Sei poesie inedite.
Strada per tornare a casa
Vedo mia madre rifarsi bambina
sussultava di gioia, alla sua guida
costeggiando la laguna ’e Santa Igia,
se appariva un fenicottero in volo
–
la colpa è stata nei vostri ritardi,
troppo forte il terrore di lasciarvi
se emergeva il timore di scoprirvi
vivi ancora, da capo sui sessanta.
Perdendo l’isola
Piango il mondo prima di me
il mondo ingiusto, che tu sfinirai.
Attenderemo soli uno spiraglio
sfasciando la vita che ci trascina
continenti, scagliati – ciò che deriva
serberò in te quel che non resta.
L’insula è una piccola regione nella corteccia cerebrale, si situa all’interno del solco laterale. Per giungervi bisogna addentrarsi nella grande fessura che separa i lobi frontale e parietale da quello temporale. Gli scienziati dicono che proprio lì si prenderebbe coscienza della mente e del corpo e, se vi subissimo un grave danno, saremmo per sempre slegati da noi. Ci troveremmo davanti a una totale assenza di empatia. Senza emozioni, senza ribrezzo. Così. Noi siamo isole, lontano altre isole.
Anche io. Amo più il tuo silenzio. Rinasci tra anni. Se esistesse un interlocutore, ora proverebbe invidia. Così nel futuro rivedo gli orrori, la linea umana e la linea della storia. La gioia è solo finta, costretto strabordare.
Senza responsabilità, senza azione. Sii anche tu l’ambizione del nulla. Sii la dimostrazione dell’ennesima sconfitta. Le onde non tornano come prima. Non riprodurti. Mai più.
Schwarzwald, 2015
Attis la nuova discoteca
Sempre pensando a un mare che ci isola
guardiamo sconvolti alla vita di ieri,
a festa finita torneremo a riva
vedendo dove e senza chi si vive
sempre esclusi dalla tribù dei maschi
–
domu mea, oe istracca, lassada
aghervu ruende in custa vida maba.
Aprendo l’isola
Ogni volo torna dentro i miei occhi
si offusca, in tutta la luce che entrò
–
inspira, lascia, dischiudi la tua isola
torna agli uomini di oggi alla città,
casa tua due occhi in attesa
guardano te, non dicono di più.
Alluvione a Capoterra
Nonna ancora si aspetta una ragazza
mio padre si è fatto sempre più piccolo,
io verterò a te rappreso nel tuo
acerbo, nel tuo vero, per la vita
–
l’acqua si riprendeva la sua terra
io e mio fratello salivamo sui tetti
di corsa in casa abbracciando la madre,
ancora ferma, nell’isola, terra
–
ma niente rimarrà piantato nei ricordi
quattro generazioni e poi via,
poche parole quelle che straripano
noi che attendiamo dopo un addio.
Immagine: Dune di Piscinas, foto aerea, 1954.