(“Guardare” è una rubrica che propone poesie scritte da ventenni e trentenni e che prova a raccontare il nostro momento storico dal punto di vista del loro immaginario. Questo percorso ci accompagnerà nei prossimi mesi con un’uscita ogni due settimane. Tessera dopo tessera si configurerà un mosaico in cui speriamo emergano interrogativi, chiavi di volta e genealogie di un tempo che muta velocemente, lascia disorientati, ma chiede anche nuove e autentiche forme del guardare. Nella diciannovesima uscita inediti di Giorgiomaria Cornelio, nato a Macerata nel 1997.)
«Otto secoli sono trascorsi da
quando processarono la prima scrofa.
Vestita di unto, di giacca,
di brache alle zampe di dietro,
di guanti alle zampe davanti.
Mozzato il grugno, tagliata la coscia,
messa la lugubre maschera, la
impiccarono per aver divorato
un lattante.
E non di lunedì,
e non di martedì,
e non un giorno qualunque,
ma il giorno di magro
– quando la bocca
risparmia la carne.
Anser: se questa è la loro giustizia,
se questo è il loro tribunale,
noi cosa c’entriamo?»
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«Ricorda: bufera non fa caso
né di sorella né di fratello;
bufera non fa caso
né di amica né di amico.»
Ripida è l’ora degli antenati,
dei morti che non s’accordano
per firmare l’obliquo balordo
patto con la Storia.
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Lo sanno, i nostri reggitori, che accanto
alla borragine matura lo stento? Che
la miseria sta tutta incarcerata nei corpi?
C’è bisogno di una grande muta della pelle.
Nel giro di un secolo, i pianeti
sono diventati lentiggini.
Male misura la meridiana.
Male taglia il coltello.
Qualcuno non distingue vita e scarpata.
Ma presto tutto questo finirà.
Intanto, gli uccelli
si sono scottati nel volo.
Sono venuti per Attar,
l’ultimo delegato,
l’upupa senza un’ala.
L’ascoltano, zitti,
nel suo nido millenario.
Parlerà,
quando me ne sarò già andato.
NB: Non è stato possibile rispettare la grafica degli originali, ci scusiamo per l’inconveniente.