giacca.

 

ALLO SPECCHIO

Per averti con l’inganno
ho lasciato crescere i capelli
e una barba ispida e pungente.
Allo specchio ho l’aria di un Ulisse
con gli occhi pieni di memorie,
il mio corpo ha ossa deformate
gambe lunghe e curve; sono io
ti dico venendoti a svegliare.
Mi riconosci dall’altezza, il naso
l’incavo degli occhi. Mi chiedi dove
sono stato, perché ho abbandonato.
Ma se dico come o cosa, conoscerai
anche i giorni in cui ho cercato
riparo dalla nebbia che è piovuta
tra me e ciò che ho desiderato.
Per questo mi chiedi di mentire
di non approdare a nessuna verità
di conservare ogni dipendenza
dalla tua memoria, dalla tua civiltà.

 

(da “Partire da qui”, Interno Poesia, 2024)