Gli sposi stanno nel letto a bisbigliare…

da | Ott 7, 2022

Undici poesie inedite.

1

Gli sposi stanno nel letto a bisbigliare
hanno imparato la lingua dei tarli e sotto la coperta di piquet stanno tutta la notte a
bisbigliare

il bambino nel suo sarcofago dovrebbe farsi sentire, o ansimare un po’ più forte
invece rimane in silenzio, finge di dormire

crescendo imparerà a riconoscere i personaggi
di queste penose commedie notturne

adesso il flusso delle immagini scorre veloce
i corpi vengono trascinati lungo il corridoio
i volti sono macchie biancastre
che scivolano verso la stanza
luminosa delle incubatrici.

 

2

I vivi si preoccupano di tutto

mi prendono la testa tra le mani, con le dita mi afferrano le guance e le tirano
poi iniziano a farmi domande

io rispondo sempre che non ho bisogno di soldi, ho chi si occupa di me

poi ne arrivano altri, da più lontano
– li sento lamentarsi: “un viaggio così lungo per trovarlo in queste condizioni…”

infine, ovviamente, i bambini. I “terremoti”.
Non dovevamo invitarli: si gettano dalle scale, sputano sui nostri cappotti

uno entra di corsa nella stanza e tira fuori il cellulare per fotografare il morto.

 

3

Notte fonda. Squilla il telefono, andiamo a rispondere, ma dall’altra parte nessuno
parla. Ripetiamo di nuovo la domanda.
Adesso forse, per un attimo, un respiro… un colpo di tosse…

o forse niente, ancora niente, era solo un disturbo sulla linea

“potrebbe essere lui? Ma a quest’ora? Vorrà parlare con la moglie? Con la figlia? Ma
quale? Con la piccola, quella che ha più bisogno…”

e allora perché non dice nulla?

i morti, per natura, non parlano.

 

4

Nel tardo pomeriggio si intensificava il viavai silenzioso delle persone
che entravano e uscivano dalla camera ardente

lui era in salotto, sdraiato sul divano, a leggere un saggio su Simon Bolìvar

nessuno entrava in quella stanza, nessuno osava disturbarlo.

 

5

Avrei chiesto gentilmente di aprire le finestre, se in questa stanza ci fossero finestre
al posto dei koala disegnati col gesso sulle pareti

perché ho la stessa paura di vent’anni fa, anche se adesso hanno assunto una
ragazza che mi soffia sulla fronte e mi accarezza le ghiandole ingrossate

lei può stare con me ogni volta che spengono la luce e mi dicono di mettermi
seduto a fissare la mongolfiera
la solita mongolfiera, sospesa in un cielo prevedibilmente azzurro, sopra una
strada che era tortuosa e ora è diventata dritta

altro, mi spiace, non riesco a vedere.

 

6

In fondo a un armadio abbiamo ritrovato la tua camicetta nera, quella
semitrasparente, smanicata e con gli strass, che indossavi quando ti esibivi nei
ristoranti di Amsterdam o di Praga – ricordi?

Passavi tra i tavoli conciato in quel modo, e truccato, perfino: l’eye-liner e la matita
sotto gli occhi, il rossetto scuro rubato a qualche amica di tua madre
quando si abbassavano le luci cominciavi a dimenarti, come uno scalmanato,
facendo tutte quelle mossette un po’ oscene.

Provavi a farci divertire.
E ci riuscivi.

 

7

Una testimonianza:

“…Si divertiva a nascondersi sotto il tavolo quando era pronto da mangiare, noi
facevamo finta di non vederlo, lo chiamavamo più volte, minacciavamo di iniziare
senza di lui… dopo un po’ usciva di là sotto con un saltello e scoppiava a ridere, a
volte continuava a ridere per tutta la cena…”

“Poi abbiamo cominciato davvero a non vederlo più… Pensavamo fosse partito,
qualcuno diceva che era finito oltrecortina, dicevano Praga, o addirittura Tallinn…
Forse aveva delle conoscenze lassù, ex colleghi, amici, magari una donna, questo
proprio non glielo so dire… Noi comunque eravamo molto dispiaciuti…”

 

8

Abbiamo bisogno di qualcuno che non smetta di parlare

anche nell’angolo più trascurato del giardino, anche nell’erba alta che nessuno ha
più il coraggio di tagliare
gli diamo una sedia di plastica gialla, la mettiamo sotto le betulle

il giovanotto però deve continuare a parlare, fino a sera, anzi, fino a domani
perché qui nessuno ha intenzione di andare a dormire

può raccontare quello che vuole, anche vicende strettamente personali. Può
iniziare per esempio con queste parole:

“tirare fuori i corpi dagli ascensori è un mestiere come tanti
e quando torno a casa, in autostrada, penso sempre a mia figlia, ai suoi denti…”

 

9

Tre o quattro linee sghembe nel vano della porta, appena accennate, a stento
riconoscibili
una posa un po’ ridicola, forse una danza propiziatoria

con la gamba leggermente sollevata, le mani che non stanno mai ferme

era solo per dire “finalmente, ve l’avevo detto, è già nel vialetto d’ingresso,
guardatelo, come si muove, non vi fa un’ottima impressione?”

allora vedi che s’alzano in piedi, abbottonandosi le giacche leggere, tossicchiando
per schiarirsi la voce
e davanti allo specchio del bagno con minuscoli pettini d’osso

si tolgono le briciole dalla barba.

 

10

Davvero fu un gesto di grande coraggio, attraversare da solo tutto il bosco
per raggiungerci nell’anno giusto, scritto a penna dietro la fotografia

quando ancora eravamo tutti, con le mani sulla tovaglia

e il filo d’oro dei discorsi, i nostri semplici discorsi, che brillava
per l’ultima volta
sull’orlo dei bicchieri.

 

11

L’abbiamo trovato. La nonna dice che dobbiamo ringraziare Sant’Antonio da
Padova.

rannicchiato in un sottoscala tra le cassette piene di statuine del presepe
con le ginocchia contro gli zigomi, la polvere accumulata sulle palpebre abbassate

era da un po’ che non lo cercavamo più, succede sempre così
l’abbiamo trovato

e adesso che cosa facciamo?